Tu la faresti questa pubblicità?

(il titolo è una citazione: una espressione frutto di un confronto tra due passanti perplessi davanti ad un poster ambiguo visto per strada).

Artlandis
Artlandis’ Magazine
3 min readFeb 12, 2017

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Stamane Teresa mi ha mostrato un post segnalatole da un amico. Eccolo in copertina.

Superato il fisiologico sdegno (schifo) iniziale, dopo aver aggiunto questa nuova perla alle altre che mostro nei corsi e webinar di comunicazione visiva ho pensato di condividere la mia piccola raccolta ed affermare qualche concetto chiave che sono solito esternare nei suddetti corsi.

(screenshot dell’album di riferimento)

La raccolta (un album collaborativo che aggiornerò di volta in volta) si trova qui.

Considerazioni.
Non è mio interesse definire la natura della polemica necessaria.
E’ talmente ovvia da non richiedere approfondimenti.

Mi interessa di più affrontare altri aspetti (altrettanti ovvi ma meritori di qualche appunto).

1 — Il sesso vende. “Si sa”.
Si, possiamo accettare il principio ma quando si associa il “sesso” (inteso come linguaggio di comunicazione tra due esseri umani) al tema dell’Advertising, se trattato con rispetto verso il pubblico (tutto il pubblico: uomini, donne, etero e omosessuali) allora un ammiccamento, un gioco di parole, la simbologia o progetti visivi ispirati alla #Pareidolia sono accettabili e, a mio modesto avviso, anche intriganti (dal punto di vista del designer che dovrà realizzare il progetto).
Il sesso, la sessualità e l’intimità fanno parte della Vita.
Il problema nasce quando il committente, il grafico, il copy, il creativo o chicchessìa forzano l’argomento e triturano ogni concetto in una bestiale (in senso Darwiniano) miscela che dosa le incrostazioni nel cervello, sornioni risolini idioti, ignoranza sommaria (comprendere le implicazioni dell’espressione “fare promozione”? Giammai) e l’arrogante superiorità del maschione che, a prescindere, “alle donne piace così” (deliziosa espressione sentita in diverse occasioni con le mie orecchie).
Medievalità di genere, insopportabile per un anacronismo di cui non ci libereremo mai (l’elezione di Trump insegna).

2 — Il rispetto del pubblico
Come sopra: rispetto verso tutto il pubblico (uomini, donne, etero e omosessuali).
Il punto non è il doversi preoccupare di bigotti, moralisti e benpensanti (che mettono il becco arbitrariamente ovunque, con la fierezza degli illuminati).
Il “rispetto” consiste anche nel non considerare gli utenti (Clienti) come una massa di idioti che si lasciano facilmente convincere da qualsiasi messaggio.
Qualcuno non sarà d’accordo e potremo affrontare la dinamica della “massa” in un prossimo articolo che sto già preparando.

Nonostante l’arrivo di Trump, la persistenza dei LePen, Salvini e simili possa dimostrare il contrario (sic!) il pubblico osservato in qualità di “consumatore” sviluppa (o svilupperà) una sensibilità crescente e un livello di attenzione/consapevolezza che rende necessario rapportarsi in modo diverso con la Comunicazione “ordinaria” (da strada, diciamo così).

Il ragionamento è semplice.
Il pubblico è bombardato (a livello promozionale. Altrove è bombardato davvero ma siamo troppo occupati per interessarcene).
Quindi esso si distrae facilmente e ha bisogno di essere coinvolto.
Coinvolto davvero, però.
Una tristissima risatina davanti ad un “e tu dove glielo metteresti” (per citarne uno a caso) non è coinvolgimento.
Non è niente che abbia a che fare con il mestiere del comunicatore visivo.
Fine della storia.

3 — Il “purché se ne parli”
E’ na cazzata. Abbasta co sta storia.
Le volte in cui davvero funziona si riferiscono ad uno studio strategico talmente approfondito da ridicolizzare nettamente tre idioti (grafico, cliente e agente — una media ponderata) che semplicemente se la ridono grassamente davanti al visual “Fatti la cubana” (per citare un altro visual a caso tra quelli raccolti) pensando al futuro successo dell’iniziativa.
Dei veri machi.

Art

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