CONVERSAZIONI INNOVATIVE: PARLA ANDREA QUARTIERI, COO DI PACKTIN

gabriele catania
BericusBlog
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7 min readApr 13, 2022

Bericus è un’azienda che ama confrontarsi con le altre aziende, specie quando sono realtà ad alta intensità tecno-scientifica come Packtin. Fondata nel 2017 a Reggio Emilia da tre giovani ricercatori, premiatissima a livello nazionale e continentale, è oggi una delle più promettenti PMI dell’agroalimentare circolare italiano. In questa conversazione uno dei suoi co-fondatori, Andrea Quartieri, COO, racconta il percorso di Packtin e soprattutto gli obiettivi e le prossime mosse dell’azienda.

John Constable, Wivenhoe Park — Essex, PD

Quando è nata Packtin, Andrea?

L’idea alla base di Packtin è nata nei laboratori dell’Università di Modena e Reggio Emilia, dove io e due dei miei soci studiavamo l’utilizzo di fibre e conservanti naturali per abbattere gli scarti alimentari e il ricorso al packaging plastico. Nel 2017 abbiamo deciso di mettere a frutto queste ricerche, e portarle sul mercato, al servizio della società; in altre parole, di farle uscire dal laboratorio. Così è nata Packtin…

Che oggi non è più una startup, ma una science-based company. Qual è la filosofia alla base di Packtin?

Sai, io come i miei soci abbiamo un background molto concreto, siamo figli di imprenditori e agricoltori, e anche se abbiamo un dottorato non ci siamo dimenticati delle nostre origini. Riflettendoci, dunque, abbiamo solo aggiornato il detto dei nostri nonni: “del maiale non si butta via niente”. Noi partiamo dal principio che di ogni prodotto vegetale non si dovrebbe buttare niente, perché anche i sottoprodotti — ma sarebbe meglio dire “coprodotti” — che oggi vengono trattati come rifiuti, in realtà contengono molecole di altissimo valore, nutrizionale o funzionale. Valorizzarli al meglio per noi non solo è una gigantesca opportunità di business, ma un dovere morale, perché le risorse naturali sono sempre più sfruttate, la crisi climatica è ogni giorno più grave, e gli sprechi non sono più tollerabili.

Da sx a dx: Andrea Bedogni, Riccardo De Leo, Francesco Bigi, Andrea Quartieri

Packtin detiene brevetti?

Al momento abbiamo depositato quattro brevetti, due dei quali riguardano la nostra tecnologia estrattiva, che permette di scomporre diverse categorie di sottoprodotti vegetali nelle loro frazioni principali, risparmiando tempo ed energia (oggi costosissima). Nella Fabbrica del Futuro che stiamo costruendo a Reggio Emilia tutti gli impianti sono pensati per non generare alcuni tipo di rifiuto, in modo che sia sostenibile non solo il prodotto, ma il processo che porta a quel prodotto. Questa a nostro parere è la strada maestra per costruire un’economia davvero circolare, essenziale per tutti i paesi, ma specialmente per il nostro, da sempre afflitto da una cronica mancanza di materie prime.

Raccontaci meglio il team di Packtin.

Dato che siamo ancora una piccola impresa, il nostro team è ancora esiguo. Riccardo, Francesco e io costituiamo la parte scientifica, che porta avanti le ricerche e lo sviluppo tecnologico; veniamo dal mondo della ricerca, abbiamo tutti e tre un dottorato, però siamo anche figli di imprenditori (agricoli, nel mio caso), e in questi anni abbiamo imparato molto. Andrea, di formazione giurista, e Azzurra si occupano della parte manageriale e amministrativa, Gabriele della comunicazione. Possiamo poi contare sul supporto scientifico del professor Pulvirenti di Unimore. Ovviamente è un team che deve crescere, ora stiamo rafforzando la parte commerciale.

Packtin opera in sinergia con l’industria agroalimentare italiana, specie quella dell’Emilia-Romagna. Pensate di poter davvero contribuire allo sforzo del settore per diventare più ecologico, e rispettoso dell’ambiente? In che modo?

Certamente, noi cerchiamo di offrire una soluzione altamente innovativa, ed economicamente sostenibile, a una difficoltà vera dell’industria agroalimentare, non solo italiana ma globale. Vedi, i sottoprodotti dell’industria di trasformazione rappresentano un fattore di inefficienza nello sfruttamento delle risorse naturali, sono un serio costo economico per le aziende e un potenziale problema ambientale. Riportare questi sottoprodotti nel circuito produttivo, dargli nuova vita, può migliorare enormemente l’impronta ecologica dell’industria agroalimentare.

Packtin opera nella cosiddetta economia circolare. Pensi che questo particolare modello economico diventerà sempre più importante in futuro?

Sì. Non solo nel nostro settore ma anche in molti altri. Ciò che noi facciamo con i sottoprodotti vegetali nell’agroalimentare altri lo fanno nella moda, nelle costruzioni ecc. Il punto è che il modello economico lineare alla base dello sviluppo prodigioso dell’Occidente, e imitato da altri paesi industrializzati o in via di industrializzazione (Giappone, Corea del Sud, Cina, India, Indonesia e così via), ha generato molte delle gravissime sfide climatiche e ambientali che fronteggiamo oggi, e deve essere abbandonato, specie considerando il boom demografico nel sud del mondo, Africa in testa.

Avete già realizzato dei prodotti?

Abbiamo appena avviato la produzione di farine circolari ricavate dai sottoprodotti. Le prime proposte sono la farina di buccia d’arancia, di carota e di buccia di pomodoro. Inoltre, per quanto riguarda le nostre soluzioni naturali per aumentare la shelf-life dei prodotti freschi, stiamo ultimando le ricerche per coating commestibili di arance e pomodori.

Che tipo di investitori state cercando? Perché puntare su di voi e non su una startup del blockchain o del sofwtare?

Cerchiamo investitori pazienti, con forte background imprenditoriale e/o industriale, che ci possano supportare non solo economicamente ma anche nelle numerose scelte strategiche che abbiamo davanti. Aziende come le nostre non sono molto sexy per gli investitori, perché ovviamente non possiamo avere tassi di crescita paragonabile a una app company o a una startup fintech — noi siamo una realtà manifatturiera, non digitale –, però molto investitori dicono di voler fare la differenza, aiutare il pianeta, voler rendere il mondo un posto migliore. Ecco, noi di Packtin facciamo esattamente questo: non a parole, ma con i fatti. Chi investirà in noi potrà toccare con mano la nostra crescita, mangiarla, sentirla nell’aria migliore che respira. Un’altra storia!

Quali sono le vostre aspettative da qui al 2027?

Secondo i nostri piani tra cinque anni il nostro impianto industriale, la Fabbrica del Futuro come ci piace chiamarla, sarà in piena produzione! Potremo valorizzare, così, fino a cinquanta tonnellate di sottoprodotti al giorno, che è circa il 5% della disponibilità dell’Emilia Romagna. Da questi ricaveremo farine, estratti antiossidanti, fibre solubili e insolubili, e confidiamo di avere nel frattempo messo in produzione anche dei packaging alternativi alla plastica.

E come sarà Packtin tra dieci anni?

Dieci anni sono un’eternità, dal punto di vista imprenditoriale. Provo però a fare un piccolo esercizio di immaginazione. Nel 2032 il nostro impianto pilota, la nostra Fabbrica del Futuro, avrà fatto scuola, e le principali aziende agroalimentari italiane avranno tutte avviato dei processi di valorizzazione dei loro sottoprodotti, naturalmente utilizzando la nostra tecnologia [sorride] Utilizzare le farine vegetali in ogni prodotto alimentare sarà prassi comune, mentre utilizzare plastica per confezionare alimenti freschi sarà considerato un completo nonsense.

Il modello circolare di Packtin

In due parole, il business model di Packtin.

I sottoprodotti hanno ben tre diversi livelli di upcycling e valorizzazione economica. Il primo livello è la stabilizzazione, da cui ricaviamo farine funzionali circolari da utilizzare nei prodotti alimentari o zootecnici. Il secondo livello è l’estrazione, con l’ottenimento di zuccheri e vitamine, antiossidanti, fibre solubili e insolubili che hanno applicazione anche nel settore cosmetico, nonché come composti tecnici. Al terzo livello si colloca l’R&D di Packtin, che utilizza queste fibre e composti bioattivi per realizzare ingredienti e coating in grado di accrescere la shelf-life dei prodotti freschi.

Alla base di Packtin sembra esserci molta R&D. Questo commitment continuerà?

Packtin è nata dall’R&D, da studi iniziati all’università. Per noi innovare e fare ricerca è il modo migliore per differenziarci dai competitor e portare avanti i nostri progetti, quindi il nostro limite all’investimento in ricerca è solo quello finanziario. Purtroppo a volte il mondo universitario e quello imprenditoriale fanno fatica a parlarsi, e ricerche molto promettenti non trovano il giusto interesse al di fuori dei laboratori. Noi siamo certi dell’applicabilità delle nostre ricerche, per questo motivo non siamo rimasti in università e stiamo invece costruendo la nostra Fabbrica del Futuro.

È stato difficile mettere in moto Packtin? Avete trovato un ambiente favorevole alla crescita di nuove imprese innovative?

Creare da zero un’azienda manifatturiera è molto impegnativo, e ha costi non indifferenti. Per fortuna abbiamo ricevuto supporto dal mondo bancario, e a livello istituzionale siamo stati sostenuti dal Mipaaf, a conferma che lo Stato centrale ha preso davvero a cuore le esigenze di innovazione del paese, e dalla Regione Emilia-Romagna, che a livello nazionale credo sia davvero una delle più attente ai temi dell’innovazione e della new business creation, nonché da Unimore. Un grande grazie poi va ai colleghi di ART-ER, molto dinamici e reattivi. Quindi sì, è stata dura, ma non siamo mai stati soli.

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