E’ giusto fidarsi dei Remote Workers?

Michele Nasti
Inside Bemind
Published in
5 min readJul 19, 2017

Abito di fronte a mio padre, vulcanico pensionato, ormai imprenditore. Io invece programmo per vivere, e dopo quattro anni in aziende tradizionali da un anno esatto lavoro da remoto per Bemind. Papà mi fa molte domande sul mio lavoro (“ma che fai dalla mattina alla sera?”) e soprattutto LA domanda:

Scusa Michele, ma il tuo capo o la tua azienda come fanno a sapere che stai lavorando davvero?

Nel senso: ti controllano? Ti danno degli obiettivi? scadenze? Devi rispettare l’orario 9–18? Belle domande!

Molti immaginano che il remote working sia così, e invece…

Prima di dare la mia risposta, ho girato la domanda al mio capo, Guido.

Hey Guido, come fai a sapere che sto lavorando davvero?

Esistono aziende che installano software sul tuo computer, e questo software scatta una foto dalla videocamera per verificare che tu sia effettivamente al pc, o peggio per controllare quali finestre hai attive sul desktop. Noi non usiamo nulla di tutto questo. Quindi, Guido, come fai?

La risposta non è arrivata subito: l’ho visto leggermente spiazzato. Diciamo che è come quando la tua ragazza ti chiede: come fai a sapere che mi ami?. All’inizio resti un po’ spiazzato e magari ti chiedi se non stia cercando di dirti qualcosa di peggiore. Fortunatamente non è questo il caso 😀

Risposta del capo: Beh…. Mi fido. Lascio parlare i risultati”.

Una parentesi sui Non Remoti

Diventare dipendenti “non remoti” di un’azienda, specialmente quando è piccola, significa entrare a far parte di una famiglia consolidata dove le persone si conoscono ed esistono dei rapporti, personali e lavorativi, già formati.

Essere assunti significa che il CEO ti reputa una persona che, all’interno di quelle relazioni interpersonali, può inserirsi agevolmente.

E se lavori da remoto?

Il rapporto di lavoro coi colleghi te lo devi costruire tu. E’ molto più difficile parlare di cosa hai fatto ieri o dove sei andato a mangiare via Slack o via mail. I periodi in loco o insieme sono fondamentali per questo genere di cose.

La fiducia del boss te la devi meritare. Certo, il capo deve essere predisposto a questo modo di lavorare, altrimenti si sta sempre sul chi-va-là. Nel mio caso non ho penato troppo, in Bemind sono tutti remote-friendly e fanno periodi da remoto.

Come meritarsi la fiducia? Rispettare i task, avere un atteggiamento proattivo e autonomo, rispettare le scadenze, non fare cazzate. Parlare con tutti ed essere chiari.

Io non posso certamente dire di essere il miglior dipendente del mondo, ho fatto le mie cavolate 😔, ma se sono ancora qui significa che non erano abbastanza grosse.

Autonomia, autonomia, autonomia. Avete un task abbastanza generico su cui lavorare, una figura di riferimento da contattare in caso di problemi o dubbi, e dovete trovare il modo migliore di portare a termine il task. Cosa fate? Come stimate il tempo necessario? Come riportate i vostri progressi? In questo caso, dovete essere bravi voi a dimostrare i progressi.

Rispondi su Slack. Gran parte della comunicazione passa da qui, diciamo un buon 90%; il restante 9% è sotto forma di (video)telefonata, e il restante 1% tutto il resto. Nel mio caso, quasi tutti i colleghi sono in loco e solo alcuni sono fuori; quindi anche su Slack si vede pochissima interazione.

Non ti manca l’azienda?

Quando salgo a Biella, dove ci sono tutti, penso che quello sia il miglior posto di lavoro in cui sia mai stato. Capisco anche perché un altro collega, Giuseppe, ha deciso di abbandonare il “remoto” e di trasferirsi in pianta stabile lì: ci sono delle cose che da remoto non si possono sbrigare, come discutere dei flussi di utilizzo di una nuova funzionalità, o nel mio caso dell’architettura da dare a un servizio. Certe cose vanno fatte “capa e lavagna”!

Inoltre manca quel senso di team che ho sempre sviluppato lavorando con altri. In azienda crei complicità coi colleghi coi quali vai a mangiare, sparli del capo, fai gossip, e ti aiuti se sei nella merda.

Per ovviare a questo problema ho radunato a me tutti i colleghi salernitani che lavorano da remoto, e abbiamo creato una sorta di co-working non ufficiale. Ora la pausa caffè ha senso 😉

Come migliorare la vita ai Remoters

In ogni azienda in cui abbia mai lavorato, al di là della metodologia usata (waterfall, scrum, etc.) c’era sempre una figura quasi tecnica che coordinava lo sviluppo, nel senso che discuteva con te delle cose da fare e pianificava il tuo lavoro. In effetti, nel lavoro remoto il manager continua ad esistere e ad avere un ruolo di primo piano: collante tra il mondo tecnico dei developers e il mondo non-tecnico del business. Ritengo che il ruolo di questi organizzatori/coordinatori sia fondamentale per avere un team di sviluppo perfettamente allocato e motivato.

Quindi? Come fanno a controllare se stai lavorando?

Ci sono due opposti che dobbiamo esaminare.

Il primo estremo è colui che si fa le sue 8–9 ore davanti al monitor, magari dalle 9 alle 18, e non fa nulla.

Il secondo estremo è colui che magari inizia tardi tardi, nel pomeriggio va in palestra, ma alle 23 sta committando su Github.

Entrambi lavorano 8 ore al giorno totali ma è evidente che c’è un’enorme differenza di produttività tra il primo e il secondo: un datore di lavoro preferirà sicuramente uno che gets the shit done.

Nel mezzo, secondo me, c’è l’optimum: lavorare in sufficiente contemporaneità con gli altri (così da rendere sincrona la comunicazione asincrona) e portare a termine i task richiesti. Ovviamente, se devi prenderti un’ora per fare una commissione puoi recuperare in serata. Questo un lavoro tradizionale non te lo permette.

Io cerco di essere proprio questa via di mezzo, in generale comunico molto con gli altri (sono addirittura arrivato al punto di scrivere “Buongiorno!” nella chat di gruppo!), comunico alle parti interessate a che punto mi trovo, etc etc. E’ grazie a questi atteggiamenti pro-attivi che sento di aver conquistato la fiducia degli altri.

Insomma, lavorare da remoto è comunque un lavoro come gli altri e come tale va onorato; ma non è la soluzione a tutti i problemi, non migliora automaticamente la qualità della vita e richiede adattamento da parte di tutti, dall’azienda ai capi, fino al lavoratore stesso. In bocca al lupo se intraprendete questa strada.

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