Libertà di informare: internet e l’illusione di una ‘terra promessa’

La Rete permette a tutti di produrre e accedere alle informazioni. Le difficoltà normative, però, rendono estremamente difficile un efficiente bilanciamento dei diritti in gioco. In questo contesto è cruciale il ruolo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte di Giustizia Europea

--

La libertà di espressione è un diritto fondamentale, direttamente legato alla capacità dei cittadini di partecipare e vivere in una società moderna. Uno di quei diritti che devono essere debitamente rispettati, garantiti e protetti dallo Stato e dalle istituzioni pubbliche. Con l’avvento di Internet, tuttavia, il paradigma utilizzato dai soggetti preposti a tutelare questo fondamentale diritto è cambiato drasticamente ed è in continua evoluzione. Siamo di fronte a un nuovo paradigma, non più basato sulla verticalità, sull’accesso e sulla responsabilità editoriale, ma fondato su un nuovo modello di spazio pubblico virtuale, caratterizzato da nodi di comunicazione orizzontali che si impegnano nello scambio globale di contenuti, senza l’intervento di intermediazione messo in essere dai media tradizionali. La struttura stessa di internet rende molto difficile, alla luce degli strumenti normativi esistenti, pensati cioè per un mondo fatto di atomi e non di bit, una regolamentazione efficace. Il limite più grande è legato proprio al fatto che il mondo è diventato globale, senza i limiti territoriali tradizionali, e per proteggere la libertà di espressione, si è reso necessario pensare a un approccio a livello mondiale. Cercare di ricorrere a una “normativa globale” è tutt’altro che un’operazione semplice. In primis a causa delle profonde differenze che caratterizzano i modelli europei, dove l’informazione è regolamentata nell’ottica di un bilanciamento tra i diritti dell’individuo, e gli Stati Uniti, dove il primo emendamento vieta categoricamente qualunque tipo di regolamentazione che possa limitare la libertà d’espressione. Sono numerosi i casi che hanno portato alla luce il problema di conciliare il concetto, quasi assoluto, incapsulato nel primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti e la protezione garantita dalle norme della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Questo contrasto è al centro di diversi casi in cui punti di vista e modelli entrano potenzialmente in conflitto, aggravando il problema giurisdizionale. Il caso Yahoo v Licra può sicuramente essere considerato come un esempio fondamentale.

In questa situazione Yahoo!, un fornitore di servizi Internet con sede negli Usa, è stato condannato da un tribunale francese a bloccare un sito web che vendeva cimeli nazisti (un reato ai sensi del codice penale francese). Yahoo!ha rifiutato di rispettare l’ordine, sostenendo che la corte francese non era competente e che, in ogni caso, il blocco di un sito web costituiva un’interferenza con la libertà di parola protetta dal primo emendamento. Il tribunale degli Stati Uniti, al quale è ricorso Yahoo!, ha tuttavia considerato valida la giurisdizione francese e legittima la decisone di imporre la restrizione. Qui, il possibile rischio di uno scontro tra diversi punti di vista radicati nelle posizioni europee e statunitensi era molto alto.

Cedu e Corte di Giustizia. La difficile sfida messa in campo dalle nuove tecnologie

E’ necessario considerare un altro fattore importante. E’ ben noto che l’UE, almeno alle origini, aveva lo scopo di creare solo una comunità economica. Tuttavia, in tempi più recenti, ha acquisito una dimensione sovranazionale, anche se la sua strada verso una identità costituzionale è ancora molto lunga. L’integrazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nella legge primaria dell’UE ha riconosciuto la libertà di espressione come uno dei diritti fondamentali formalmente tutelati. Di conseguenza, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha iniziato a esprimersi agendo come una corte quasi-costituzionale e aprendo le porte a progressi significativi sulla scia di un processo di emancipazione dalla natura economica originale dell’Unione europea. Tralasciando almeno in questo contesto le legislazioni nazionali, Corte di Giustizia e Cedu, grazie alla giurisprudenza prodotta negli anni, iniziano ad offrire un quadro generale di interpretazione su come l’Europa stia adattando la regolamentazione alla libertà d’informazione. Detto questo, sono molte le differenze che caratterizzano il processo legislativo delle corti di Strasburgo e Lussemburgo.

Il punto principale da sottolineare sta nel fatto che la Corte europea dei diritti dell’uomo agisce come giudice dei diritti fondamentali, mentre la Corte di giustizia ha il compito (non esclusivo) di valutare la conformità con il diritto comunitario. Questo aspetto, tuttavia, non ha impedito alla Corte di Lussemburgo di consegnare decisioni che portano con sé implicazioni significative per la tutela della libertà di parola. Questo si è verificato soprattutto in tempi recenti a causa dello sviluppo di Internet e, più in generale, delle nuove tecnologie. Nel campo di Internet — spiega Oreste Pollicino — mentre il problema dell’identificazione della giurisdizione rilevante della Corte di giustizia emerge sotto il versante ratione materiae nell’ambito dell’Unione europea, nel sistema della Cedu viene posto in rilievo sotto il profilo ratione personae, trattandosi di valutare la riconducibilità dell’asserita violazione alla “personalità” degli Stati che vi hanno aderito.

Occorre trovare un corretto bilanciamento dei diritti tutelati dalle Carte europee

A questo punto, per capire se c’è bisogno di una rimodulazione dei modelli di protezione (e bilanciamento) dei diritti e delle liberta ai tempi di internet, occorre osservare la giurisprudenza delle due Corti europpe. In particolare analizzando le modalità con le quali le due corti hanno individuato portata e limiti dell’esercizio della libertà di espressione in rete. Il fronte da approfondire è quello che caratterizza la tutela del diritto d’autore e dei diritti di proprietà intellettuale in Internet e il suo necessario bilanciamento con, in primis, la libertà di espressione e, in un secondo momento, con la libertà di iniziativa economica. L’avvento della tecnologia digitale ha moltiplicato le occasioni di emersione, e a volte di esplosione, di tale conflitto, proiettandolo in una nuova dimensione definita patologica, poiché ha universalizzato l’accesso alle risorse tecniche che permettono la fruizione, lecita o meno, di opere protette. Il passaggio dall’atomo al bit, con specifico riguardo a portata e limiti della libertà di espressione, ha determinato alla Corte di giustizia, quale prima conseguenza, un passo indietro della freedom of speech a favore della valorizzazione della libertà di iniziativa economica (a scapito della protezione del diritto d’autore on line), concedendo, dunque, alla Corte di giustizia la possibilità di effettuare un bilanciamento partendo da una situazione di maggiore simmetria tra i diritti in gioco. Alla Cedu, al contrario, la partita sembra tutta giocarsi all’interno di una reinterpretazione dell’ambito di estensione e dei limiti all’esercizio della libertà di espressione nel passaggio da un ambiente analogico a quello digitale.

Gli Internet Service Provider hanno sostituito i tradizionali gatekeeper dell’informazione

Sembra, quindi, che siamo in un’era di decentramento delle comunicazioni in cui emergono nuove opportunità per ogni individuo di ricevere contenuti e di parlare o scrivere liberamente. Allo stesso tempo, i vecchi attori stanno perdendo il loro oligopolio nel controllo delle informazioni e della distribuzione. La questione chiave, tuttavia, sta nel fatto che un nuovo pericolo di controllo o di censura proviene ora in gran parte da imprese private, invece che dallo Stato.

Il nuovo paesaggio di Internet sembrerebbe offrire ai cittadini nuovi e potenti strumenti che possono in qualche modo alleviare la necessità di un intervento pubblico diretto per proteggere o preservare la libertà di espressione. Tuttavia, come alcuni autori hanno fatto notare, Internet porta con sé anche nuove difficoltà che possono emergere a causa del comportamento degli Internet Service Provider (Isp), gestori di servizi che garantiscono l’accesso ai contenuti in base agli interessi di pochi gatekeepers. D’altra parte — ricordano Joan Barata Mir e Marco Bassini — gli individui non sono solo consumatori di contenuti e informazioni, ma per la prima volta hanno la possibilità di diventarne i produttori. Questa seconda prospettiva solleva molti problemi di regolamentazione, in particolare in una visione realistica, consapevole del fatto che la maggior parte dei contenuti generati dagli utenti non è posta in singoli siti web privati, ma in piattaforme di distribuzione popolari e redditizie, gestite da grandi aziende. È evidente che, in questi casi, il proprietario della piattaforma diventa in qualche modo il ‘regolatore’.

La Corte di Lussemburgo ha svolto importanti distinzioni per circoscrivere le condizioni di responsabilità degli Isp in modo coerente con l’evoluzione che la fisionomia dei provider ha registrato nello scorso decennio. Proprio questo è il crinale individuato dalla Corte per tracciare la differenza tra i due campi: da un lato, se vi è conoscenza e controllo dei contenuti, l’operatore ne risponde come se fosse un content provider, dall’altro, se tale conoscenza e controllo mancano, la sua responsabilità sussiste solo nella misura in cui, appreso dell’esistenza di contenuti illeciti, non provveda alla relativa rimozione. In questa decisione, dunque, si apprezza l’attenzione del giudice dell’Unione europea agli aspetti che caratterizzano l’attività dei provider, ma il respiro costituzionale dei valori in gioco non figura in alcun modo tra le maglie del ragionamento, inteso non già a compiere un bilanciamento tra diversi diritti, bensì a offrire un’interpretazione delle norme in questione coerente con i loro risvolti pratici. Si assiste, in questo frangente, a un’opera di bilanciamento, dove l’esigenza di garantire effettività alla tutela del diritto d’autore non può sfociare nello snaturamento del senso delle norme sulla responsabilità dei provider. Questo ragionamento conduce la Corte ad affermare che gli intermediari non possono in ogni caso essere gravati da un ordine volto all’adozione di sistemi di filtraggio che concreterebbero, nei fatti, una sorveglianza generalizzata sulle informazioni trasmesse.

Tra le principali sentenze Cedu, due sono particolarmente rilevanti.

Il caso Yildirim v Turkey

Rappresenta una delle più importanti decisioni della Corte relative alla libertà di Internet. La portata di questa decisione ha un impatto che va al di là del paese in questione. Il caso si riferisce a un ordine emesso da un tribunale penale nazionale turco, in cui si imponeva di bloccare un sito accusato di insultare la memoria di Ataturk. Su richiesta della Telecommunications and Information Technology Directorate (il regolatore) e per la ragione evidente che era l’unico modo per bloccare il sito incriminato, la Corte ha variato la propria decisione estendendo il limite di accesso a tutti i Google sites in base alle disposizioni di cui la legge nazionale. Yildirim v Turkey rappresenta un’innovazione giurisprudenziale molto interessante nella misura in cui si applicano criteri tradizionali, molto consolidati in termini di valutazione della legittimità di alcune restrizioni alla libertà di espressione nel mondo online, che stabilisce per la prima volta le condizioni dettagliate e le restrizioni che si potrebbero applicare a qualsiasi tentativo di limitare l’accesso a contenuti internet specifici.

Delfi v Estonia

Delfi v Estonia è particolarmente interessante poiché la decisione presa tocca in particolare la materia controversa e ancora irrisolta della responsabilità degli intermediari in internet. Delfi.ee è un portale di informazione molto popolare in Estonia, dove i lettori possono inviare commenti online. Nel 2006 caricando in maniera automatica i commenti degli utenti, senza alcun tipo di moderazione, in relazione ad alcuni articoli che descrivevano il comportamento inadeguato di una società di trasporti, un gran numero di commenti offensivi è stato rivolto all’indirizzo di un membro del consiglio di amministrazione della società. Nonostante la rimozione dei commenti dopo alcune settimane, la Corte Suprema stabilì una multa di 320 euro per danni non pecuniari. In particolare, la Corte ha dichiarato che Delfi era da considerare come l’editore dei commenti. La Cedu, chiamata in causa per valutare la sentenza, ha ritenuto che non vi era alcuna violazione dell’articolo 10, in questo caso basando la sua valutazione su quattro considerazioni principali. In primo luogo, alla luce del contesto dell’articolo 10, Delfi avrebbe potuto prevedere un rischio superiore alla media di ricevere commenti negativi, insulti e manifestazioni di odio. In secondo luogo, Delfi era in grado di prevedere la natura dei possibili commenti e avrebbe potuto intraprendere misure tecniche o manuali per evitarli. In terzo luogo, è stata una scelta di Delfi quella di consentire i commenti degli utenti non registrati e, così facendo, si è assunto una certa responsabilità. Infine, la sanzione moderata di 320 euro imposti dai tribunali civili è stato visto come una sanzione pienamente giustificata e proporzionata.

Le “maglie larghe” della Cedu sembrano avere la meglio

Abbiamo visto che nella giurisprudenza di entrambe le Corti si è posto il problema di adeguare il parametro normativo rilevante al nuovo scenario tecnologico. Tuttavia, non soltanto la Corte di Strasburgo sembra essere riuscita ad annullare le distanze che, per quanto riguarda l’adeguatezza del parametro, sembravano farla partire svantaggiata rispetto alla sua omologa a Lussemburgo, ma gli stessi giudici di Strasburgo sembrano, a dire il vero, anche in grado di potersi spingere ancora oltre, nel senso di apparire, come dimostra uno sguardo parallelo alla giurisprudenza in tema di responsabilità dei providers, maggiormente in grado di guardare alle specificità, anche tecnologiche, del caso oggetto di analisi.

I giudici di Strasburgo sembrano disporre di un più ampio margine di manovra, non essendo vincolati nel loro scrutinio ad accertare la conformità della legislazione degli Stati membri, rispetto al un parametro di giudizio a connotazione rigida come è di frequente il diritto derivato UE.

Sembra possibile affermare come quest’ultima, al contrario della Corte di giustizia, non abbia sofferto l’obsolescenza del parametro di giudizio rappresentato dalle norme sulla responsabilità dei providers, ma abbia potuto giudicare delle questioni rilevanti senza subire costringimenti causati da un parametro di diritto derivato eccessivamente rigido, anche grazie alla struttura “a maglie larghe” dell’art.10 Cedu.

Quanto agli esiti dei bilanciamenti nella giurisprudenza rilevante delle due Corti europee, in entrambi i casi essi sembrano portare a un ridimensionamento o, quantomeno, ad una relativizzazione della portata “espansionistica” della libertà di espressione. Ridimensionamento e relativizzazione che, se sul versante di Lussemburgo, si concretizzano, come è emerso in precedenza, in un avanzamento della libertà di iniziativa economica e una messa da parte del riferimento alla freedom of speech, a Strasburgo, invece, hanno assunto le sembianze di una valorizzazione dei limiti apponibili all’esercizio della libertà di espressione quando è esercitata in rete, il che ha attenuato di molto la sacralità di cui gode la stessa libertà, in ambito analogico nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Bibliografia

Freedom of expression in the Internet. Main trends of the case law of the European Court of Human Rights, By Joan Barata Mir* and Marco Bassini

Freedom of expression: Luxembourg and Strasbourg, By Oreste Pollicino

Sitografia

http://www.echr.coe.int/documents/convention_ita.pdf

http://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf

https://en.wikipedia.org/wiki/LICRA_v._Yahoo!

https://globalfreedomofexpression.columbia.edu/cases/ahmed-yildirim-v-turkey/

www.portolano.it/pcc_newsletters/delfi-vs-estonia-la-liberta-della-rete-e-davvero-in-pericolo/

--

--

Enrico Agamennone
Argomenti di diritto dei media digitali

Collaboratore presso il Corriere dell’Umbria, laureato in Scienze della Comunicazione e studente di Comunicazione pubblica, digitale e d’impresa.