I colori del sovranismo

Danilo Ausiello
BINDER
Published in
8 min readNov 20, 2018

Salvini è blu, Orban arancione, Bolsonaro verde-oro. Viaggio nella brand identity del populismo, paese per paese.

Politica, grafica.
Il branding della politica è materia di discussione senza certezze (un brand migliore produce risultati migliori? Più voti? Non ne ho idea). In generale può essere più interessante valutarne non tanto la presunta efficacia (a valle), quanto il suo riflettere identità e posizionamenti (a monte). I colori e i simboli che i partiti scelgono per rappresentarsi definiscono l’immagine che hanno di sé. Ne chiariscono ambizioni e appartenenze, prima che queste si annacquino nell’azione politica, attraverso alleanze, compromessi, cambiamenti di rotta. Il branding dei partiti racconta ciò che vogliono essere, molto più di quello che sono.

Noi siamo tutti blu.
Ho notato quello che mi sembra un buon paradosso nella comunicazione dei partiti populisti: che alla faccia del posizionamento anti-sistema e “disruptive”, le loro grafiche esprimono un immaginario tutto sommato pacato e rassicurante. Il paradosso si concentra soprattutto nell’utilizzo, con alcune eccezioni, di un colore dominante: il corporate-blue. Si tratta di una tonalità «associata a sentimenti di stabilità e unità» e che veicola «un’idea generale di calma e costanza». Viene utilizzato soprattutto dai brand del mondo finanziario (agenzie, banche, assicurazioni) per esprimere fiducia e affidabilità. Ritrovarlo associato ai partiti populisti, che a quel mondo gliel’hanno giurata, capite che viene da rifletterci.

Paese per paese.
Può darsi sia in corso una ri-connotazione di un particolare sistema cromatico, che assegna ai colori nuovi significati. O forse il meccanismo mira soprattutto a tranquillizzare, bilanciando l’impeto sovranista con toni sobri ed equilibrati. In ogni caso, quando si tratta di scegliersi i colori, le formazioni che sfidano élite e istituzioni pescano palette rassicuranti, con tonalità neutre e convenzionali. Lo fanno in modo diverso ma simile. Quindi andiamo a vedere. Paese per paese.

Usa

Il corporate-blue accompagna da tempo la comunicazione dei repubblicani, soprattutto in fase elettorale, nonostante il colore simbolo del partito sia storicamente il rosso (funziona al contrario rispetto all’Europa, dove i partiti di sinistra hanno assimilato dall’iconografia comunista il dna-rosso. Qui i rossi sono a destra, i blu a sinistra). In campagna elettorale la comunicazione di Trump ha combinato in parti uguali i due colori della bandiera USA, con gli sfondi blue alle spalle del leader in ogni comizio e il celebre “Make America Great Again” stampato su milioni di cappellini con testo bianco su background rosso. A questa bicromia tradizionale l’attuale presidente ha aggiunto il suo tocco “golden”. Golden come il logo sulla Trump Tower. E golden come i suoi capelli, vero simbolo del trumpismo e nuance distintiva del 45° presidente, insieme con uno stile visivo non proprio minimal.

Francia

Il system grafico di Rassemblement National, la nuova creatura di Marine Le Pen nata dal superamento del Front National, si riallinea quasi perfettamente all’identità visiva storica della destra francese. Quello che si nota, in questo script freudiano di una figlia che prende e liquida il partito del padre, è un deciso irrobustimento delle linee cromatiche, anche qui in direzione corporate-blue. Pur conservando il riferimento al tricolore francese, i visual del partito riducono lo spazio destinato al bianco. Nella nuova brand identity, così come nei post sui social network, il blu dominante si allarga fino a occupare tutto il campo, assegnando alla comunicazione un mood definitivamente aziendale, in grado di comunicare efficienza prima che orgoglio e autorevolezza prima che identità.

Ungheria

Fidesz, il partito del presidente Viktor Orbàn, rappresenta un’anomalia nell’universo cromatico sovranista. L’identità del gruppo è costruita sull’arancione, caratteristica probabilmente legata alle origini liberal del partito, prima della recente sterzata verso la galassia populista. Il logo della formazione viene completato dal nome in maiuscolo con font in bianco. In questo caso, all’identità safe che Fidezs condivide con gli altri partiti, la scelta aggiunge un tratto di energia e ottimismo. La forza distintiva del colore era stata tra l’altro al centro della campagna elettorale del ’94, per la quale era stato inventato lo slogan: «Se ti annoia la banana, scegli l’arancia!». In quel caso non era andata benissimo, i sostenitori orange avevano collezionato complessivamente il 7% dei voti. Ma il partito è andato avanti, portandosi dietro il suo arancione.

Italia

Il governo gialloverde non lo è poi tanto. Per la Lega la svolta è arrivata con il passaggio dal separatismo al nazionalismo: con l’estensione dello slancio leghista dalla Padania al resto del paese, il partito ha abbandonato il verde come colore identitario, con il suo portato simbolico di vicinanza alla terra e militanza locale. Dal 2016 in poi il brand-Lega vira sul blu presidenziale, che connoterà successivamente la campagna “Salvini Premier”, assimilando molti tratti della comunicazione di Trump. Anche l’evoluzione cromatica del Movimento 5 Stelle rappresenta un caso interessante di avvicinamento agli stilemi del sovranismo. Dal giallo dominante del primissimo branding, il movimento avvia un processo di mutazione visiva che ne riflette la mutazione politica. Le grafiche anarchiche della fase iniziale acquisiscono dosi maggiori di robustezza e simmetria, fino al completo allineamento alle tonalità navy dell’ultima campagna elettorale. In questo quadro un’eccezione parziale al connubio sovranismo/blu è quella di Fratelli d’Italia, i cui visual conservano spesso tracce di tricolore italiano. È il tentativo di esprimere un’identità nazionalista tramite il riferimento diretto alla bandiera, secondo uno schema più in linea con la semiotica tradizionale e che vedremo applicato anche dai populisti in Brasile.

Austria

Le grafiche che accompagnano la comunicazione del primo partito austriaco potrebbero essere quelle di una società di consulenza o di un gruppo bancario. Sotto la guida del 32enne Sebastian Kurz il partito popolare austriaco è cambiato molto, soprattutto per sottrarre voti alle forze crescenti della destra più a destra. Kurz ha scelto uno stile grafico nuovo, dal mood digitale, in linea con i trend del branding contemporaneo. Il colore del partito è passato dal nero al turchese, con l’obiettivo di rinnovare la vecchia immagine democristiana, portando leggerezza e contemporaneità. Durante la campagna elettorale Kurz ha puntato molto sul suo profilo rampante e atletico, coinvolgendo testimonial apprezzati dal pubblico giovane. Ad oggi l’immagine complessiva del capo del sovranismo austriaco assomiglia a quella di un mite e rassicurante colletto azzurro.

Brasile

In quasi tutti i visual a sostegno della vittoriosa campagna di Jair Messias Bolsonaro appaiono i colori della bandiera brasiliana. È un utilizzo vario e senza regole, che esprime intuitivamente lo spirito nazionalista della nuova leadership. Uno sguardo ai profili social della campagna restituisce un tripudio di composizioni verde-oro, tra cui fanno capolino le maglie dei grandi calciatori brasiliani che hanno sostenuto la candidatura. In questo caso il corporate-blue è introdotto nell’estetica bolsonariana solo dalle linee grafiche del partito di appartenenza (PSL, Partido Social Liberal), anche se in maniera ridotta rispetto agli altri casi. Praticamente tutti i visual vedono il nuovo Presidente al centro della scena, in pose spesso particolarmente energiche. Un gran sgranare di denti e puntare di dita che ricorda da vicino la comunicazione fisica ed esibizionista di qualcun’altro.

Germania

Anche l’impianto visivo di Alternative für Deutschland, il principale partito populista tedesco, presenta una combinazione di blu e rosso, seppure in versione light. È una scelta in qualche misura coerente con il posizionamento alternativo del partito nel quadro tedesco, in cui Afd rappresenta ancora una forza minore, rispetto ai populismi di governo degli altri paesi. Le tonalità particolarmente luminose hanno l’obiettivo di associare al partito un senso di freschezza e novità. Almeno nelle intenzioni. A un certo punto hanno avuto problemi con il logo, che a qualcuno è sembrato la versione a colori di quello degli storm-troopers nazisti.

Russia

United Russia, la formazione pro-Putin nata nel 2001, è l’unica realtà populista saldamente al potere da tempo. Rappresenta l’unico caso in cui il sovranismo esprime un’idea di continuità, piuttosto che di rottura e cambiamento. Il system grafico del partito riprende i colori della bandiera russa, con la costante prevalenza del blu, anche in questo caso sfondo e cornice in gran parte delle composizioni. Il logo unisce in assetto super-bold bandiera, naming e la stilizzazione di un orso siberiano, feroce simbolo di fierezza e forza (qualche tempo fa il logo era stato usato dai narcotrafficanti sudamericani per timbrare quintali di cocaina sequestrata in Europa). Ovviamente il branding del partito si fonde con le linee e i colori dell’icona-Putin: la faccia del presidente è riprodotta in miriadi di poster e t-shirt, virata in infinite tonalità come una stella pop planetaria. L’immagine di Putin è quella di un action-figure muscolare, entrato ormai nell’immaginario del mondo. Il grande eroe e condottiero del sovranismo globale.

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