L’esperienza è lo specchio del brand

Quali sono le relazioni tra brand e prodotto, nell’era della user experience?

Michele Zamparo
Inside Bemind
6 min readFeb 12, 2018

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“Non ci interessa curare il brand, il nostro prodotto non ne ha bisogno.”

Ho sentito pronunciare questa frase in passato, in alcuni progetti ai quali ho partecipato come designer. Il prodotto in questione era discretamente funzionale e offriva una esperienza positiva ai propri utenti, ma mancava di identità solida: il coordinamento tra le promesse del brand e le caratteristiche del prodotto risultava confuso e fuorviante, la coerenza di linguaggio nei diversi touchpoint che compongono lo user journey (es. sito web, brochure, agenti di vendita, campagne, eventi) era inadeguata o a volte completamente inesistente.

Questo tipo di impostazione porta le persone a sviluppare reazioni di confusione e insicurezza che risultano in una percezione negativa del brand e, per associazione, anche del prodotto/servizio che esso offre, nonostante magari quest’ultimo sia stato progettato con cura.

Spesso non ci si rende conto che curando in un certo modo il prodotto, si sta effettivamente influenzando il brand, e viceversa: vediamo più nello specifico come funziona questo rapporto e come si sta evolvendo oggi.

Il brand è la promessa

useronboard.com

Le persone non comprano prodotti: comprano versioni migliori di se stesse.

In qualità di utenti, scegliamo determinati prodotti perché vogliamo vivere esperienze appaganti, certo. Ma c’è un elemento altrettanto determinante che ci guida, spesso inconsciamente, nella scelta: desideriamo essere persone migliori, relativamente a quelli che sono i valori che condividiamo o gli obiettivi che perseguiamo in determinati momenti della nostra vita.

evernote.com

“Evernote, il tuo secondo cervello”
“Ricordati tutto”

Tramite l’esempio di Evernote, è facile capire come il brand svolga il compito di interfacciarsi con le aspirazioni (e le emozioni) della persona che si avvicina al prodotto, facendo una promessa. Un’azienda può spingersi anche oltre a questo livello di comunicazione, sviluppando i propri valori e le proprie caratteristiche attorno ad un “why”, uno scopo, una motivazione profonda: ciò che da senso alle azioni di un brand e ne giustifica l’esistenza.

Perché è importante avere un why, per un brand? Perché ha un impatto sia sui clienti che sui dipendenti: uno studio condotto da Edelman ha rilevato che a parità di prezzo e qualità del prodotto, la cosa principale di cui i consumatori si preoccupano è proprio lo scopo superiore (why) del brand. Parallelamente, una recente ricerca condotta da Deloitte ha rilevato che l’81% degli intervistati che ha dichiarato di aver lavorato per un’azienda con un forte senso dello scopo era fiducioso che la propria azienda sarebbe cresciuta entro l’anno successivo.

Il why di un brand è la definizione di ciò che motiva il team ad alzarsi ogni mattina per andare a lavoro, il nucleo di valore che unisce le persone a muoversi verso un’unica direzione. La promessa. Il why è il faro che indica la direzione da seguire nelle decisioni di prodotto.

L’esperienza è la conferma della promessa

Authenticity, for me, is doing what you promise, not “being who you are”.

— Seth Godin

In psicologia, l’autenticità si riferisce alla conoscenza di sé e al prendere decisioni che sono coerenti con quella conoscenza di sé. Le aziende che sanno chi sono e cosa rappresentano, costruiscono la propria identità su delle fondamenta più solide. Trovare il proprio why è il passaggio più importante e fondamentale per poter costruire solidamente gli sviluppi del brand, con caratteristiche coerenti a tale filosofia fondante, che dovrà confluire in tutti i touchpoint presenti e futuri.
Le strategie di comunicazione, ma anche la progettazione dei prodotti stessi, potranno (e dovranno) attingere a tale dichiarazione per procedere in modo coerente nella creazione di valore per i propri utenti.

L’esperienza che l’utente ha con il prodotto/servizio è la conferma della promessa, la testimonianza tangibile di ciò in cui il brand crede.

Un brand senza un’esperienza dell’utente che ne confermi i principi è solo una promessa priva di prove concrete, ma un’esperienza senza brand è una testimonianza orfana del proprio why. Brand e prodotto devono muoversi condividendo costantemente obiettivi e valori, in un dialogo sincero e coerente. Spesso invece succede che le aziende percepiscano tali elementi come due entità separate: vengono entrambi curati e pianificati al meglio, ma non comunicano tra loro come dovrebbero.

In una situazione opposta a quella accennata all’inizio di questo post, può verificarsi che il sistema di branding sia solido e che la sua promessa sia, di per sé, molto valida, ma che allo stesso tempo il prodotto non rispetti tale promessa.

Quando prodotto e brand non sono coordinati tra loro.

Questa necessità di sinergia riguarda naturalmente anche tutti gli altri possibili touchpoint: le interazioni tra il personale e i clienti, ad esempio, sono anch’esse esperienze che possono confermare o smentire la promessa del brand, tanto quanto le caratteristiche del prodotto.

I brand “invisibili”

Intendiamoci, il bisogno di continuità tra brand e prodotto non è certo una cosa nuova, questi concetti sono ben padroneggiati da ogni vero professionista della comunicazione. Perché quindi dovremmo interessarci così tanto dell’argomento? Perché il nostro mondo evolve di continuo, e con esso anche il modo in cui interagiamo con i prodotti, digitali e non.

Le innovazioni tecnologiche ci stanno portando verso situazioni a “zero UI”: Pensiamo ad esempio a prodotti come Amazon Echo, o il più recente Apple HomePod, ma anche alla crescente diffusione dei chatbot: tutti sistemi in cui, per la prima volta nella storia della nostra interazione con le macchine, non siamo costretti ad imparare schemi di funzionamento di interfacce visive o testuali. Stiamo iniziando ad usare un linguaggio sempre più umano per “manovrare” i sistemi a nostra disposizione.

Il tono di voce, il timbro vocale e la cadenza nelle frasi di un assistente vocale come Siri devono essere progettati — esattamente come avviene per un sistema visivo (logo, elementi grafici, etc.) o per un’interfaccia grafica — in modo da essere coerente con carattere e valori del brand al quale appartiene. L’identità rimane percepibile, anche se l’esperienza che viviamo non riguarda la nostra vista.

Anche la personalità di un’interfaccia non visiva merita la nostra attenzione. Pensiamo ai chatbot: il feedback che riceviamo dal sistema è in questo caso testuale, comunichiamo con esso come faremmo con un nostro amico, chattando. Sappiamo bene che un messaggio testuale anche breve può avere molte sfumature di linguaggio, può essere interpretato, può comunicare risoluzione o indecisione, può risultare più o meno simpatico e giocoso (per esempio, usando le emoji nelle frasi 😸🐵💩).

Ci sarebbe molto altro da dire sulle peculiarità di questo nuovo genere di interfaccia, ma questo vuole essere solo un esempio per far comprendere il valore molto attuale degli schemi brand/prodotto di cui ho parlato finora:
a prescindere che il prodotto (o parti di esso) coinvolga la vista, l’udito, o altri sensi, è importante assicurarsi che l’intera esperienza sia in linea con il carattere del brand.

Conclusioni

La qualità del progetto di branding è fondamentale tanto quanto la tecnologia o il design del prodotto, e deve sapersi adattare ai cambiamenti di paradigma del nostro tempo, adottando soluzioni dinamiche che dialogano in armonia come parti integranti dello stesso ecosistema.

In un contesto in cui gli utenti sono sempre più consapevoli del valore delle esperienze d’uso, è importante ricordarci che brand e prodotto possono — e devono — avere un rapporto sincero, comunicando con lo stesso linguaggio e compiendo un percorso coerente.

I prodotti e servizi che progettiamo devono specchiarsi coerentemente nel brand, poiché essi ne sono le più importanti manifestazioni.

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