INTERNET E LIBERTÀ D’ESPRESSIONE: PROBLEMI E SFIDE TRA CANADA E STATI UNITI

Filippo Massetti
Argomenti di diritto dei media digitali
10 min readDec 15, 2017

Una bandiera a stelle e strisce con 50 stelle e una bandiera rossa con un quadrato bianco al centro sul quale è rappresentata un foglia d’acero a 11 punte: quando si attraversa il “Peach Arc”, il monumento eretto al confine tra Canada e Stati Uniti, è evidente come il rapporto dialettico ed indissolubile tra questi due paesi abbracci una vastità di tematiche, come la storia, la geografia, la politica, l’economia e-oggi giorno sempre di più- il diritto e la giurisprudenza.

Sopra il cancello di ferro del “Peach Arc” l’iscrizione è chiara: “May these gates never be closed”: “Che questi cancelli non debbano mai trovarsi chiusi”, un monito alla collaborazione ma anche alla condivisione tra i due paesi simbolo dell’Atlantico.

Il vincolo tra Canada e Stati Uniti va, come detto, aldilà dell’aspetto storico e si riscontra in modo chiaro sia per quanto riguarda il mondo della comunicazione e dei mass media che per quanto riguarda dispute di carattere giuridico: il diritto anglosassone può essere anche analizzato in una chiave comparativa tra America, Canada e Gran Bretagna, che dei due stati del Nord Atlantico ne è politicamente la progenitrice.

Per quanto riguarda il contesto delle due democrazie liberali nel corso degli anni si è imposto nel dibattito forense in modo molto netto il problema del bilanciamento tra tutela dell’integrità personale e libertà d’espressione, individuando di volta in volta, ad esempio, la legittimità alla ricorrenza alla diffamazione; in questo senso, tuttavia, tra i due paesi, come vedremo, si sono delineate differenze abbastanza sostanziose e chiare.

Questa influenza dialettica e bidirezionale in ambito giurisprudenziale tra il paese dello zio Sam e il paese dell’acero si è arricchita negli ultimi decenni di un nuovo attuale dibattito, ossia quello della libertà d’espressione online, e di come questa tematica si possa coniugare (a livello di problematiche e a livello di bilanciamento) sia con la tutela della propria dignità personale sia con il diritto alla libertà di manifestazione del pensiero -il “freedom of speech” caposaldo della tradizione giuridica liberale.

Internet, la società interconnessa e il nuovo ecosistema della comunicazione digitale possono convivere con una giusta tutela dell’integrità di ogni individuo? In quali ambiti e in quali situazioni giuridiche si può intentare una causa di diffamazione per un contenuto diffuso via social network?

Al confine tra Canada e Stati Uniti oggi è sempre più pressante un tentativo di riposta non solo alle richieste di querela “tradizionali” ma anche di istanze di diffamazione nate nel mondo del web 2.0.

Tra lex loci delicti e statuti anti-SLAPP

Sia negli Stati Uniti che in Canada per intentare una causa di diffamazione sono necessarie tre condizioni essenziali: lo “speech” incriminato deve essere apartamente diffamatorio, di natura falsa e inguiriosa e in grado di ledere manifestatamente la reputazione di una persona all’interno di una comunità; le parole devono essere “pubblicate” (ossia devono passare per un qualsiasi tipo di canale comunicativo); e la persona diffimata che tenta di rivalersi in giudizio deve essere il querelante (in inglese “plaintiff”, mentre l’imputato è il “defendant”).

In entrambi paesi sono previsti alcuni parametri generali, da stabilire in giudizio, tali per cui l’accusa di diffamazione può decadere, come la verità del contenuto pubblicato, il consenso ricevuto prima della pubblicazione, il “privilegio assoluto”(ossia quelle dichiarazioni portate avanti in ambiti stabiliti accuratamente dalla legge) e la configurazione dell’internet service provider(ISP) come sito di hosting passivo nel caso di problematiche nate nel mondo dell’online.

Non tutti i parametri sono però coincidenti tra le due nazioni: negli Stati Uniti, forti della presenza del First Emendament, è ad esempio consentita la difesa quando le dichiarazioni incriminate fanno parte a buon ragione dell’esercizio del diritto fondamentale di libertà d’espressione, ossia quando l’imputato è in grado di dimostrare che le sue dichiarazioni sono insostituibili per godere in modo pieno del “ freedom of speech” che, come vedremo, nel bilanciamento statunitense ha un chiara preponderanza.

Uno dei processi che fatto negli ultimi tempi più giurisprudenza sull’asse New York- Ottawa è stato quelli noto alla cronaca come Black v. Breeden: il primo ha querelato il secondo con l’accusa di aver pubblicato dei contenuti diffamanti via web poi ripresi dai media canadesi -contenuti disponibili online nel sito “Hollinger International”, compagnia ubicata a Chicago- mentre il secondo, proprio sfruttando questo particolare, ha portato avanti la propria tesi difensiva del “forum non conveniens”, ritenendo cioè che la giurisdizione di Ontario, luogo in cui abita Black, non sarebbe dovuta essere competente nel risolvere tale questione.

La Corte di giustizia dell’Ontario ha da subito respinto questa richiesta; anche la Corte Suprema Canadese ha dato manforte alla non sussistenza nel diritto nazionale del principio del “forum non conveniens” rafforzando al contrario la massima giuridica del “lex loci delicti”: la Corte Suprema, introducendo il concetto del “danno sostanziale”, afferma a più riprese che il danno da perseguire giuridicamente deve riguardare il luogo in cui l’attività o l’integrità della persona diffamata si sviluppa; per questo motivo, nella causa in questione, Black ha visto danneggiata la propria reputazione nel distretto dell’Ontario -grazie alla ripubblicazione nel circuito mediatico- ed è giusto che il foro competente nel giudicare la questione sia quello della città canadese. La Corte sottolinea come nella logica del danno sostanziale e comprovato cade anche ogni logica di tutela degli affari e dell’iniziativa privata, oltre a rimarcare anche un’altra differenza rispetto al diritto americano, ossia quella che si oppone al principio statunitense della “single publication rule”: la Corte afferma che in particolari ed individuati casi anche una semplice ripubblicazione costituisce un’altra pubblicazione, sganciandosi in questo modo dalla regola americana che non prevede questo particolare.

Il principio del “lex loci delicti” tuttavia non ha assunto la stessa importanza nel contesto giuridico americano: infatti rispetto al Canada negli Stati Uniti, pur distinguendo tra una general jurisdiction e una specific jurisdiction (per gli imputati non residenti negli USA), non viene applicato a pieno il parametro del danno sostanziale.

Questa differenza di approccio, che non prevede appunto la predominanza del “danno sostanziale”, si riscontra anche nel rifiuto statunitense del fenomeno giuridico Canadese del “dépecage”, ossia della possibilità in alcuni casi di integrare leggi e sentenze prodotte da Stati diversi (il diritto canadese è molto ancorato al ruolo dei tribunali dei vari stati federali).

Il sistema del “dépecage” è quasi diametralmente opposto alla cultura giuridica americana che più volte ne ha sottolineato i limiti, specie nella stesura delle cosiddette leggi anti-SLAPP, progettate per consentire la chiusura celere ed anticipata di cause legali senza merito e con scarso fondamento presentate contro persone le quali si vedevano leso l’esercizio del godimento dei diritti del Primo Emendamento. Le leggi anti-SLAPP nascono in origine come garanzia nei confronti di una tendenza di cause di cosiddetta “rappresaglia”, portate avanti per intimidire avversari o critici che si erano- o avevano avuto modo di- esprimersi nella sfera pubblica e nel dibattito pubblico.

Prima dell’introduzione degli statuti anti-SLAPP l’effettiva risolutezza delle affermazioni del querelante — per diffamazione, interferenza illecita, o altre motivazioni collegate — era al massimo una motivazione secondaria, mentre negli anti-SLAPP sono fornite le basi legali per avere un meccanismo rapido, efficace e poco costoso al fine di combattere e rivalersi in giudizio nei confronti degli accusati che hanno portato avanti la propria accusa senza giustificato motivo.

Gli statuti anti-SLAPP più forti adottati dagli stati americani oggi si possono riscontrare nel Nevada, nell’Oregon, nella Louisiana, nella Florida e nella Georgia e trovano il loro apice nel modello della California: nella patria della Silicon Valley i meccanismi anti-SLAPP sono più ampi e restrittivi, arrivando a coprire le cause di diffamazione con lo “scudo” del Primo Emendamento non solo nell’ ambito tradzionale del “diritto alla petizione” ma anche quelle dichiarazioni e interventi in favore dell’interesse pubblico intrapresi nel contesto della propria attività commerciale; non è un caso, in questo quadro, che il sistema giuridico della California sia quello preferito e di riferimento per tutti i giganti che operano nel web.

Internet: affinità e differenze tra i due paesi

È proprio nel mondo online che si ritrova un comune intento tra i due paesi quando si afferma il principio della non responsabilità degli internet service provider per contenuti pubblicati da terzi, sempre se gli ISP si configurano come hosting passivi e non, all’opposto, attivi: sia il Canada che gli Stati Uniti tendono a non sanzionare gli ISP che adottano misure di “real name policy”, configurandosi in questo modo come meri fornitori neutrali di servizi.

Nel 2002 in Canada è entrato in vigore il “Liber and Slander Act” che attua un primo tentativo di estendere la disciplina della diffamazione tradizionale anche ai contenuti via internet, sostenendo come la rete apra ad alternative e valutazioni complesse che devono avere in ogni caso come punto fisso il principio della “rilevabilità” ( discoverability) dei contenuti ritenuti lesivi dell’integrità personale. Il “Liber and Slander Act” rimarca anche il rifiuto della “single publication rule” e cerca di allargare la regola del “lex loci delicti” anche e sopratutto al mondo del web tentando di dare un’interpretazione al problema delle caratteristiche inevitabilmente globali intrinseche alla rete.

Alla legge canadese si contrappone il “Comunication Decensy Act” americano (varato nel 1996 con l’intento primario di regolare il flusso di materiale pornografico in internet) che stabilisce e sottolinea, oltre alla non responsabilità degli ISP nei contenuti opera di terzi, come negli Usa la diffamazione va comunque dimostrata con dolo, ossia con espressa volontarietà, oltre a dare le basi giuridiche per non svelare l’identità degli imputati anonimi che sono accusati di diffamazione via web. Esemplificativa in questo caso è un famosa sentenza del giudice americano nella contesa tra Dentrite v. Doe №3: la richiesta messa in evidenza dall’accusa era quella di pretendere che il motore di ricerca “Yahoo!” svelasse l’identità di una persona la quale aveva prodotto commenti diffamatori sotto forma di anonimato. Il giudice americano, con riferimento diretto al Primo Emendamento, ha reputato opportuno rigettare la rivendicazione sostenendo il primato del diritto all’anonimato via web.

Tutto ciò appena detto stride con l’idea e con il diritto canadese, sia per quanto riguarda il cosiddetto “Norwich Pharmacal Order” (1) che in relazione alla Carta dei diritti e delle libertà del Canada: nella “Carta” si effettua un bilanciamento con canoni di interesse pubblico e, in molti casi, è il prevalere dei valori della Carta a sopraffare il diritto alla libera espressione nella rete e non solo.

Nella legge canadese si individuano anche alcuni precisi step per l’identificazione dell’anonimato via web e per le conseguenti restrizioni, facendo riferimento al già citato modus operandi del “Norwich Pharmacal Order”; pur considerando la natura globale della rete, nel diritto canadese possono essere giustificate ingiunzioni e restrizioni sia dall’evidenza della diffamazione online che dal loro grado di gravità nei confronti della tutela della personalità: ancora una volta emergono chiaramente le differenze con il diritto americano che, nella sentenze della Corte Suprema, rifiuta le richieste di svelare l’identità dell’anonimo accusato ancorandosi al Primo Emendamento e alla sua protezione, nel caso in cui il “balancing test” portato avanti dal giudice sia privo di fondamento. Una volta di più si mostra come il ruolo storico della Corte Suprema e il fardello (“the burden”) del First Emendament condizionino pesantemente la dottrina giuridica americana anche nelle questioni di libertà d’espressione online.

Lo SPEECH Act: convergenza o imposizione?

La particolarità del sistema statunitense ha aperto e allargato il dibattito ultimamente per quanto riguarda un fenomeno giuridico molto diffuso, ossia quello del “tourism libel”, del “turismo della diffamazione”.Gli Stati Uniti accusano la Gran Bretagna e soprattutto il Canada di essere “plaintiff-friendly”, ossia di “strizzare” l’occhio e di privilegiare notevolmente il querelante e la sua tutela personale piuttosto che il diritto alla libertà d’espressione.

Questo aspetto, fondato o meno, influisce, secondo gli Stati Uniti, nei processi per diffamazione, in quanto molti privati e anche alcune aziende potrebbero agganciarsi a questa tipologia di normative o richiamare il giudizio canadese o inglese a seconda delle esigenze. Per questo motivo nel 2010 gli Stati Uniti hanno promulgato una legge federale, lo “SPEECH Act”, nelle quale oltre al rifiuto del “lex loci delicti” si restringe anche il campo d’azione di quei tribunali stranieri che non hanno come riferimento per la tutela della libertà d’espressione un parametro forte o simile a quello del Primo Emendamento. Whashington sostiene che non può recepire sentenze che provengano da paesi in cui questi minime soglie di legalità non siano garantite, in quanto paesi non conformi ad un “due process of law”: per questa ragione il sistema “provincialistico” e in larga parte decentrato della giurisprudenza Canadese dovrebbe adeguarsi agli standard del Primo Emendamento per fare in modo di essere riconosciuto nel diritto americano.

Pochi anni dopo lo “SPEECH ACT” e contestualmente alla sua adozione da parte del governo degli Stati Uniti, la Gran Bretagna con l’emanazione nel 2013 del “Defamation Act” ha tentato di ridefinire le linee del bilanciamento tra i due diritti contrapposti -libertà d’espressione e anonimato- vertendo in modo sensibile verso posizioni molto vicini alla giurisprudenza americana, che offre un’ampia protezione al diritto della libera manifestazione del pensiero.

E in Canada? Nel paese dell’acero, in cui -come si è visto- si è tendenzialmente più attenti alla rivendicazione della tutela della reputazione personale, lo “SPEECH Act” appare come una provocazione in piena regola e sopratutto come la constatazione, inaccettabile ed ex cathedra, di un principio di superiorità del diritto americano: può il Canada rinunciare alla sua autonomia e piegarsi all’eccezionalismo americano, recependo senza modifica le istanze dello SPEECH Act?

Solo il tempo, con le sue dinamiche evolutive, ci saprà dare una risposta mostrando se, al confine tra Canada e Stati Uniti, il cancello del “Peach Arc” tenderà, anche in ambito giurisprudenziale, ad aprirsi alla collaborazione o a chiudersi nei particolarismi.

Note

(1)Il Norwich Pharmacal Order è un ordine giuridico di derivazione inglese che prevede norme predefinite per richiedere informazioni e identificare persone e documenti utilizzabili dal querelante nel caso di un processo di diffamazione. Il Norwich Pharmacal Order recentemente viene utlizzato anche nei confronti degli ISP affinchè venga scoperta l’dentità degli anonimi nel web.

Riferimenti Bibliografici

Annual Review of Civil Litigation 2015:

“War of the Words”: Differing Canadian and American Approaches toInternet Defamation — — Antonin I. Pribetic and Marc J. Randazza.

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Filippo Massetti
Argomenti di diritto dei media digitali

Laurea triennale in Scienze della Comunicazione. Attualmente iscritto al corso di laurea magistrale in Comunicazione pubblica, digitale e d’impresa.