IL SOGNO CHE CI ABITA
Quello che ho imparato da Claudio Tomaello: non confondere strumenti e obiettivi
Avevo confuso le carte. Ancora una volta.
Avevo scambiato la bussola con la meta, lo strumento con l’obiettivo, il megafono con la voce.
E mentre lo ascoltavo raccontare — con quel suo modo pieno e semplice, rotondo e tagliente insieme — mi è arrivata una chiarezza improvvisa. Di quelle che non fanno rumore, ma si sentono nel corpo. Sotto lo sterno. Nello stomaco.
Il mio obiettivo non era quello. Era solo un mezzo.
Ci ero già arrivata qualche giorno fa in uno dei miei incontri con , ma oggi l’ho sentito ancora più netto nel corpo. Nel profondo.
È stata una conferma.
Internet, la scrittura, le storie, i progetti, persino il mio lavoro… non sono il fine. Sono solo strumenti.
Il vero obiettivo è sempre stato uno: cambiare. Migliorare la mia vita. Diventare chi realmente sono.
Cambiare io.
E aiutare chi incontro a cambiare e a seguire il proprio perché, la propria vocazione, il proprio sogno — nel senso ebraico del termine.
A diventare più buono, più buona, più saggio, più saggia, più amorevole.
A tornare a sé.
Per questo, oggi, voglio cominciare dalla fine. Dall’ultima cosa che ha detto, quella che mi ha risuonato dentro come un’eco:
“Il tuo valore è in chi stai diventando. E chi stai diventando dipende da te.
Solo da te. Non è il successo, non è il traguardo a definirti, tu vali indipendentemente da questo. Sei diventata te stessa. Sei diventata Marisandra. Semplicemente questo.”
Quella con Claudio Tomaello non è stata solo una giornata.
È stata una soglia.
Una porta aperta sulla fiaba, che non è solo un racconto per bambini ma una mappa sacra.
Una guida archetipica per chi ha perso la direzione o ha dimenticato il proprio desiderio.
Abbiamo ascoltato fiabe e silenzi, storie e lettere dall’Ebraico antico come mappe dell’anima. Abbiamo riso, scritto, chiuso gli occhi e viaggiato nei nostri ricordi più antichi — quelli custoditi nel corpo.
Ma soprattutto abbiamo imparato che ogni sogno vero ha tre movimenti:
un viaggio, un ostacolo, una creazione.
Tre movimenti compresi in una sola parola ebraica: ḥalòm, che significa “sogno”, ma anche “guarigione”.
I musicanti di Brema
La fiaba che ha aperto il cerchio — quella dei quattro animali vecchi, stanchi, abbandonati — ci ha insegnato che non è mai troppo tardi. Che l’“ormai” è un’illusione.
Il sogno, ci ha detto Tomaello, ha sempre due facce:
una forma iniziale — Brema, la città della musica —
e un’essenza profonda — dare voce a se stessi, alle proprie parti più dimenticate o scartate.
Ecco perché non importa se alla fine non si arriva davvero a Brema.
Importa aver osato partire. Aver detto sì.
Aver incontrato, lungo la strada, alleati improbabili, voci stonate, desideri salvati dall’oblio.
Ogni animale rappresenta una parte di noi:
- L’asino è il corpo fisico. “Tutto parte dall’asino”, ha detto Claudio. È lui che ci porta nel mondo. È da lì che arriva il primo impulso, il primo sentire.
- Il cane è il corpo energetico. L’energia che ci muove, che ci tiene in piedi o ci butta giù.
- Il gatto è il corpo animico. Le emozioni, il mondo lunare e mutevole del sentire profondo.
- Il gallo è l’io. La nostra scintilla divina, quella che può svegliarci dal torpore e indicarci la strada.
E proprio nel momento in cui queste quattro parti si allineano, anche nella goffaggine di un concerto stonato, i briganti — che sono le nostre abitudini parassite, i nostri giudizi, le paure che ci rubano energia — fuggono via.
“Quando i quattro animali realizzano il loro sogno, sono uno sopra l’altro: asino, cane, gatto, gallo. L’io e i tre corpi allineati. Questo è il segnale. È lì che la casa interiore torna abitabile.”
La balena di Giona
Se la fiaba ci insegna a partire, la storia biblica ci mostra cosa accade quando si rifiuta la chiamata.
Giona riceve un compito: andare a Ninive, ma ha paura.
E scappa nella direzione opposta, verso Tarsis.
Non vuole “fare il bene”. Vuole salvare la sua coerenza, il suo giudizio, la sua identità. Ma viene inghiottito.
Eppure la balena non è punizione: è grembo.
È il buio fertile dell’attesa.
È il luogo in cui si smette di fuggire e si comincia a comprendere.
È lì, in quella pancia, che si compie il vero viaggio: quello verso se stessi.
E si scopre che non sei qui per raccontare come Internet possa migliorare la vita delle persone. Sei qui per diventare te stessa. Quello che scegli di fare è solo lo strumento per realizzare te stessa.
E se lo capisci, non sei più comprabile.
Non sei più manipolabile.
Perché comprendi che il successo vero non si misura con il raggiungimento degli obiettivi, ma con chi stai diventando mentre ci provi.
E riconoscerai come non tua la voce dell’ombra — quella che ti dice “vali solo se …” Perché l’io non giudica. L’io ama. Anche quando sbaglia.
L’io, se sbaglia, si chiede: “Cosa posso imparare?”
E allora sì, oggi ho sognato. E sto guarendo.
A condizione di ricordarmi, ogni giorno, che non devo confondere lo strumento con l’obiettivo.
Il mio sogno è aiutare le persone a scoprire chi sono,
a riprendere in mano la loro voce — anche se la sentono stonata —
e a riconoscere l’essenza del loro cammino.
Oggi Claudio mi ha fatto capire che con il mio Destinazione Sé, in pratica, riscriviamo insieme le nostre mappe. E impariamo a distinguere tra Brema e la nostra vera casa.
Perché anche tu, come l’asino, il gatto, il cane e il gallo,
puoi scoprire che il tuo sogno è molto più vicino di quanto pensi.
E comincia sempre con un singolo passo.
P.S.
Avevo letto la fiaba dei Musicanti di Brema tante volte.
Ma è la prima volta che mi scava così dentro.
È la prima volta che sento quei quattro animali — l’asino, il cane, il gatto e il gallo — non solo come personaggi, ma come parti vive di me:
il mio corpo, la mia energia, le mie emozioni…
e quella voce interiore che prova a cantare anche quando non ha ancora trovato il tono giusto.
Grazie a Claudio Tomaello, ho scoperto che quando queste quattro parti si allineano, si aprono porte.
Si conquista una casa.
Si libera la voce.
E proprio mentre lo ascoltavo raccontare, ho sentito che io stessa sono nel ventre della balena.
Quel luogo misterioso, denso, necessario.
Il prima di qualcosa.
Il prima dello spruzzo che ti ributta fuori.
All’asciutto. A nuova vita.
Con tutto quello che queste parole — ermetiche e antiche — vogliono dire.