Equity Crowdfunding: Offerte token-based sul capitale di S.r.l.

Giulia Arangüena
Blockfin News
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13 min readJun 14, 2022

Introduzione

Quale istituto disciplinato dal TUF (ex D.lgs. n. 58/1998 e ss.mm.), il crowdfunding facilita la raccolta di capitali per mezzo di offerte condotte su piattaforme on-line caratterizzate, dal punto di vista soggettivo, oggettivo e quantitativo, da specifici requisiti.

Gli offerenti, inizialmente ristretti alle sole start-up, includono ora tutte le PMI [1]. E, vista la prevalenza del tipo societario-s.r.l. in cui si esprimono le PMI italiane è importante capire se, ai fini del crowdfunding, le quote partecipative possano essere “rappresentate” da token digitali emessi e trasferiti attraverso la tecnologia blockchain.

Insussistenza dei limiti finanziari delle s.r.l. nel crowdfunding

Come è noto, i limiti della struttura del capitale schiacciano le s.r.l. sulla figura del socio e pregiudicano il reperimento sul mercato di risorse finanziarie sia per i divieti stabiliti dall’art. 2468 c.c., sia per la conformazione stessa della quota basata sul principio di proporzionalità. O, meglio della doppia proporzionalità: proporzionalità rispetto al profilo dei diritti spettanti con la sottoscrizione (art. 2468, comma 2, primo alinea, c.c.), e del valore della partecipazione rispetto al conferimento (art. 2468, comma 2, secondo alinea, c.c).

Tuttavia, tali limiti — che impediscono la serializzazione in unità di uguale valore del capitale di una s.r.l. onde procedere all’emissione di token crittografici — non operano nell’ambito dell’equity crowdfunding. Infatti, le s.r.l. che vogliono accedere alle offerte tramite i portali di equity crowdfunding devono prima standardizzare le partecipazioni emettendo categorie di quote anche in deroga all’art. 2468, commi 2 e 3, c.c., secondo il disposto dell’art. 26 del D.L. 179/2012 che, unitamente ai successivi interventi normativi di estensione del crowdfunding [2], ha “aperto” le s.r.l. al mercato dei capitali [3], spersonalizzando la partecipazione e avvicinandola ad una dimensione valoriale idonea alla circolazione svincolata dalla persona del socio [4].

Non necessità del supporto cartolare

Neppure il divieto di rappresentazione delle quote in titoli azionari ex art. 2468, comma 1, c.c. preclude la possibilità di tokenizzazione del capitale delle s.r.l. che intendono utilizzare il crowdfunding. Infatti, a nostro avviso, il difetto di chartula nelle partecipazioni a s.r.l. non significa che esse non possano accedere a forme di dematerializzazione per l’assenza di un supporto cartolare.

La stessa circolazione ex art. 100-ter, commi 2-bis e 2-quater, TUF, di cui alla rubricazione delle quote nell’equty crowdfunding — sebbene non implichi dematerializzazione automatica della quota di s.r.l., postula che essa possa essere resa in forma scritturale e dematerializzata; e, una volta assunta forma elettronica, che sia scambiabile in una sede di negoziazione o mercato di crescita delle PMI [5].

D’altronde, la quota partecipativa può essere non solo un valore mobiliare (se negoziabile nel mercato dei capitali), ma anche un valore mobiliare scritturale. Il che accade ogni qualvolta una s.r.l. qualificatasi PMI realizzi, attraverso un portale di raccolta di capitali, un’offerta al pubblico delle proprie quote serializzate e le renda in forma scritturale. Tant’è che proprio grazie all’avvento dell’equity crowdfunding ed all’introduzione della bacheca elettronica si è imposta la tesi secondo la quale la quota di s.r.l. può qualificarsi come un valore mobiliare [6].

Del resto, anche per le azioni il difetto cartolare non impedisce la dematerializzazione. Anzi, la stessa gestione accentrata delle azioni dematerializzate ex art. 83 bis, comma 1, TUF, statuendo che gli strumenti finanziari negoziati o destinati alla negoziazione non possono essere rappresentati da titoli, “ma esistere solo in forma scritturale”, impone un divieto di cartolarizzazione. A dimostrazione che per aversi forme di dematerializzazione e circolazione su basi scritturali il supporto cartolare non è imprescindibile; tanto che è problematico qualificare l’azione dematerializzata come titolo di credito [7].

Dematerializzazione e tokenizzazione

L’apertura concettuale avutasi con la dematerializzazione azionaria ha ammesso l’esistenza di valori che circolano secondo tecniche scritturali che non richiedono la materiale apprensione di un bene. Non già perché la regola del possesso di buona fede sia superata, ma perché superato è lo stesso bene materiale come necessario veicolo di ricchezza [8].

Analizzando la gestione accentrata delle azioni e considerando la costante smaterializzazione dei beni a cui assistiamo da anni, si può ravvisare nella dematerializzazione azionaria l’effetto di una evoluzione della tecnica giuridica, dovuta alle esigenze di semplificazione, sicurezza e rapidità nella circolazione dei diritti, implicante la sostituzione del documento cartaceo con un’iscrizione contabile. E, in tal senso, l’incorporazione in un supporto e la registrazione nella rete contabile degli intermediari di gestione accentrata costituiscono soluzioni tecniche che permettono una tutela degli acquisti ma che, in quanto tali, sono surrogabili da altre tecniche più innovative [9].

Ebbene, con i token — da intendersi quali strumenti digitali rappresentativi di un valore [10] — , in luogo della dematerializzazione imposta ex lege per la gestione accentrata delle azioni, si realizza una forma di digitalizzazione dei valori che circolano secondo regole convenzionali [11], essenzialmente basate sugli smart contract che controllano i token sulla blockchain utilizzata per la loro emissione. E, da questo punto di vista, poiché la natura dei token — a prescindere dalle finalità di trasferimento — è essenzialmente un’iscrizione di dati in un registro digitale di contabilità distribuita (c.d. Ledger), effettuata con sistemi tecnologici che consentono di raggiungere un consenso sulle modifiche del registro in assenza di un ente centrale datore di fiducia [12], può aprirsi all’idea di un regime di circolazione dematerializzata e disintermediata, dove le registrazioni fatte su blockchain possono corrispondere alla contabilità degli intermediari operanti nella gestione accentrata della dematerializzazione azionaria [13]. Tanto più che, ormai, la memorizzazione di un documento informatico con l’uso di blockchain produce gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica (c.d. marca temporale), ai sensi dell’art. 41 del Regolamento UE n. 910/2014 (c.d. eIDAS) [14].

Pertanto, sebbene la dematerializzazione azionaria imposta ex lege e quella delle partecipazioni basata sull’art. 100-ter TUF prevista per il crowdfunding non abbiano nulla a che vedere con le regole convenzionali su cui si basa la circolazione via blockchain, può comunque rivelarsi l’affinità funzionale di tali sistemi con quello fondato sulla tecnologia di contabilità distribuita di una DLT. Affinità questa derivante anche dalla possibilità di intendere la tokenizzazione come passaggio evolutivo della “vecchia” dematerializzazione dei titoli, a cui aggiunge la possibilità di regolare il trasferimento via token, su “mercati-rete” di tipo virtuale, “idealmente formati da una rete che si compone di “blocchi”, generati e mantenuti in esistenza dalla potenza di calcolo dei computer dei partecipanti: una rete-mercato che può sostituirsi tanto all’emittente che all’intermediario” [15].

Natura giuridica dei token in relazione alla quota partecipativa

L’orientamento prevalente attribuisce alla quota di s.r.l. natura di bene immateriale (soggetto a registrazione del Registro delle Imprese), rappresentativo di un fascio di diritti patrimoniali e amministrativi [16]; il quale non può essere incorporato e materializzato in un titolo il cui possesso qualificato faccia acquisire legittimazione e regoli la circolazione dei diritti ivi rappresentati [17], per effetto del divieto ex art. 2468, comma 1, c.c.

In tale contesto, analizzando i token in generale, può escludersi che attraverso il loro utilizzo possa realizzarsi surrettiziamente una tecnica di legittimazione e circolazione di tipo cartolare. E ciò soprattutto per la loro stessa natura giuridica dipendente dalla loro configurazione tecnica.

I token, infatti, sono solo contenitori neutri, book entry in un registro digitale distribuito. Sono in grado di rappresentare, cioè descrivere informaticamente grazie agli smart contract, i diritti e le dichiarazioni che un emittente costituisce e fa in relazione a degli asset fuori catena (off-chain), ed esistenti nel mondo reale. Ma i token, in quanto tali, non aggiungono né si sovrappongono alle qualità giuridiche dei diritti che si intendono costituire ed attribuire a terzi in relazione a quello stesso asset.

Ad esempio, se si tokenizzano delle azioni, esse, in quanto titoli di credito, dovranno essere rappresentate in modo coerente nei relativi smart contract. Dovranno cioè essere descritte le informazioni rilevanti e programmate le relative condizioni giuridiche di acquisizione negli smart contract di generazione dei correlativi token, affinché i medesimi possano costituire l’esatto digital twin delle azioni. Ma se, al contrario, si tokenizza un bene materiale o immateriale, o meglio il diritto di proprietà sul medesimo che richiede formalità rafforzate, nello smart contract di generazione dei token dovranno essere memorizzate tutte le informazioni e le condizioni idonee a determinare correttamente la vicenda traslativa.

Esclusione della definizione come titoli di credito tout court

Nonostante le definizioni giuridiche delle diverse autorità inquadrino i token come strumenti digitali rappresentativi di un valore e sebbene abbiano una forte attitudine alla circolazione, è da escludere che i token siano di per sé assimilabili ai titoli di credito, al di là di alcune caratteristiche meramente fenomenologiche.

Innanzi tutto perché nell’economia dei token ciò che conta è la validità del token in sé, e non l’identità del suo titolare; essendo anzi l’anonimizzazione crittografica del titolare una delle caratteristiche dei token. Il che porterebbe i token, se intesi come titoli di credito, ad infrangere il divieto di cui all’art. 2004 c.c., che impedisce titoli di credito contenenti obbligazioni pecuniarie al portatore. Inoltre, perché, a differenza dei titoli di credito, i token crittografici non sono incorporati in una res, anche se hanno pur sempre bisogno di una res per essere conosciuti e utilizzati: un telefono, un computer, un qualsiasi strumento tecnologico che ne agevoli l’umana percezione.

Vero è che se non c’è incorporazione in senso fisico, può esservene una in senso digitale. Ma, date le caratteristiche tecniche dei token, è da escludere che vi possa essere una identificazione dei token con il supporto digitale con cui possono essere letti sulla blockchain, sebbene il medesimo supporto sia necessario per poterli utilizzare[18]. Ed è intuibile che la circolazione dei token nulla abbia a che vedere con la circolazione del supporto sia smartphone, o altro device elettronico con cui accedere alla “lettura” della blockchain su cui i medesimi sono emessi. Infatti, per quanto l’esercizio dei diritti rappresentati nei token possa essere imprescindibilmente collegato all’utilizzo del supporto materiale o del lettore con il quale accedere al ledger dove sono registrati, non sono di certo i dispositivi di rappresentazione dei token, né i token stessi a poter identificare nel loro “detentore” l’esclusivo avente diritto [19].

A tale difetto di incorporazione si aggiunge che: (i) il token rimane sempre on-chain e circola solo on-chain, potendosi avere solo uno storage o archiviazione all’interno di portafogli digitali delle chiavi crittografiche con cui si gestisce la loro trasferibilità; (ii) il controllo attraverso smart contract è in grado di assicurare l’attuazione automatica degli effetti cui i token danno diritto, e (iii) la sicurezza della crittografia asimmetrica a doppia chiave con cui sono programmati impedisce tendenzialmente l’insorgere di problematiche legate alla c.d. double spending di un’informazione (ovvero di un valore) [20], e ad altre questioni legate all’esecuzione (adempimento).

Di talché, è giocoforza concludere che i token non possano in sè per sè avere la struttura giuridica dei titoli di credito. Infatti, non solo il difetto di incorporazione — materiale e digitale — impedisce che vi possa essere possesso qualificato del token idoneo a sottoporlo a regole tipicamente cartolari [21], ma non sono rintracciabili nemmeno le altre caratteristiche dei titoli di credito (i.e. disciplina delle eccezioni).

Esclusa la riconducibilità tout court al fenomeno dei titoli di credito, è sostenibile, quindi, che i token — quali “contenitori” neutri dei diritti ivi descritti da parte dell’emittente, siano più che altro un ibrido contrattuale fondato su regole di circolazione del tutto convenzionali, accettate tra i privati e basate su schemi non cartolari ma assimilabili a fenomeni di circolazione impropria [22], incentrati su documenti di legittimazione digitali, o titoli digitali impropri che, ormai, soddisfano sia il requisito della forma scritta previa identificazione informatica delle parti interessate, sia l’opponibilità a terzi della data certa derivante dal time-stamping [23].

Rilevanza della consegna: i token quali titoli impropri

I token — in quanto equivalenti ad una certificazione delle informazioni e dei dati iscritti su una blockchain — potrebbero integrare una nuova forma della c.d. anti-fattispecie cartolare [24], che, in contrasto con la fattispecie dei titoli di credito, ma bisognosa delle categorie di quest’ultima per essere compresa e descritta, annovera i documenti di sola legittimazione e dei titoli impropri ex art. 2002 c.c..

Tuttavia, alla ricostruzione dei token come documenti digitali di legittimazione, riteniamo preferibile quella di titoli impropri più coerente con la peculiare attitudine dei token ad essere veicolo di circolazione dei valori rappresentati più che alla identificazione dell’avente diritto.

Nei titoli impropri — che permettono la cessione del diritto alla cui prestazione il documento legittima mediante la sola consegna — l’elemento centrale non è il possesso da parte dell’avente diritto. Infatti, la funzione principale dei titoli impropri non è l’identificazione di quest’ultimo, ma consentire e facilitare la trasferibilità dei diritti. In breve, nei titoli impropri quel che rileva è la consegna in sè per sè, accompagnata da una serie continua di “girate”, piuttosto che la sussistenza di relazioni materiali con il documento medesimo. E da questo punto di vista, stante la difficoltà di rintracciare situazioni soggettive giuridicamente affini al possesso qualificato in relazione ad asset digitali che rimangono e si muovono solo on-chain, la configurazione dei token quali titoli impropri pare senza dubbio più coerente: 1) con lo schema dei trasferimenti basati su blockchain, 2) con la stessa struttura a blocchi del registro basato su DLT, e 3) con la principale funzione di un ledger distribuito e decentralizzato: impedire la trasferibilità, ovvero la doppia spesa di asset/valori in assenza di una perfetta concatenazione di firme a base crittografica attraverso cui si dispongono o si ricevono trasferimenti.

Ammissibilità di offerte equity crowdfunding token-based

Da quanto detto sin qui, la società startup o PMI a r.l. — che intendesse offrire le proprie partecipazioni su una piattaforma di equity crowdfunding sotto forma di token crittografici — dovrà prima addivenire alle necessarie modifiche statutarie per la standardizzazione delle quote e poi pervenire ad una delibera di tokenizzazione e di aumento del capitale.

Quanto alla delibera di tokenizzazione, è importante vincolare le partecipazioni ai token negoziati utilizzando lo smart contract progettato di cui è consigliabile descrivere i termini principali attraverso la redazione di un allegato contentente i token terms.

Inoltre, prendendo spunto da quanto realizzato negli ordinamenti più maturi che, da questo punto di vista, hanno già attribuito efficacia legale alle registrazioni contabili effettuate su registri DLT (ad esempio, Delaware, Svizzera, o Liechtenstein), per sviluppare il mercato alternativo dei capitali fondato sui security token, ed anticipando, se vogliamo, quel che in sede europea è in fase di approvazione per il c.d. Pilot Regime [25], potrebbe essere opportuo corredare l’offerta con un impegno contrattuale verso i sottoscrittori recante i termini di un accordo di registrazione. Attraverso tale accordo di registrazione, mutuato dalla recente riforma del diritto societario svizzero, a seguito dell’adozione e definitiva entrata in vigore della c.d. DLT Law a gennaio del 2021 [26], l’emittente indicherà a ed assumerà impegni in relazione a:

● i termini relativi ai token,

● la descrizione dei diritti,

● le regole, le quantità e il valore di emissione,

● le regole di trasferimento,

● eventuali procedure in caso di perdita degli stessi.

Note

[1] La possibilità per le PMI di ricorrere ai portali di raccolta è stata affermata dall’art. 1, comma 1, Legge n. 232/2016 e poi precisata dagli artt. 1, 2 e 4 del D.lgs., n. 129/2017.

[2] Le start-up innovative e poi tutte le PMI a r.l. sono state dotate delle facoltà previste dall’art. 26, commi 2, 3, 4, 5, 6 e 7, D.L. 179/2012).

[3] Cfr. M. CIAN, S.r.l. PMI, s.r.l., s.p.a.: schemi argomentativi per una ricostruzione del sistema, in Riv. soc., 2018, 818 ss..

[4] Con l’introduzione della PMI innovativa a base dell’estensione soggettiva dell’equity crowdfunding c’è stato l’affrancamento della società a responsabilità limitata PMI dal “tipo s.r.l”. L’autonomia negoziale nelle s.r.l. — che con la riforma del 2003 aveva trovato il contrappeso in una serie di presidi invalicabili — con l’introduzione dell’art. 26 del D.L. 179/2012 e con i successivi interventi normativi che si sono susseguiti per estendere l’operatività dell’istituto del crowdfunding, ha fatto posto all’esigenza di aprire le s.r.l. sempre di più al mercato dei capitali.

[5] Naturalmente, la s.r.l. incontra i divieti di cui all’art. 25, comma 2, D.L. 179/2012, e non può negoziare le quote emesse su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione.

[6] F. BONCRISTIANO, Autorità private e mercati finanziari: il caso dei portali di equity crowdfunding, in Dir. banc. merc. fin., 2019, I, 109; E. CUSA, Le quote di s.r.l. possono essere valori mobiliari, in Riv. Trim. Soc., 4, 2019, p. 692.

[7] A. BUSANI e C.M. CANALI, Strumenti finanziari dematerializzati: circolazione, vincoli e conferimento in fondo patrimoniale, in Riv. Not. 1999, p.1059.

[8] E. RULLI, Incorporazione senza res e dematerializzazione senza accentratore: appunti sui token, in Orizzonti del Diritto Commerciale, Fascicolo 1|2019, p. 148.

[9] M. CIAN, Titoli dematerializzati e circolazione “cartolare”, Giuffrè, 2001, p. 229.

[10] Cfr ESMA, Own Initiative Report on Initial Coin Offerings and Crypto-Assets, 19 ottobre 2018, disponibile su www.esma.europa.eu.

[11] E. RULLI, cit. p. 148.

[12] Si veda la definizione di Distributed Ledger Technology (DLT), introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 8-ter del c.d. Decreto Semplificazioni (D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito in Legge 11 febbraio 2019, n. 12).

[13] In E. RULLI, Incorporazione senza res e dematerializzazione senza accentratore: appunti sui token, cit., l’A. auspica che avvenga quanto accaduto con la riforma fatta dal Delaware General Corporation Law nella primavera del 2018, che ha stabilito che per le società emittenti con sede nel Delaware, la possibilità di affidare la tenuta del registro (stock ledger) e dei libri sociali a “1 or more distributed electronic networks or databases”.

[14] Cfr comma 3, art. 8-ter D.L. 14 dicembre 2018, n. 135.

[15] E. RULLI, cit. p. 124.

[16] Cfr G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, vol. II Diritto delle società, 2012, 576.

[17] Sul punto si ricorda che, mentre per i titoli vale comunque il principio del “possesso vale titoloex art. 1994 c.c. tra gli effetti del possesso in buona fede , per le quote partecipative di s.r.l. l’art. 2470 c.c. delinea una diversa disciplina.

[18] N. DE LUCA, Documentazione crittografica e circolazione della ricchezza, in Diritto del Fintech, M. CIAN e C. SANDEI (a cura di), CEDAM, 2020, p. 411.

[19] N. DE LUCA, ibidem.

[20] P. GALLO, DLT, blockchain e smart contract, in M. CIAN, C. SANDEI (a cura di), Diritto del Fintech, Milano, 2020, p. 137.

[21] E. RULLI, cit. p. 123.

[22] ibidem, p. 131.

[23] Cfr art. 8-ter, commi 2 e 3, del c.d. Decreto Semplificazioni (D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito in Legge 11 febbraio 2019, n. 12).

[24] N. DE LUCA, L’antifattispecie cartolare. Contributo allo studio dei titoli di credito, in Banca Borsa Titoli di Credito, Vol. 70, 1, 2017, pp. 93–112.

[25] Ci si riferisce al regime pilota, in corso di approvazione, emanato con la proposta di regolamento della Commissione europea COM/2020/594.

[26] In Svizzera, sin dal 2018, la FINMA ha elaborato Linee Guida applicabili per ICO/STO e nel 2019 gli aggiornamenti relativi all’offerta al pubblico di c.d. stablecoin. Nel 2021, con entrata in vigore integrale dal 1.8.2021, la Svizzera ha pubblicato la legge RU 2021/33 (c.d. DLT Act o Legge TRD, Tecnologia del Registro Distribuito) completando il suo ordinamento con tutte le modifiche necessarie per rendere possibile la dematerializzazione via token degli strumenti finanziari.

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Giulia Arangüena
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