Il mio piccolo colpo di Stato in Colpo di Stato

bene_pierf
Breakfast with Muesli
17 min readJul 28, 2020

(di Mauro Vanetti)

Un’escape room da tavolo

Conosco Claudia e Matteo, i We Are Müesli, ormai da diversi anni: prima per fama e poi di persona da quando nel 2016 ho partecipato a un loro breve corso di Narrative Design a Bologna; da quel corso è nato il mio videogiochino Two Interviewees. Siamo rimasti in contatto ed è stato un piacere per me scoprire, nel 2019, che stavano inoltrandosi fuori dal mondo del gioco digitale in senso stretto per mettersi a fare giochi di tipo diverso: l’escape room Wer ist Wer e l’“escape room cartacea” Colpo di Stato. Quest’ultima ha come tema l’abortito golpe del 1970 organizzato in Italia dal principe fascista Junio Valerio Borghese.

Se mi era ben chiaro cosa fosse un’escape room vera e propria (e me la sono cavata anche abbastanza bene quando sono andato a farne coi miei amici), confesso che fino a inizio 2019 mi era poco chiaro il concetto di escape room da tavolo. Quando i We Are Müesli mi hanno proposto di dargli una mano a farne una, mi hanno prestato un bel po’ di esempi che mi sono divertito a provare. Per farla semplice, si tratta di mazzi di carte con enigmi: risolvendo gli enigmi si sbloccano le carte successive e si arriva a un qualche tipo di finale. Come nelle escape room ordinarie, si gioca tutti assieme (volendo ci si può anche giocare da soli) e non è detto che si riesca a raggiungere un esito positivo: si può prendere una strada sbagliata, si può far scadere un limite di tempo, si può restare… incartati. Il genere è molto vario: alcuni di questi mazzi hanno un’app digitale di accompagnamento (come la popolare serie Unlock dalla meccanica simile a un’avventura punta-e-clicca), mentre altri sono integralmente cartacei; alcuni hanno ramificazioni narrative, mentre altri proseguono in maniera strettamente lineare, chiedendo al giocatore di girare una carta alla volta; alcuni possono essere giocati una volta sola, perché il mazzo (o la scatola!) viene in qualche modo distrutto o modificato durante la partita, altri sono infinitamente rigiocabili anche se dopo la prima partita si rischia l’effetto spoiler.

Quando ho cominciato a lavorarci, Colpo di Stato era già mezzo pronto, anzi, pronto per quattro quinti. In primavera avevo fatto da tester a quella che qui chiamerò “versione 1”, un prototipo già giocabile. All’inizio dell’estate avevo partecipato alla presentazione pubblica a Milano della “versione 2”, che vedeva qualche aggiustamento tra cui il più vistoso era la produzione di carte di grande formato; con un certo entusiasmo avevo partecipato al crowdfunding prenotandomi tre copie del gioco, che sarebbe dovuto uscire entro qualche mese. Ad agosto, Claudia e Matteo mi avevano chiesto se avessi un po’ di tempo per metterci mano e “sistemare” alcuni aspetti che non li convincevano appieno. Avevo risposto che non avevo proprio tempo, perché ero presissimo, anche se l’idea mi attraeva un sacco e quindi… sì, l’avrei fatto.

Nella varietà delle escape room da tavolo, Colpo di Stato (versione 2) si caratterizzava così:

  • Era integralmente cartaceo; di più: era composto solo da carte, tutte dello stesso formato, con l’eccezione di un cartoncino piegato a libretto (il Dossier).
  • Non aveva ramificazioni narrative: la storia procedeva da un enigma a quello successivo, sebbene il mazzo ogni tanto venisse ribaltato; i ribaltamenti però avevano più che altro un significato “teatrale”, non cambiavano la natura lineare della partita, nel senso che l’ordine di lettura delle carte, anche se non coincideva con la numerazione, era prefissato.
  • Il mazzo poteva essere rigiocato, perché alla fine della partita veniva ripristinato nel suo stato iniziale (bastava riordinare le carte). Su questo ero scettico: dopo averlo provato, mi sembrava che fosse impossibile rigiocarci perché le soluzioni agli enigmi ormai erano note. In realtà, alla presentazione estiva del gioco mi sono reso conto che non ricordavo quasi nulla dal collaudo primaverile: probabilmente a chi ha una memoria come la mia (né straordinariamente buona né particolarmente cattiva) basta aspettare qualche mese per poterci rigiocare con la stessa mente sgombra della prima volta.
  • La parte narrativa del gioco era particolarmente importante perché rispecchiava gli eventi storici di cui si sta parlando: il golpe Borghese e il suo contesto. Tutto il gioco è costruito come un intricato e coinvolgente strumento grazie al quale i giocatori possono familiarizzare con la storia di questo “mistero italiano”.

Qualche difetto da correggere

In gergo ho sentito parlare talvolta di “aggiustare” un gioco, ma questo non era “rotto”: volevamo solo migliorarlo ancora un po’. Il mio incarico sarebbe stato progettare la “versione 3”, risolvendo tre ordini di problemi:

  1. L’arco drammatico non era abbastanza buono. L’arco drammatico è l’andamento della “tensione” nel corso di una storia, che di solito sale, scende un po’, sale ancora, scende ancora un po’, poi sale tantissimo fino al gran finale e quando il conflitto è risolto si placa. Anche nelle partite a giochi o videogiochi è bello se esiste un buon arco drammatico, che può essere dato dalla tensione narrativa o dalla curva di difficoltà delle sfide da affrontare. Nella versione 2 l’arco drammatico di Colpo di Stato aveva qualche problemino perché gli enigmi si susseguivano senza che si accumulasse tensione; l’ultimo enigma, sebbene avesse qualcosa di spettacolare perché era più “grande” degli altri (e questa caratteristica si è mantenuta nella versione 3, anche se l’enigma è cambiato), non era abbastanza interessante o difficile ma richiedeva solo un po’ di pignoleria, e soprattutto il finale consisteva semplicemente nell’aprire il Dossier e contare e leggere le carte accumulate durante il gioco, che però non avevano nulla di eccitante, visto che erano già state viste strada facendo.
  2. La condizione di vittoria non creava una sfida abbastanza avvincente. In un gioco le condizioni di vittoria sono proprio quello che sembra dal nome: i criteri con cui si stabilisce chi ha vinto e chi ha perso. Colpo di Stato è un gioco totalmente cooperativo, dunque tutti i giocatori o vincono assieme o perdono assieme. Fino alla versione 2, la condizione di vittoria era semplice: dopo ogni enigma, si doveva leggere la soluzione e se la squadra dei giocatori aveva indovinato, poteva prendere una “carta personaggio” e metterla nel Dossier; se si riusciva a finire la partita entro un’ora e mezza e con abbastanza carte nel Dossier, ci si poteva proclamare vincitori. Le carte personaggio rappresentano il principe fascista Junio Valerio Borghese e gli altri golpisti, e il premio per la vittoria consisteva nel potersi leggere le biografie di una bella banda di capitalisti senza scrupoli, politici corrotti, spie, sbirri, mafiosi, massoni e via dicendo. Molto istruttivo, ma anche un po’ noioso.
  3. Alcuni enigmi non piacevano a Matteo e Claudia, erano troppo difficili o poco chiari o non molto divertenti. Andavano sostituiti e mi erano stati forniti alcuni suggerimenti sulla direzione da prendere.

Provando il gioco con un occhio più critico, ho trovato altre cose che mi piacevano poco, che erano un po’ figlie di queste. Per esempio, a volte bisognava contare il numero di enigmi risolti in un gruppo di enigmi, ma contare dopo il 2 è noioso, inoltre solo avendone risolti almeno un tot si poteva prendere una carta e metterla nel Dossier. Trattandosi di un gioco collaborativo, mi immaginavo già cosa sarebbe successo: «Dice che dobbiamo prendere la carta del massone Licio Gelli solo se abbiamo risolto almeno due enigmi degli ultimi tre» , «Ah, dai, prendiamola» , «Ma no, aspetta, il primo l’avevamo indovinato o no?», «Mi pare di sì, più o meno, ma poi chi se ne accorge se bariamo? Eddai, mettila…».
Lo stesso problema nasceva col conteggio finale delle carte, con tenere d’occhio il tempo, ecc.
Le immagini sono la parte più interessante delle carte dei golpisti, ma siccome quelle carte le vedi e le giri durante il gioco, metterle o no nel Dossier non ti fa molta differenza: hai in ogni caso la sensazione di aver già visto il bel faccione di Andreotti.
Siccome lo scopo dichiarato del gioco nella versione 2 era fare collezione di molte carte, non c’era molto da scoprire alla fine della partita: si capiva già strada facendo come stava andando. Per evitare questo effetto alcuni videogiochi di corse mettono nel giro finale eventi speciali che possono ribaltare la classifica, per non parlare dei film d’azione in cui sistematicamente il protagonista subisce dei cambi repentini di sorte e fino all’ultimo momento sembra destinato alla sconfitta, per poi emergere vittorioso per il rotto della cuffia nel gran finale. Un film dove il protagonista avesse davanti a sé un trionfo certo e garantito già alla fine del primo tempo sarebbe soporifero.

Alcuni manuali di game design suggeriscono di affrontare la correzione dei difetti di un prototipo di gioco usando la saggezza: bisogna trasformare i difetti in opportunità. Se provando un prototipo di gioco si individuano due difetti, è sempre possibile escogitare due soluzioni ad hoc che correggano un difetto ciascuna: è quel che si dice “metterci una pezza”, anzi, due pezze, ma i vestiti con molte pezze sono spesso poco eleganti e l’eleganza, cioè la coerenza delle varie parti col tutto, è molto importante nella creazione di un’esperienza di gioco appagante. Per questo motivo, si consiglia spesso di cercare una soluzione unica a due difetti (o tre o quattro…): la soluzione del difetto diventa così l’opportunità per raggiungere livelli più elevati di eleganza e coerenza dei meccanismi del gioco.

Con questo principio in testa, ho cercato di trovare delle modifiche al gioco che risolvessero piccoli grappoli di problemi. La questione più importante era chiaramente la condizione di vittoria: bisognava trovarne una che aiutasse a creare l’arco drammatico nel corso della partita, che abolisse la conta delle carte nel Dossier (anzi, sapete cosa? che abolisse proprio il Dossier), che usasse la rivelazione delle fotografie dei congiurati come gratificazione, ecc. Un altro aspetto importante da rafforzare era la “tematicità”, ossia l’aderenza delle meccaniche di gioco al tema del golpe Borghese e alla finzione ludica che vuole i giocatori impegnati a interpretare dei giornalisti che stanno facendo un’inchiesta su quegli eventi.

A un certo punto, mi è venuta un’idea. Come molte idee, è partita da un’immagine. Molti avranno presente la scena che c’è in molti film e telefilm in cui un investigatore attacca foto e ritagli di giornale su una bacheca in sughero e poi tende dei fili o dei nastri per rappresentare i legami tra i vari elementi e in questo modo rivelare la trama del complotto, le connessioni occulte nel mistero, i rapporti nell’organizzazione criminale segreta. Si tratta di un luogo comune cinematografico spesso ripreso anche su altri media, per esempio i videogame. Era ora di portarlo anche nel mondo dei giochi di carte.

Ecco, dunque, l’idea: la nuova condizione di vittoria sarebbe stata riuscire a connettere tra loro tutti e undici i golpisti, completando così l’inchiesta. In qualche modo rispondere correttamente agli enigmi avrebbe reso possibile la creazione di connessioni, mentre sbagliare l’avrebbe ostacolata. L’esperienza mi aveva insegnato che la creazione di un grande gruppo connesso (­cluster) dà una soddisfazione viscerale, quasi tattile, sicuramente più immediata della soddisfazione di poter rileggere la biografia di Andreotti nel Dossier. In questo modo avremmo risolto vari altri problemi in un colpo solo: l’arco drammatico sarebbe stato sorretto dalla formazione graduale dello schema del complotto, non ci sarebbe stato bisogno di contare carte o enigmi perché lo stato di avanzamento della squadra nel suo compito sarebbe rimasto tracciato nella costruzione delle connessioni e l’esito finale sarebbe stato netto e semplice da valutare: o tutte le carte personaggio sono connesse (vittoria) oppure qualcuna non si riesce a collegare alle altre (sconfitta).
Le connessioni tra i golpisti, infatti, avrebbero dovuto essere rappresentate dalle connessioni tra le carte personaggio, quelle con la biografia e la foto. Come realizzare tali connessioni? Qui i vincoli fisici ci vengono in aiuto, come spesso avviene nel game design e nel design in generale.

Le carte sono rettangolari e le carte personaggio hanno sagome o foto, quindi sembra logico dire che non possono essere ruotate ma devono avere tutte lo stesso orientamento. Una carta ha quattro bordi, quindi le connessioni possibili è naturale immaginare che siano quattro: in alto (nord), in basso (sud), a destra (est), a sinistra (ovest). Affiancare due carte lungo un bordo è il modo più semplice per connetterle; nella discussione successiva con il team è poi emersa un’idea più elegante, ovvero la creazione delle carte connettrici, che però non cambiano la meccanica sottostante. Se ogni carta potesse collegarsi alle altre da tutti e quattro i bordi, fare un gruppo unico sarebbe ben facile: basterebbe metterle tutte vicine; si trattava naturalmente di limitare le connessioni ad alcuni dei quattro bordi. Per esempio una carta potrebbe avere una connessione solo a nord e un’altra solo a sud e a ovest: in tal caso, il modo per connetterle è uno solo: si fa combaciare il bordo nord della prima carta col bordo sud della seconda. Col crescere del numero di carte e di connessioni disponibili, le soluzioni possibili diventano numerose e trovare se ce n’è una che tenga insieme tutte le carte non è affatto banale, esige una serie di tentativi ed errori da parte del giocatore fino all’eventuale ritrovamento della disposizione ottimale.
Un altro vincolo fisico è che le carte hanno due facce. La scelta più naturale è associare alle due facce due possibili “stati” della carta personaggio: uno stato “sfigato”, con poche connessioni, e uno stato “figo”, con più connessioni. Per rafforzare in modo ovvio la percezione che girare la carta dal lato sfigato a quello figo sia un miglioramento, si metterà dal lato sfigato solo la sagoma del golpista e dal lato figo una sua foto d’epoca, cosa che tra l’altro funziona bene con il cliché delle foto e dei fili sulla lavagna di sughero. Rispondere correttamente agli enigmi avrebbe dovuto in qualche modo portare ad avere più carte sul lato figo e quindi maggiori connessioni e maggiori probabilità di connettere assieme tutti i personaggi: bingo!

Ma, esattamente, quante e quali connessioni avrebbero dovuto essere indicate su ciascun lato di ciascuna carta per essere sicuri che girandone abbastanza il rompicapo diventasse risolvibile?

Computer-aided game design

Le carte personaggio sono 11. Ho quindi preso 11 foglietti e ho disegnato connessioni dai due lati, seguendo questa regola: le connessioni dal lato sfigato devono essere un sottoinsieme delle connessioni dal lato figo. Le connessioni possono essere di due tipi: frecce sottili e frecce spesse. Mi sono infatti presto reso conto che diversamente le combinazioni possibili sarebbero state troppo poche e sarebbe risultato troppo facile connettere tutte le carte. Con questi foglietti ho fatto un po’ di esperimenti per capire quante carte dal lato figo fossero necessarie per avere una soluzione e sotto quale soglia invece il problema diventasse insolubile. Ovviamente, dipende in maniera cruciale da cosa è disegnato sulle varie carte, ma verificarlo a mano è un processo estremamente laborioso e impreciso, anche perché non si ha mai la certezza, quando non si trova la soluzione, di aver cercato abbastanza.
Mi sarebbe proprio servito avere un fedele servitore disposto a fare migliaia di tentativi senza stancarsi, meglio se velocissimo e di precisione svizzera. Per fortuna mi è venuto in mente che il mio mestiere è programmare computer.
Ho scritto un programmino in Python che, presa in input una descrizione delle 11 carte, delle frecce disegnate da entrambi i lati e di quale fosse il lato da cui era girata ogni carta, desse in output la miglior soluzione trovata dopo aver fatto un migliaio di tentativi di disposizione delle carte. Questo programmino non è “esaustivo”, cioè non prova tutte le possibilità teoriche; semplicemente prova a connettere le carte a una a una, in un ordine casuale e tentando tra le connessioni ancora libere. Il gruppo di cospiratori più ampio che riesce a connettere è il “voto” di quella configurazione, da 1 a 11. Se il voto è 11, significa che quella configurazione è risolvibile.

Siccome le carte sono 11 e ciascuna ha 2 facce, non mi bastava un voto. Infatti, andava considerata ogni possibile combinazione di lati fighi e lati sfigati e le andava assegnato un voto. Le combinazioni sono 2 all’11ma potenza, cioè 2048. Se chiamiamo 0 il lato sfigato e 1 il lato figo, ogni combinazione corrisponde a un numero binario da 00.000.000.000 (zero: tutte le carte dal lato sfigato) a 11.111.111.111 (che in base dieci sarebbe 2047: tutte le carte dal lato figo). Ho quindi modificato il programmino in modo che potesse girare le carte e provare tutte le 2048 configurazioni, dato un mazzetto fatto in un certo modo. Per far girare un programma del genere ci vuole molto tempo, perché deve fare centinaia di migliaia di tentativi, ma il vero problema è che anche il risultato non è molto leggibile: 2048 voti da 1 a 11. Quello che mi serviva era qualcosa di più sintetico.

Mi sono reso conto che il mondo che avevo creato aveva una qualità utile a semplificare non solo i conti, ma anche il modo di rappresentare il risultato. Questa qualità è che se una configurazione prende il voto massimo, anche tutte le configurazioni che hanno gli stessi 1 nelle stesse posizioni, ma qualche 0 in meno, dovranno prendere il voto massimo. Infatti, se per esempio 10.000.111.000 è risolvibile, deve per forza esserlo anche 10.000.111.001; perché? Ma perché il lato figo è più figo, e se l’ultima carta mi andava bene dal lato sfigato a maggior ragione mi va bene dal lato figo che ha più connessioni! Sfruttando questa cosa, era possibile velocizzare i conti: quando si trovava un voto massimo, tutte le “figlie” di quella configurazione (le configurazioni sicuramente matematicamente “più fighe” di quella) potevano essere già marcate come risolvibili. In fase di output, invece di mettere tutte le 2048 configurazioni col rispettivo voto, era sufficiente indicare le “capostipiti”.

Mi stavo avvicinando alla risposta che cercavo. Quello che mi interessava era trovare un mazzo di 11 personaggi, con le rispettive connessioni disegnate sui due lati, che avesse queste caratteristiche:

a) Fosse sempre risolvibile sopra una certa soglia di carte girate dal lato figo. Se il giocatore risponde correttamente a gran parte degli enigmi, è giusto che possa vincere la partita.
b) Fosse sempre irrisolvibile sotto una certa soglia di carte girate dal lato sfigato. Se il giocatore sbaglia troppi enigmi, è giusto che perda la partita. Questa soglia non sarà la stessa del punto precedente, perché dipende da quali carte vengono girate; magari con certe configurazioni bastano 8 o 9 carte dal lato figo per vincere, ma voglio essere sicuro che se ne giro 10 su 11 vincerò e se ne giro solo 2 su 11 perderò. Il resto sta all’abilità o alla fortuna del giocatore nello scegliere di girare le carte giuste.
c) Non contenesse nessuna carta “inutile”, cioè che può essere girata indifferentemente da entrambi i lati senza avere in nessun caso effetto sull’esito finale, né “obbligatoria”, cioè che dovesse per forza essere girata dal lato figo per vincere. Questa era la condizione più rognosa, perché implicava che tra tutte le configurazioni “capostipite” dovessero esserci casi abbastanza variegati da avere almeno uno 0 e almeno un 1 in ogni posizione.

Con tutti questi vincoli, non era facile trovare il mazzo giusto. Con qualche ragionamento generale, una buona dose di fortuna e una lunga serie di tentativi assistiti dal computer, l’ho trovato. Il software che ho utilizzato l’ho reso disponibile online su GitHub, per i curiosi. Può essere un esempio interessante di come la programmazione sia utile anche per progettare giochi non digitali.

Un enigma abbandonato e uno sproloquio contro Archimede

Non è il caso che scenda in dettagli sull’aggiustamento degli enigmi: sarebbe per forza di cose uno spoiler e peraltro il mio ruolo rispetto agli enigmi di cui è costellato il gioco è stato ancillare. Posso fare un esempio in negativo mostrando una proposta di enigma che ho formulato, ma che è stata scartata perché troppo macchinosa. Ecco:

Una proposta di enigma macchinoso

Anche se l’enigma è stato giustamente omesso dalla versione finale e sostituito con uno molto migliore, resta un esempio interessante. Nell’inventarlo mi ero posto tre vincoli creativi:

1) Volevo usare il meccanismo della parola da “allungare” (una parola di senso compiuto a cui aggiungendo delle lettere in testa si arriva a una nuova parola di senso compiuto).
2) Volevo che gli “allungamenti” prefissi, letti di fila, formassero una frase che poteva essere la parola d’ordine di un golpe fascista, e i fascisti hanno pochissima fantasia con le parole.
3) Volevo che le parole da allungare, lette di fila, formassero una frase che poteva in qualche modo avere qualcosa a che vedere con il tema del golpe; quest’ultimo criterio è stato un po’ tirato per i capelli, ma si può ben dire che un colpo di Stato sia una via insolita e audace per ottenere un cambiamento politico.

Con una serie di tentativi, chiunque può giungere incrementalmente alla soluzione e la squadra dei giocatori può cooperare per arrivarci prima. Questo è molto nello spirito di questo gioco. Infatti, gli enigmi di Colpo di Stato sono abbastanza variegati ma hanno in comune un certo tipo di approccio all’enigmistica. Per spiegarlo, bisognerà parlare di un approccio che non hanno, e cioè dell’effetto Eureka e del pensiero laterale.
La soluzione di alcuni rompicapi, di tipo verbale, grafico o fisico (quelli che in inglese si chiamano genericamente puzzle), si basa sulla capacità di pensare fuori dagli schemi, di non procedere passo dopo passo in un ragionamento logico ma di fare un’associazione insolita, un “salto mentale”: per l’appunto, di usare il cosiddetto pensiero laterale. Per esempio, c’è un indovinello piuttosto brutto che girava su Facebook che diceva: «Sono le 7 del mattino, stai dormendo e improvvisamente senti il campanello, sono i tuoi genitori che vengono a fare colazione con te. Hai: pane, latte, miele, marmellata, succo. Qual è la prima cosa che apri?». Chi cercasse di ragionare su quale dei cinque cibi aprire per primo, sbaglierebbe la risposta. Con un primo salto di pensiero, ci si potrebbe rendere conto che c’è un tranello perché non si tratta di aprire un cibo ma di aprire un oggetto: per esempio, lo sportello del frigorifero o la porta di casa. Con un secondo salto di pensiero, si arriva alla risposta corretta: la prima cosa che si apre al risveglio sono gli occhi.
Si possono fare esempi molto più affascinanti di questo (ma ancora una volta, non volevo rovinare un buon indovinello vivisezionandolo, questo qua mi pareva abbastanza sacrificabile), però in tutti i casi l’esperienza del giocatore che viene cercata dal game designer è l’effetto Eureka: quel breve momento di euforia che si ha nell’accorgersi che, per vie anche piuttosto misteriose, la nostra mente ha trovato, spesso in modo inconscio, la “porta laterale” che l’ha condotta alla soluzione sbalorditiva. Il videogioco The Witness si basa tutto su questo meccanismo, e proprio per questo può essere terribilmente appagante o terribilmente frustrante.

Ecco, gli enigmi di Colpo di Stato tendenzialmente non sono così. Richiedono quasi sempre soprattutto di applicarsi, di cercare, di scandagliare. In questo sono più democratici: chiunque si può cimentare e farcela, il gioco è pensato per mettere insieme vari giocatori in quanto varie teste pensano meglio di una, ma nessuna testa ha bisogno di avere ineffabili guizzi di genio. Il momento Eureka invece è il risultato dell’intervento di un demone capriccioso che non può essere evocato a comando, e proprio per questo ci lascia spesso molto insoddisfatti.

Un popolare testo di game design di Jesse Schell (The Art of Game Design: A Book of Lenses) mette in guardia contro gli “spostamenti percettivi” richiesti per ottenere i momenti Eureka, dicendo che sono un’arma a doppio taglio. Spiega che quello che ti succede di fronte a un enigma costruito attorno ai momenti Eureka è una di queste quattro cose:

· Hai già visto qualcosa di simile e quindi non ti diverti un granché.
· Hai l’illuminazione e godi del tuo fighissimo momento Eureka.
· Qualcuno ti dice la soluzione e questo ti dà un piccolo appagamento mischiato a vergogna per non avercela fatta (se si fosse seguita questa strada, succederebbe spesso in Colpo di Stato, dove gli enigmi sono solitamente risolti da più giocatori, e l’Archimede della compagnia diventerebbe subito antipaticissimo a tutti gli altri).
· Lasci perdere perché “non ti viene” e ti senti sfigato.

Gli enigmi di Colpo di Stato richiedono invece pazienza, spirito di osservazione e un certo impegno: tutte cose che possono essere distribuite tra i partecipanti, facendone un pezzo ciascuno, e che peraltro sono coerenti con la storia del gioco e cioè un’indagine giornalistica, che di solito non si costruisce tramite epifanie, ma con un duro lavoro di raccolta e ricombinazione di informazioni.

Alla fine dell’isolamento domestico dovuto allo scoppio della pandemia a inizio 2020, il gioco è stato finalmente inviato a chi aveva partecipato alla prevendita. Mi sono arrivate alcune copie e devo dire che è stato piuttosto emozionante aprire il mazzo. Mi auguro che l’esperienza che abbiamo progettato, nell’infinità di esiti e sensazioni che il contatto del gioco con la realtà può produrre, sia appassionante e interessante per tutti quelli che affronteranno il complotto neofascista e i suoi segreti.

--

--