Piero, l’anti norma-Airbnb italiano (che però lavora da Parigi)

Piero Cipriano
Bnbsitter
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5 min readJul 4, 2017

Il 3 maggio scorso, Massimo Sideri commentava dalle colonne del Corriere della Sera la cosiddetta tassa Airbnb introdotta nella “manovrina” del governo Gentiloni.

Cosa prevede la norma? Una cedolare secca del 21% per gli affitti brevi e l’obbligo delle piattaforme a fare da sostituto d’imposta. Insomma Airbnb incassa la tassa per lo Stato e la versa nelle casse pubbliche.

Mi dico: un’altra idea geniale no?

Scriveva Sideri:

“In realtà Airbnb, che ha nell’Italia il suo terzo mercato al mondo, dovrebbe ringraziare il legislatore perché solo una società strutturata sarà capace di adempiere all’obbligo di fare da sostituto d’imposta. Mettiamo, in altre parole, che oggi tre ragazzi italiani abbiano l’idea per creare un più moderno Airbnb. Con questa norma la morte nella culla della startup sarebbe certa.”

Preso da uno sconforto profondo per quanto sta accadendo in Italia, apro il mio Linkedin alla sezione messaggi e scrivo di getto a Sideri il seguente messaggio:

Buongiorno Massimo,

Ti seguo e leggo con interesse i tuoi articoli da tempo. In questi giorni Airbnb è tornato (purtroppo) ad essere di “scottante” attualità.

Mi chiamo Piero e sono un siciliano a Parigi da 10 anni che 3 anni fa con Biagio, un altro siciliano, ha fondato Bnbsitter (www.bnbsitter.com), la prima piattaforma di portineria on-demand dedicata ai proprietari Airbnb.

Oggi Bnbsitter è presente in 4 paesi europei, tra cui l’Italia e possiede una base di più di 6.000 appartamenti in 24 città diverse. In tre anni abbiamo accolto più di 70.000 turisti e ricevuto finanziamenti pubblici e privati per più di 3 milioni di euro. Tra i nostri investitori e sostenitori anche Frédéric Mazzella, fondatore di Blablacar e leader dell’economia collaborativa europea.

Ma non è tutto. Abbiamo dato lavoro a più di 500 concierge e la mia équipe si compone qui a Parigi di 27 persone (la stragrande maggioranza con contratti a tempo indeterminato) tra cui 5 italiani.

Ora arriva questa legge che ancora una volta umilia l’Italia e deprime tutti coloro che come noi hanno sempre cercato di mostrare che gli Italiani (lasciami dire i Siciliani) non sono geneticamente contro l’innovazione tecnologica ma che possono creano start-up innovative e capaci di competere e crescere in un mercato internazionale.

Ti contatto perché mi piacerebbe davvero poter dare la mia testimonianza e esprimere civilmente la mia indignazione.

A presto e buon lavoro,

Piero

Qualche minuto dopo Gmail mi notifica di un nuovo messaggio. È Massimo che mi scrive:

Caro Piero, grazie delle tue parole…

Sul fatto che noi italiani, non solo i siciliani permettimi di dire, siamo grandi innovatori sono talmente d’accordo che ho dedicato a questo tema il mio ultimo libro Storia italiana delle scoperte dimenticate.

Sulla legge ho già scritto ciò che penso e cioè che questa tipologia di normativa aiuta i grandi che sono cresciuti grazie alla deregulation a proteggersi dalla nuova innovazione… è un controsenso. Dunque il tuo punto di vista mi interessa molto.

Raccontami qualche cosa di più e cerco di capire se ci sono le condizioni per scriverne.

Un caro saluto e congratulazioni.

Mi fa bene leggerlo. E mi fa ancora più bene potergli rispondere per esprimere il mio punto di vista.

Così clicco su rispondi e:

Massimo,

Grazie a te per la rapida risposta.

Io, ma credo anche molti come me, mi riconosco perfettamente in quanto dici: « Mettiamo, in altre parole, che oggi tre ragazzi italiani abbiano l’idea per creare un più moderno Airbnb. Con questa norma la morte nella culla della startup sarebbe certa. »

Mettiamo intanto che questi tre ragazzi (due nella realtà) siano partiti dieci anni fa in Francia per fare un dottorato in fisica e uno in antropologia sociale. Diciamo anche che poi siano rimasti qui perché nessuno dei due Dipartimenti italiani poteva offrirgli nulla in cambio del loro rientro se non del « lavoro gratis » (ossimoro italiano).

Mettiamo che con l’angoscia della famiglia e la disapprovazione dei docenti abbiano deciso di intraprendere, parola che oggi considero bellissima ma che mi vergognavo a pronunciare. E questo non per sopravvivere ma perché si considerano sufficientemente formati, intelligenti e esperti per creare e gestire un’impresa. O almeno perché non credono di esserlo meno di altri ragazzi europei o americani.

Diciamo anche che, senza soldi all’inizio, siano stati in grado di convincere i primi investitori su un semplice PDF e che, trovandosi nella privilegiata prospettiva di chi non ha nulla da perdere abbiano saputo innovare con grande libertà.

Per finire, mettiamo che oggi la loro attività vada bene, che la Francia non è poi così male e che i fondi e il sostegno nel frattempo ricevuti siano aumentati proporzionalmente permettano loro finalmente di espandere il loro servizio anche in Italia con la prospettiva di ripetere il successo francese.

È esattamente a questo punto che tutto si ferma, che l’ottimismo, motore dell’intraprendere, scompare che l’essere italiani, come dici bene, passa da sinonimo di popolo d’inventori a quello di popolo di conservatori.

Ma non basta. Perché non è solo la possibilità di esportare il prodotto che qui viene messa a rischio. Alla fine, la rabbia farebbe dire ai due giovani « peggio per loro »: gli Italiani non avranno più Bnbsitter. « Peggio per loro » non avranno più nemmeno Uber, Flixbus e un giorno Airbnb e chissà cos’altro!

Quello che mi preoccupa oggi è il segnale che il governo lancia in maniera ripetuta (ostinazione, cecità o semplice stupidaggine?) « contro » le startup e l’enorme ecosistema che le circonda.

Da quando la Grand Bretagna ha votato la sua uscita dall’Europa, Parigi srotola tappeti rossi per invitare i CEO delle startup d’oltremanica a venire qui. Perché di creatori e inventori un paese non è mai abbastanza. E invece l’Italia, che non ha nemmeno una sola città tra i primi 20 più importanti startup hubs del mondo (Londra è sesta, Parigi undicesima), trova utile… spaventarli.

Massimo, non è solo « Mettiamo, in altre parole, che oggi tre ragazzi italiani abbiano l’idea per creare un più moderno Airbnb. »

Se mi concedi, dal mio punto di vista le cose sono più gravi di cosi. È « Mettiamo che le startup americane decidano un giorno di scegliere Milano per il loro seggio europeo al posto di Londra o Parigi; mettiamo che i fondi d’investimento europei siano rassicurati dal poter investire in startup italiane il capitale raccolto sul mercato internazionale; mettiamo che al posto di trasferirsi a Londra, San Francisco o Tel Aviv, i giovani del mondo scelgano Milano o Roma per mettere a punto i loro progetti e per testarli. Perché in Italia c’è il giusto ecosistema fatto di aiuti pubblici, investimenti privati e regole semplici e oneste ».

Ecco. Perché qui non è solo la morta nella culla delle piccola startup che è in gioco. In gioco c’è la possibilità d’innovare di un intero paese!

Grazie ancora per la tua pazienza.
Piero

Oggi la mia testimonianza (sebbene in breve) appare sul Corriere della Sera. Mi fa piacere, un piacere fisico. Grazie Massimo.

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