SIAMO SEMI

Marisandra Lizzi
BIO-Energetica Umanistica
14 min readAug 31, 2023

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Il mio primo intervento su Natura e Umanità.
L’Innovazione c’entra, eccome.
Non dimenticherò mai questo momento. Grazie Alessandro Doria.

La locandina di Riflessioni Lagunari | Festival del 2023 dell’Associazione Terre Perse per Ritrovarsi | credits: Studio Reclame | Mirandola Comunicazione

“Terre perse per ritrovarsi” è l’associazione culturale che dal 2021 promuove il Festival Riflessioni Lagunari. Il luogo in cui questo avviene è già parte essenziale del programma perché si trova su una splendida lingua di terra adagiata sul mare dal Lido di Venezia alla spiaggia di Alberoni. Quando in vaporetto si lascia Venezia per arrivare al Lido già si percepisce, in tutta la sua magnificenza, il rapporto incredibile che lega l’Umanità alla Natura. Arrivati al Lido, si prende il pullman per arrivare ad Alberoni, attraversando quasi per intero la strada che costituisce l’ossatura di questa terra adagiata sul mare per circa 12 kilometri di lunghezza e per una larghezza minima di 196 e massima di 1,7 km. Il viaggio dura poco più di un’ora che è un tempo giusto affinché il nostro corpo e la nostra mente abbiano la capacità di adattarsi alla meraviglia di questa relazione incredibile che lega gli abitanti di queste terre al mare, al cielo, alla terra, alla bellezza estatica di questo territorio.

Quando Alessandro Doria, il Presidente di “Terre Perse” mi ha chiesto di venire a parlare di “Umanità e Natura”, sulle prime mi sono stupita perché solitamente è più facile che mi chiamino per parlare di innovazione digitale. Dagli albori del web, infatti, è di questo che mi occupo.

Dal 2017, però, ho sentito fortissima l’esigenza di integrare i miei studi sul digitale con quelli sulla rete più importante di tutte che è proprio la Natura. Mi sono iscritta a un Master di Naturopatia Umanistica che poi è continuato in uno di Bioenergetica che si conclude proprio quest’anno (a settembre, se tutto va bene, mi diplomo).

In sogno mi è venuta l’idea di consegnare ai partecipanti un seme di bambù.

In verità ho sognato che la nostra “collina dei sogni che diventano progetti” fosse diventata un immenso bosco. Un bosco di bambù giganti, alti 4o metri, in un’estensione di 20 ettari. Noi umani camminavamo all’ombra di questi giganti verdi, sentendoci piccoli piccoli. Non poteva arrivarmi un messaggio più chiaro ed esplicito di questo e, appena sveglia, ho sentito l’esigenza di scrivere. Il mio testo doveva essere anticipato da quello che Carlotta Sarina mi aveva fatto leggere tempo prima. Il titolo era SEMI. A Mauro è venuta l’idea di coinvolgere Sharxx non solo nel suo ruolo abituale di produttore musicale, ma anche in quella di danzatore. La regia di Mauro Sarina ha reso unica e indimenticabile l’intera esperienza.

In verità sulla collina esiste già un piccolo boschetto che abbiamo seminato 20 anni fa, ma ho deciso di piantare anche i semi di Terre Perse per farli diventare il bosco di fusti alti 25 metri che ho sognato.
Sempre sogni che diventano progetti che migliorano la vita delle persone, questa è per me l’Innovazione.

Il boschetto di bambù di Mirandola Comunicazione, quello già nato e quello in incubazione

Apre il mio intervento il monologo di Lotta dal titolo SEMI che si conclude con le sue parole nella splendida musica di Sharxx, suo produttore musicale, che è anche un incredibile danzatore e molto altro.

Dal monologo di Lotta dal titolo SEMI, la danza di Sharxx

Ho deciso di pubblicare il testo integrale del mio primo intervento su Umanità e Natura, è lungo, ma ci tengo a condividere parola per parola perché sono state tutte molto importanti per me. Anche quelle più DOLOROSE, forse soprattutto quelle.

“Ci stiamo sempre più disconnettendo dalla Natura. Viviamo immersi costantemente in un brodo di parole e immagini che sentiamo la necessità di processare quasi per intero come se dovessimo setacciarle tutte, una ad una, perché non sappiamo che cosa è rilevante per noi e che cosa no. Siamo connessi alle informazioni che arrivano in modo incessante, quelle emesse dalla natura stessa si sommano a quelle emesse dall’uomo e dalle macchine in quantità mai sperimentata prima.

Attraverso il digitale, infatti, la nostra energia è in tensione costante nel decidere quale informazione trattenere e quale eliminare in un processo di depurazione organica continuo che affatica i nostri corpi.

Con lo sviluppo sempre più veloce dell’intelligenza artificiale l’energia che i nostri corpi dovranno dedicare al lavoro di selezione e di filtro dovrà aumentare esponenzialmente.
È importante essere consapevoli dell’interazione costante della nostra vita negli ambienti in cui viviamo, siano essi naturali o artificiali.

Perché noi siamo energia e scambiamo costantemente energia con l’ambiente esterno e in questo scambio continuo, gli effetti sui nostri corpi e sulle nostre menti possono essere positivi o negativi. L’abbiamo visto all’inizio l’effetto che le notizie che riceviamo in modo continuo possono avere sulla nostra essenza, sul nostro seme. Sono alimenti o informazioni spesso che assumiamo inconsapevolmente , come una sorta di flebo senza soluzione di continuità.
Stiamo lavorando sempre di più per processare tutto questo, in connessione continua, a ritmi che ci stanno portando a livelli di sofferenza e di stress senza precedenti.
Viviamo sotto un bombardamento costante di notifiche che pongono il nostro corpo costantemente in allerta come se, immaginandoci di tornare alla vita umana primitiva, vivessimo costantemente sotto attacco di animali feroci. Il nostro cervello ci manda segnali di fuga costanti e in questa percezione di pericolo imminente, il nostro corpo accumula tossine e si protegge con corazze sempre più spesse che tendono a bloccare il fluire libero dell’energia.

Il digitale rischia di entrare in ogni spazio e in moltissimo tempo della nostra vita e ci porta a vivere disconnessi dal nostro corpo, anche se non ce ne rendiamo conto, è come se dimenticassimo di averne uno.

Il nostro corpo molto spesso è DIMENTICATO.

Come quando mangiamo senza sentire il sapore o quando siamo in un luogo immersi in un altro, mai totalmente presenti, attraversiamo la vita senza vederne i molteplici colori e le infinite sfumature. In effetti in molti casi l’innovazione digitale ha migliorato la vita delle persone, ma troppo spesso si è rivelata una trappola ancora più subdola perché travestita da angelo salvatore. Una trappola che va smascherata senza buttare quanto di buono ha portato alla società, ma avendo il coraggio di prendere consapevolmente le distanze da tutto quello che non funziona e che, addirittura, ottiene l’esatto contrario di quanto promette. Ci siamo illusi che l’innovazione digitale fosse sinonimo di democraticità, di sostenibilità, di abbassamento dei prezzi, di lotta all’eccessiva concentrazione del potere e della disuguaglianza. E invece …. Pensiamo al commercio elettronico che ha generato una concentrazione della ricchezza superiore a quella che aveva immaginato di scardinare. Per non parlare delle criticità anche da un punto di vista della sostenibilità ambientale.

La libertà promessa dallo smart working oggi sta mostrando tutti i suoi limiti perché molti lavoratori vivono una situazione di ansia da reperibilità continua che non aiuta certo la loro produttività, figuriamoci la creatività, il loro benessere. I social media possono essere un luogo di libertà creativa ed espressiva, ma per esserlo bisogna capire che siamo noi a decidere se farli fiorire o appassire, accendere o spegnere. Che senso ha stare alle regole del gioco di algoritmi in cui “la popolarità e il consenso hanno preso il posto della competenza, la verità è sparita dietro la rappresentazione”. (…)” — come ha scritto Concita De Gregorio — e dove la regola è diventata la manipolazione.

Sono fermamente convinta che Internet sia la collina, non il cellulare e lo avevo scritto per la prima volta nel 2019 quando questi problemi non erano ancora così conclamati e prima che una pandemia globale ci mostrasse in tutta la sua virulenza l’infinita caducità delle nostre vite. Una caducità che oggi ci porta a scelte drastiche che pongono il nostro benessere prima di ogni forma di innovazione. I dati di Microsoft sono impietosi, ci mostrano un aumento delle riunioni di lavoro post pandemia del 153%, delle chat del 32%, del 28% è aumentata la media del lavoro fuori orario e del 13% la durata della giornata lavorativa. Le nostre vite sono sempre più frenetiche e in ansia costante da prestazione e da gara verso modelli irraggiungibili di perfezione e di irrealtà.

Stiamo accelerando invece di rallentare. Ma la tecnologia e l’innovazione non avrebbero dovuto ridurre questi dati? Non avrebbero dovuto liberare le nostre vite dal lavoro inutile, ripetitivo e ridondante?

Ma la tecnologia non doveva migliorare le nostre vite?

Ricordo bene il Natale del 2017. Il nero ha iniziato a prendere sempre più spazio dentro di me. Il dolore fisico, spesso, non è altro che un messaggio del nostro corpo che ci chiede di cambiare qualcosa nella nostra vita. Non dobbiamo portare i nostri corpi a urlare. A me è successo proprio durante la missione romana, una ciste ovarica aveva simulato una gravidanza tardiva, ma non era una nuova vita che nasceva dentro di me, piuttosto era la mia vita che urlava di rinascere, di tornare al centro della mia esistenza, era il forte bisogno di riprendermi ciò che avevo lasciato in quel correre correre correre senza più una direzione. Avevo perso me stessa. Una perdita in grado di spegnere quella fiamma capace di illuminare il percorso e di scaldare la vita.

Era solo buio, freddo, dolore.

La luce che viene spenta e non trova il modo di riaccendersi. Quello che mi stupiva è che il riverbero di quella fiamma sembrava riscaldare e illuminare anche le persone intorno a me. L’aver perso quella luce, quella energia riscaldante non stava rendendo solo la mia vita più difficile, ma anche quella delle persone a me più care. Tutto sembrava andare storto. Mi stavo disconnettendo dalla Natura, mi stavo allontanando dall’energia pulsante del mio seme. Stavo perdendo la mia essenza presa da una corsa folle senza più una direzione.

Era solo buio, freddo, dolore. Il nero ha iniziato a prendere sempre più spazio dentro di me. Buio, freddo, dolore. Ma a un certo punto ho avuto il coraggio di dire BASTA!!!!!!!

Ci sono momenti nella vita in cui tutto sembra perduto, in cui ogni sforzo sembra essere vano. Fasi inevitabili per ognuno di noi, che possono essere affrontate in modi molto diversi. Vi voglio raccontare la favola giapponese del bambù.

“La leggenda narra che due agricoltori passeggiavano per il mercato, quando la loro attenzione venne catturata da alcuni semi sconosciuti. Chiesero al venditore cosa fossero e quello rispose che venivano dall’Oriente e che erano semi speciali. Ma non svelò il perché ai due curiosi, dicendo loro che se li avessero acquistati e piantati, dando loro solo acqua e concime, lo avrebbero scoperto da soli. I due agricoltori li acquistarono ed entrambi li piantarono, seguendo i suggerimenti del venditore. Passò un periodo e nulla accadde, nonostante altre piante fossero già fiorite e avessero dato frutti. Uno dei due si lamentò sostenendo che quei semi erano una truffa. Da quel momento non se ne prese più cura. L’altro agricoltore tenne duro e continuò a concimarli. Tuttavia nulla accadeva. Era passato talmente tanto tempo che anche l’agricoltore più tenace era sul punto di lasciar stare, ma un giorno vide finalmente crescere un bambù. E in sole 6 settimane le piante raggiunsero l’altezza di 30 metri. Durante il lungo periodo di inattività il bambù aveva generato un articolato sistema di radici, grazie al quale avrebbe poi potuto crescere e prosperare.”

All’ingresso vi è stata consegnata una bustina. Sapete che cosa contiene?

Contiene proprio un seme di bambù.

Non è meraviglioso sapere di avere in mano una vita in potenza? Una pianta di cui esistono circa 1400 specie, 100 generi, la cui altezza può variare da pochi centimetri a più di 40 metri. Avete in mano la potenzialità di una pianta che rappresenta per la simbologia orientale la forza interiore che è basata sulla flessibilità. Non solo, come abbiamo appreso da questa favola, questo piccolo seme, quando viene piantato per cinque o sette anni la sua evoluzione avviene solo sotto terra, non è visibile. Anche questo è molto interessante: per evolvere non è necessario essere sempre visibili. Una massa solida e fibrosa di radici si va costruendo ed estendendo verticalmente orizzontalmente attraverso il terreno, intrecciandosi con quelle degli altri semi forma una rete solida e flessibile in grado di far nascere, verso il quinto anno, il bambù molto velocemente.

Se uscendo di qui, mettiamo il nostro seme in un cassetto, senza luce e senza aria, senza acqua e senza cura, non morirà, ma naturalmente non evolverà in quella pianta meravigliosa. Ma se lo piantiamo insieme ad altri semi nelle sue vicinanze (vi invito a farlo insieme, trovatevi per questo bellissimo rito), allora attiverà quel processo di reticolo sotterraneo che lo porterà a fiorire e quando bucherà il terreno sarà in grado di diventare forte e flessibile e di creare intorno a sé una vera e propria rete naturale di benessere. Sì perché il bambù proprio come noi è un essere sociale. Inoltre il bambù è fatto di canne vuote, ma anche di anello di congiunzione molto duri ed è flessibile grazie al vuoto, ma non si spezza grazie agli anelli che costituiscono il suo fusto, anelli fatti da blocchi nel suo sviluppo che non è mai lineare.

Meditazione del seme.
Ricorderò questo momento come la mia prima conduzione di una meditazione. Un momento che rimarrà per sempre nel mio cuore.

Noi siamo il seme che abbiamo in mano.

La mia intenzione in questa breve meditazione era quella di fare spazio e silenzio dentro di noi. Di creare il vuoto necessario a far fluire l’energia per tornare alla nostra vera essenza. Al nostro seme. Ognuno di noi è in potenza qualcosa di immenso. E noi siamo seme. Una forma semplice, piccola, ci sta in un palmo, eppure in questa piccolissima forma è contenuto un progetto impressionante, in questa piccolissima forma sono contenuti in potenza l’intenzione, gli strumenti e le istruzioni per realizzare l’albero.

Il nostro corpo è la terra, il nostro spirito è il cielo, possiamo nutrire la terra oppure intossicarla a seconda del concime fatto dagli alimenti e dalle informazioni che scegliamo di dare. Possiamo scegliere di proteggerci dal dolore o imparare ad attraversarlo e trasformarlo, farlo diventare forza. Proteggerci dal dolore ergendo corazze costruite dalle nostre paure ci porterà a non ricevere nemmeno più il nutrimento. Non sentiamo dolore, vero, ma non proviamo neppure l’infinita gamma di emozioni che la vita ci dona ogni giorno.
Il nostro seme va protetto, ma non chiuso nel cassetto ermetico della nostra corazza. Altrimenti non si trasforma, non cresce.

Ci siamo per qualche istante connessi all’energia della Natura, in questo luogo è anche facile. Siamo rete, siamo in connessione energetica con tutte le altre piante, ma anche con gli altri esseri viventi sul nostro pianeta. L’energia di questo seme non è diversa da quella contenuta in ogni cellula del nostro corpo o da quella che fa girare la Terra intorno al Sole e su se stessa. Siamo uno con la Natura, con il micro e con il macro, quello che appartiene all’infinitamente piccolo, appartiene a noi e all’infinitamente grande. Tutto è uno. Tutto è energia. E la comunicazione tra noi avviene attraverso reti di connessione energetica.

Se prendiamo consapevolezza di questo semplice concetto diventiamo improvvisamente fortissimi perché capiamo le incredibili potenzialità che la nostra esistenza può avere se sa connettersi ed entrare in rete con l’energia degli altri esseri viventi, con la natura.

Ma che differenza c’è tra noi e il nostro seme?

Noi, a differenza sua, possiamo scegliere che tipo di pianta diventare. Il nostro cervello è l’unica materia dell’universo in grado di concepire (e plasmare) se stessa. La differenza tra noi e lui è il libero arbitrio. Possiamo scegliere quali alimenti o quali informazioni ci serviranno per diventare quel progetto. Possiamo agire sulle istruzioni contenute in noi, una volta compresa la nostra essenza. Sentendolo, percependolo, non serve capirlo, bisogna sentirlo, conoscerlo non solo con la mente ma con il corpo, riusciamo naturalmente a capire quali informazioni far entrare e quali, al contrario, tenere al di fuori e lontane da noi.

Il nostro esistere è una connessione di rete con tutti gli altri esseri viventi del pianeta. Chi ha immaginato il digitale a questa rete si è ispirato. Tornare in connessione con la natura, portare la natura dentro di noi, scegliere gli alimenti e le informazioni a maggior vibrazione energetica e non quelli (che purtroppo esistono) a energia negativa. Non c’è separazione tra ognuno di noi, i semi che abbiamo in mano e il cosmo. La natura siamo noi. La porta di accesso alla natura è il nostro corpo, e il nostro corpo è sempre con noi, sempre pronto per questa connessione fondamentale.

Per farla fluire questa energia, dobbiamo imparare a creare spazio, creare il vuoto, il silenzio, solitudine farci canale attraverso cui farla scorrere perché senza il vuoto l’energia si blocca, ristagna e crea dolore. Per capire che tipo di seme siamo o vogliamo essere è fondamentale rallentare e imparare a fare il vuoto dentro di noi. Non è possibile creare nel pieno. Ma creare che cosa?

Ogni essere umano ha uno scopo perché è come se l’Universo intero debba raggiungere uno attraverso le sue singole parti e noi siamo una piccola parte di questo grande tutto. Quando lo troviamo tutto acquisisce un senso e la vita diventa una danza verso quella destinazione.

Per farlo è necessario SENTIRE, prendere consapevolezza delle proprie sensazioni che passano attraverso i nostri SENSI. Si tratta di un’esperienza CORPOREA non MENTALE. L’energia è il linguaggio del nostro corpo. Solo la cultura occidentale, a partire da Cartesio, ha separato l’uomo dalla natura andando verso un pensiero scientifico sempre più parcellizzato.

Dal Cogito Ergo Sum che ha portato alla prevalenza della mente sul corpo dobbiamo tornare al “Penso e Sento, perciò sono.” — usando le parole di Pino Ferroni

Per essere chi realmente siamo dobbiamo fare un lavoro sul nostro corpo, lavorare la terra intorno al nostro seme, concimarla di nutrienti (alimenti e informazioni) ad alto valore di energia e far tesoro del dolore per rafforzare il nostro fusto, dobbiamo attivare la consapevolezza del percorso che vogliamo realmente seguire altrimenti, a un certo punto, ci ritroviamo in un luogo, in un corpo, in una mente dove non riconosciamo più noi stessi. Un viaggio di liberazione, un viaggio di ribellione, di detonazione è quello che va affrontato con decisione e passione, certi che il risultato sarà grandioso, perché sarà la vera realizzazione del nostro essere. Solo quando ogni essere umano smetterà di cercare modelli irraggiungibili di perfezione, quando smetterà di fare guerra a se stesso e alla natura, allora si potrà immaginare un mondo davvero libero.

Vorrei concludere con una frase di Rachel Carson, una delle prime donne ambientaliste:

“L’essere umano è parte della natura, e la sua guerra contro la natura è, inevitabilmente, una guerra contro se stesso” — e se pensate è anche vero il contrario “ la guerra di ogni essere umano contro se stesso è, inevitabilmente, una guerra contro la Natura.”

E ora vediamo come si è trasformato il seme che abbiamo conosciuto all’inizio.

Lotta Traviata per Terre Perse da Detonazione

Questa è una possibilità tra le infinite. Il seme di Carli si è trasformato in Lotta. Oggi in questo luogo meraviglioso ce ne sono centinaia di altre di possibilità. Quale sarà la nostra?”

Grazie.

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Marisandra Lizzi
BIO-Energetica Umanistica

Scrivere per migliorare il mondo, partendo dal mio e poi allargando il raggio parola dopo parola