Il Made in Italy ci è sfuggito di mano

Danilo Ausiello
BINDER
Published in
2 min readJun 26, 2020

Un post italiano, con parole 100% italiane

Era cominciata prima del Covid, ma è peggiorata. In una situazione senza precedenti gli italiani si sono uniti, con l’idea di riconoscersi in una comunità. Sono arrivate le bandiere alle finestre e gli inni sui balconi. E poi è arrivata la pubblicità.

Gli uffici marketing dei brand hanno lanciato una comunicazione patriottica (riparti Italia, resisti Italia, daje Italia) che a breve è dilagata ovunque, lasciando scie tricolori in tv, negli spot, sui giornali.

Ma era cominciata molto prima: i limoni italiani, il detersivo italiano, la banca italiana. Lo sapete bene. Può sembrare tutto sommato innocua, e abbiamo iniziato a darla per scontata. Ma l’italianità come strumento di marketing è soprattutto un trucco vuoto, un posizionamento che non comunica nessun valore su un prodotto o un’azienda. È geografia spacciata per qualità.

Il Made in Italy era nato in riferimento a presidi di evidente eccezionalità, riconosciuti in tutto il mondo (la moda, la Ferrari, la ferragni). Oggi si è esteso alla qualunque, usando il km 0 come sponda e pretesto. Il rischio è svuotare l’etichetta di qualsiasi significato, ripetendo un mantra che non vuol dire niente più, che ci bombarda da ogni direzione.

E sarebbe solo stupido se non fosse preoccupante. Preoccupante perché la pubblicità con il suo martello plasma molte delle idee su cui si costruisce l’immaginario di un popolo. Forma cliché e pregiudizi, in questo caso un certo senso di superiorità nazionale e l’idea di respingere invasioni (comprate italiano!). Quando sbucarono i sovranismi, la pubblicità aveva già scavato i tunnel.

Nel migliore dei mondi possibili dovremmo valutare la comunicazione dei brand per le stesse qualità che riconosciamo alle persone: intelligenza, integrità, rispetto. Se qualcuno va in giro vantandosi di essere “100% italiano”, voi lo prendete per scemo, giustamente. Ricordatevelo al prossimo spot in tv.

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