Cosa fa un copywriter come me, soprattutto

Danilo Ausiello
BINDER
Published in
2 min readOct 27, 2023

La gran parte del mio lavoro

Ho scritto testi per Autogrill, Bulgari, Nutella, Kinder, Alitalia, Bacardi. E in più di 10 anni che faccio il copywriter ho scritto soprattutto testi invisibili. Parole non pubblicate, di servizio, non destinate a nessun pubblico. Ho dedicato la maggior parte del mio lavoro a scrivere cose senza gloria: strategie, presentazioni, rational, idee embrionali, email argomentate.

Sono testi che non vincono gare e premi, ma che fanno funzionare le cose, testi-ingranaggio. Parole che non emergono alla luce del sole, che non finiscono in ADV o in post su Instagram, ma che accompagnano e sostengono la creatività. Sono le parole-intorno: rotelline di frasi ben pensate e ben scritte che fanno girare la macchina.

La parte difficile è scriverle con la stessa cura riservata ad occasioni più ambiziose, come script e claim di campagne. E scriverle cercando motivazioni nelle pieghe stesse del lavoro, nella certezza indimostrabile che ogni virgola faccia la differenza.

Un giorno magari ci penseranno le AI e nel campo di chi scrive professionalmente l’efficacia delle intelligenze artificiali si misura anche su questo: in una qualità di scrittura che resti tale in ogni punto del processo, in alto e in basso, in grado di portare valore in ogni scambio, dentro ogni contesto, con ogni interlocutore. Non ci siamo ancora vicini, mi pare.

Aggiungo alla somma di testi invisibili l’enorme mole di cose scritte per proposte mai realizzate, scartate o arenate. Altre parole ferme nei cloud e non andate da nessuna parte — eterni work in progress o tentativi vani — perse nel flusso delle consegne. Poi la percentuale minima di testi selezionati e pubblicati ricompensa occasionalmente di tutte le ore passate a stendere quel tappeto di parole. Ma quella è la parte piccola. Il lavoro vero sono i testi-ingranaggio.

-

Ho ripensato a questo equivoco di un lavoro descritto soprattutto come un mestiere di guizzi, quando è più spesso far girare ingranaggi, leggendo dello scrittore Salman Rushdie e dei suoi anni come copywriter in grandi agenzie pubblicitarie come JWT e Ogilvy. Rushdie racconta esperienze frustranti, poco esaltanti dal punto di vista creativo, qualcuna perfino divertente (per un test gli chiesero di immaginare di incontrare un marziano e di spiegargli in 100 parole come si fanno i toast. “Fallii il test”, ha ricordato Rushdie). Eppure questo lavoro lo ha aiutato a costruire con la scrittura un rapporto professionale, fatto di regolarità e produzione continua, che gli è tornato utile negli anni a venire. Gli ha oliato gli ingranaggi, insomma. “Ora scrivo esattamente così. Scrivo come un lavoro. La mattina mi siedo e lo faccio. E non salto le scadenze. Sento che gran parte dell’arte professionale della scrittura è qualcosa che ho imparato in quegli anni nella pubblicità. E ne sarò sempre grato”.

--

--