Il Primo Emendamento è (diventato) obsoleto?

«Il Congresso non promulgherà leggi (…) che limitino la libertà di parola o di stampa». Ma il Primo Emendamento garantisce effettivamente la libertà di espressione nel mondo del web?

bruna a. paroni
Argomenti di diritto dei media digitali
10 min readDec 19, 2017

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Libertà di parola, di religione, di stampa, di appellarsi al governo e di riunirsi pacificamente: garantiti dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America. [© Mill Valley News]

Blogs, microblogs, post, commenti, RT. Parole chiave per chi usa internet per informarsi o per farsi leggere. Nel mondo 2.0 (o addirittura 3.0) l’informazione e l’opinione non sono limitate soltanto ai giornalisti o ai giornali. L’user non è più 1.0 e di conseguenza non è più passivo: ognuno di noi, in maniera attiva, può diventare un utente e farsi ascoltare tramite i social networks.

Negli Stati Uniti, Paese il cui simbolo ideologico è la libertà individuale grazie soprattutto a letture e applicazioni del Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America, sono giustamente i limiti e punti di debolezza dell’emendamento stesso che cominciano ad essere messi in discussione. Oltre la libertà di parola sono previste anche «libertà di stampa, di religione, di appellarsi al governo e di riunirsi pacificamente».

La giurisprudenza attorno al Primo degli otto emendamenti lo vede applicato sin da gli anni ’60 contro la censura, così da favorire la libertà di parola e di stampa. Ma dalla prospettiva giuridica, il fenomeno della libertà di parola online ha creato una serie di situazioni non previste dalla legge e, soprattutto, non previste appunto dal Primo Emendamento.

[The First Amendment] is an American «tradition» in the sense that the Super Bowl is an American tradition

Diversi ricercatori, professori e giuristi statunitensi si stanno domandando se l’effettività del Primo emendamento è ancora assicurata e se l’applicazione d’esso garantisce per davvero ai giornalisti e a tutti gli utenti esposti politicamente, specie se in posizione di opposizione, il diritto di parola on-line.

Uno di questi ricercatori è Tim Wu, avvocato, ricercatore e professore alla Columbia Law School e, come ricordato anche dal The Guardian è uscito, alle primarie, come candidato a vice governatore dello stato di New York, all’interno del Partito Democratico, nelle elezioni del 2014 (ma non viene eletto). È uno dei membri collaboratori del Knight Institute, istituto che lavora per difendere la libertà di parola e di stampa nell’era digitale. Ed è anche grazie a lui che «net neutrality» è stato impiantato, sia come termine sia come concetto e legge, anche se questa ormai sostanzialmente revocata dall’attuale presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.

Censura on-line e Primo emendamento: nuove dinamiche, nuove problematiche. [© Steve Greenberg]

Is the First Amendment obsolete? è il saggio che ci guiderà attraverso questo breve tentativo di riflessione; Wu con esso oltre a provare a rispondere alla domanda titolo dell’articolo cerca di fare un’analisi della giurisprudenza attuale del Primo Emendamento e di come possa ancora essere il porto di salvezza degli speakers e dei listeners nel contesto del web.

Strutturalmente l’articolo è diviso in quattro parti. Nella prima l’autore ci dà il background della copertura giurisprudenziale del First Amendment, il contesto storico-giuridico-sociale dell’attuale lettura della legge dentro la United States Bill of Rights (ovvero la Carta dei Diritti degli Stati Uniti d’America, nel quale contiene i dieci emendamenti della Costituzione statunitense). La seconda, invece, è destinata al background attuale degli avvenimenti in rete, come il fatto che con una quantità grande di informazioni, l’attenzione dell’utente sia diventata una merce dell’era digitale. Nella penultima sezione troviamo le ragioni per cui il Primo emendamento sia diventato obsoleto e nella quarta l’autore propone delle alternative che riescano ad assimilare sia il Primo emendamento, sia le problematiche del mondo in rete.

Pubblicato nel settembre del 2017, e dunque molto vicino al «heat of the moment» delle elezioni americane dello scorso anno e dopo 9 mesi di governo Trump, il 45º presidente nordamericano, Wu porta avanti la tesi quale il Primo Emendamento non riuscirebbe più a coprire tutte le questioni tipiche della rete, come le minacce on-line, la «censura inversa» e il flooding, tecniche utilizzate come censura online.

I suggerimenti hanno, come obiettivo principale, quello di puntare su come le tecniche di speech control emergono dal fatto che il Primo emendamento, atualmente, fornisce poca o nessuna protezione agli speakers della rete.

Secondo l’autore, tale questione deriverebbe dal fatto che il Primo emendamento sia stato basato sulle dinamiche socio-politico-culturali dei primi anni ‘20, un’epoca molto diversa da oggi, riflettendo sì quel contesto e proteggendo sì la libertà di espressione in quegli anni. Ma pur proteggendo la libera espressione al tempo, Wu discute di come ormai sia diventata una legge obsoleta.

Originariamente il Primo Emendamento della Costituzione Americana data il lontano 1791. Qui veniva espresso il diritto degli antifederalisti ad esprimersi attraverso la stampa. Ovvero, la modifica della legge proteggeva gli attivisti dall’essere arrestati per quello che scrivevano sui giornali (sempre importante far ricordare che press in inglese, riferita sull’emendamento, significa sia la stampa intesa come giornale, sia la macchina stampante).

Ci spiega Wu che il Primo emendamento rimase intatto e quasi dimenticato fino agli anni ’20. In quell’epoca, il governo americano istituì un repressivo controllo verso i manifestanti che si esprimessero contrari all’entrata del Paese nella Prima Guerra Mondiale (l’Espionage Act of 1917). Fra gli arrestati c’era l’allora segretario del Partito Socialista, Eugene Debs, condannato dalla Corte perché questionava in quale misura lo sforzo bellico da parte del paese se ne facesse veramente necessario.

In più, per far convincere la popolazione della scelta del Paese di combattere nel front, «the federal government operated an extensive domestic propaganda campaign, […] the American propaganda effort reached a scope and level of organization that would be matched only by totalitarian states in the 1930s.». Ossia, oltre alla repressione politica, il paese dello Zio Sam ha investito anche nella propaganda politica.

La reazione contro a tutti questi tentatavi di controllo della parola da parte degli stati federati all’interno degli USA è segnalata dalle interpretazioni del giudice Hand, nei primi 1930. Le sue letture, insieme a quelle degli altri suoi colleghi, i giudici federali Brandeis e Holmes, sono state interpretazioni “di minoranza” fino agli anni 1950. È grazie a loro che il Primo emendamento ha più o meno oggi la giurisprudenza che conosciamo.

L’autore parla di net neutrality, filter bubbles e il rapporto fra pubblicità e social networks.

Il Primo emendamento nasce in un ambito politico che va contro una presunta censura da parte dei federalisti. Il punto è, risalta Wu, che la censura di allora è diversa da quella dei sistemi dei media nell’era di Internet. Anche perché oggi ci sono tanti lettori, ci sono dinamiche e paradigmi nuovi, e ovviamente tante situazioni nuove, come l’esercito di trolls, la rapida divulgazione di fake news, i robot di propaganda politica, le tecniche di flooding, cyberbullying, minacce online… Cioè, l’uso della forza e dell’oppressione in spazi soprattutto diversi.

Social networks or… speech platforms?

Una delle tesi sostenute dall’autore è il fatto che ci sia una certa negligenza da parte dei social. Non a caso, Wu non li chiama «social» ma «speech platforms», ovvero «piattaforme per la parola», nei quali Facebook, Twitter e altri siti non sono diventati soltanto luoghi con cui sia possibile iscriversi e socializzare ma luoghi nei quali sia possibile esprimersi — questo di per sé porta ad un nuovo archetipo, un contesto appunto diverso da quello in cui si è sviluppata l’interpretazione attuale del 1st. Amendment.

I social networks fanno della parola scritta il principale mezzo di comunicazione fra gli utenti, che però allo stesso tempo non fanno uso della stampa tradizionale, cartacea, stampata, per far veiocolare quello che dicono. E da qui nasce, oltre la discussione in ambito di linguistica testuale, la questione centrale: ma il Primo emendamento riesce a sostenere coloro che usano della parola per informare gli altri tramite queste piattaforme?

Fake news, social networks, libertà di parole: le sfide del mondo nel web.

Secondo l’autore, la risposta è negativa. Oggi in rete, dice, c’è la censura, ma diversa da quella censura classicache ha accompagnato i paesi sotto regime totalitari del 900. Stati come la Russia e la Cina, invece di negare l’accesso all’informazione o di impedire alle persone di esprimersi in rete, afferma, citando diverse fonti in ambito, promuove feed di carattere propagandistico sul governo, disseminando addirittura fake news, non lasciando libero spazio ad altre informazioni. È quello che Wu chiama reverse censorship.

[Censorship] targets listeners or it undermines speakers indirectly. More precisely, emerging techniques of speech control depend on (1) a range of new punishments, like unleashing “troll armies” to abuse the press and other critics, and (2) “flooding” tactics (sometimes called “reverse censorship”) that distort or drown out disfavored speech through the creation and dissemination of fake news, the payment of fake commentators, and the deployment of propaganda robots.

La censura inversa nel fatto non solo di creare e diffondere “bufale”, eserciti di troll e floodare la nostra timeline, ma sarebbe anche il caso dei filter bubbles: vedere solo quello che si vuole.

«A platform like Facebook primarily profits from the resale of its users’ time and attention: hence its efforts to maximize ‘time on site’.»

In una prima lettura, al lettore disattento o non interessato, avere sulla timeline personale ciò che vogliamo vedere sarebbe l’ideale: il massimo della personalizzazione. Il problema è giustamente quello: vedere tutto quello che pensiamo di scegliere di vedere darebbe ai social media il potere di farci vedere solo quelle precise informazioni, contenuti, pubblicità.

Inoltre il teorico considera la libertà di parola su Internet come una cosa non tanto positiva. Per Wu esiste oggi un eccesso di informazione che porta all’impoverimento del discorso e soprattutto dell’attenzione (tesi difesa da Herbert Simon, economista al quale è insignito il Premio Nobel del 1978).

in an information-rich world, the wealth of information means a dearth of something else: a scarcity of whatever it is that information consumes. What information consumes is rather obvious: it consumes the attention of its recipients. Hence a wealth of information creates a poverty of attention and a need to allocate that attention efficiently among the overabundance of information sources that might consume it.

Oggi più che mai la cosa più importante non è tanto il parlare, il discorso bensì l’attenzione dell’utente. Tant’è che l’attenzione è diventata una commodity. Troviamo questa dinamica su Facebook, ad esempio, che è un gatekeeper: crea contenuti che mantengono l’utente all’interno del sito o dell’applicazione, non facendo aprire un contenuto esterno dal browser dello smartphone ma sì aprendone uno all’interno dell’applicazione. Ovvero oggi, così come negli anni ’20, l’informazione è abbondante però l’attenzione del lettore vale molto di più e la corsa per attraversare il collo di bottiglia dei contenuti disponibili in rete significherebbe anche censurare l’informazione all’utente.

Secondo Wu ed altri teorici, questo evento dell’impoverimento del discorso è tipico dei social media perché chiunque può parlare nella sfera digitale. E questo oltre a dare ai social media ruoli importanti, addirittura simili ai giornali, faciliterebbe anche silenziamento e molestie verso altri speakers. Ma non solo i social media, Google e Yahoo compresi.

No one quite anticipated that speech itself might become a censorial weapon, or that scarcity of attention would become such a target of flooding and similar tactics.

Cosa si potrebbe fare per (cercare di) rimediare la situazione

Il paradosso della libertà di espressione in rete.

Come risposta alla domanda iniziale, Wu è abbastanza categorico: sì, il Primo emendamento è diventato obsoleto; non perché lo è come legge, bensì perché, come sostenuto in tutto il saggio, non riesce a tenere conto dei cambiamenti della società odierna. Per Wu l’emendamento rappresenterebbe il paradigma socio-politico-culturale degli anni ’20; non tiene in considerazione (come potrebbe?) il fenomeno delle speech platforms, della censura inversa, della tecnica di flooding e delle cosiddette bolle di filtraggio, della protezione online ai giornalisti contro trolls. Insomma non riuscirebbe a coprire il fenomeno Internet.

Ammettere il fatto che il Primo emendamento sia diventato obsoleto, suggerisce Wu, sarebbe il primo passo. Il secondo invece sarebbe, argomenta Wu, immaginare come la dottrina del Primo emendamento potrebbe essere adattata ai vari tipi di strumentalizzazione del discorso tipico del mondo 2.0. Vale a dire, alle varie speech platforms, come Facebook e Twitter, dovrebbero essere applicate le stesse norme e regole che sono tradizionalmente associate ai media tradizionali.

[© Dan Nott]

Il fatto è che Internet, in maniera generale e per com’è fatto permette a tutti la libertà di espressione. I social netwoks, tuttavia, sono nati come aziende dell’ambito informatico e di conseguenza non sono dell’ambito giornalistico. Facebook e specialmente Twitter, per esempio, da un lato permettono che il loro «spazio» sia visto e capito come una specie di libero mercato di idee in rete, ma dall’altra parte poco fanno per proteggere giornalisti o persone che subiscono cyberbullying o molestie online. Per non parlare dei numerosi profili fake che ci sono, lasciando libero lo spazio alla creazione dei troll army, per dire.

Nonostante Wu sostenga che «we are witnessing efforts to destroy the reputations of real people for political purposes, to tip elections, and to influence foreign policy», è altrettanto vero che anche i giornali possono essere strumentalizzati. Magari non nel contesto statunitense, ma nei paesi del Sud Europa o anche nei paesi dell’America Latina, giornali e agenzie di stampa tante volte servono per diffondere informazioni politiche su un candidato o partito come propaganda politica.

Wu, oltre all’applicabilità del Primo emendamento, consiglia anche nuove leggi. Crede che in realtà uno dei problemi attuali di questo non sia il fatto che dovrebbe o no impedire certe azioni piuttosto che debba limitare certe azioni. Rispetto ai troll, secondo Wu, la costituzione dovrebbe essere più dura e proteggere maggiormente le persone più suscettibili a subire un attacco online, come giornalisti o membri di partiti.

Infine, come misura legale, Wu fa praticamente un appello al Congresso americano, basandosi sull’idea che, a causa di Internet, il nostro discorso politico sia stato danneggiato e che tutte queste minacce moderne stiano causando del male alla democrazia e alla repubblica e quindi di ritornare all’ambiente midiatico tipico degli anni ’50. Cioè, «stated differently, it seems implausible that the First Amendment cannot allow Congress to cultivate more bipartisanship or nonpartisanship online.».

Al futuro, uno sguardo un tanto pessimista. Paradossalmente, malgrado sia vero che oggi sia molto più facile esprimersi, è ugualmente vero che dare spazio a tutti non sia ugualmente positivo.

Riferimenti bibliografici e sitografia

Tim Wu (2017). Is the First Amendment obsolete?. Disponibile qui.

How Twitter Killed the First Amendment, articolo di Wu sulla sezione Opinion del NYTimes, giornale con il quale collabora.

Intervista a Tim Wu su The Guardian.

Inspired by His Father’s Activism, Tim Wu Is Running for Lieutenant Governor as an Outsider, articolo del NYTimes sulla candidatura di Wu alle primarie del 2014.

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bruna a. paroni
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qua troverai riflessioni mie bilingue. laureata in lingue straniere e specializzata in comunicazione digitale.