Figli delle colonie

ll Calcio moderno è profondamente legato alle conquiste coloniali.

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8 min readDec 19, 2017

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Eder centravanti della nazionale italiana. Mario Balotelli trascinatore agli Europei 2012. L’Italia si sta abituando a una popolazione che cambia. Altri paesi europei hanno ormai inglobato nel loro tessuto sociale culture diverse ereditate dalla colonizzazione dei secoli scorsi.

I flussi migratori hanno inciso sugli sviluppi sociali ed economici dei paesi europei. Gran parte di questi sono dettati da legami profondi tra il paese lasciato ed il paese in cui si cerca una nuova casa. La colonizzazione iniziata nel quindicesimo secolo e terminata alla soglia degli anni duemila ha creato legami indissolubili, mischiato culture e alterato gli equilibri della geografia mondiale. Il calcio, in quanto sport popolare per eccellenza, ha risentito e beneficiato delle influenze migratorie. Portogallo, Olanda e Francia, in particolare, hanno costruito le loro fortune calcistiche su talenti nativi od originari delle terre un tempo fatte preda delle ambizioni espansive dei tre imperi. Tra fusioni di culture e intemperanze, il calcio di oggi non sarebbe lo stesso, senza i figli delle colonie.

Da Vasco da Gama a Eusebio

La storia dell’Impero portoghese è costruita attorno all’illuminazione di esploratori come Vasco da Gama, Magellano, Cabral. Alla ricerca di una via per il lucrativo commercio delle spezie, si spinsero alla scoperta delle Indie, orientali ed occidentali. Lungo le coste africane costruirono i primi forti, instaurarono i primi rapporti commerciali. Senegal, Guinea, Sierra Leone. Quindi Angola, Mozambico, per arrivare a toccare l’India sul finire del quindicesimo secolo. Le stesse rotte atlantiche portarono alla scoperta di Azzorre, Capo Verde e Madeira oltre che di quella che rappresenterà la perla delle colonie portoghesi, il Brasile.

Eusebio da Silva Ferreira nasce nel 1942, come Alì. Non può essere una coincidenza. E’ ricordato come il primo campione africano ed allo stesso tempo come icona assoluta del Portogallo. La sua storia è fatta di una gioventù passata nel campinho di Mafalala, quartiere di Maputo, ai tempi Lourenço Marques, Mozambico. Sarà colonia portoghese sino al 1975, anno che vedrà le partite della Pantera Negra al vecchio Estadio da Luz. La sua storia è arricchita da Bela Guttmann, l’uomo dei trionfi europei per il Benfica ma anche l’uomo della maledizione.

“Da qui a cento anni nessuna squadra portoghese sarà due volte campione d’Europa e il Benfica senza di me non vincerà mai una Coppa dei Campioni”.

Proprio a Guttmann venne presentato un giovanissimo Eusebio. Fu un suo ex giocatore a farlo, lo aveva allenato durante l’esperienza in terra brasiliana, al San Paolo, l’anno precedente al trionfo mondiale carioca del ’58. Didi, Vava, Garrincha, Pele, una filastrocca.

Leggi Eusebio e pensi Benfica. E’ li che lo porta Guttmann. E’ li che fa innamorare il Portogallo, sua seconda patria, di cui sarà rappresentante ed orgoglio, e che porterà al terzo posto al mondiale del ’66 (tuttora miglior risultato alla fase finale di un mondiale per il Portogallo). Il Benfica è il palcoscenico che permette a un ragazzino di colore, intimidito dalla supponenza del popolo colonizzatore, di riposare nel Pantheon portoghese e di far indire tre giorni di lutto nazionale alla sua morte.
Leggenda.

Ronaldo da Madeira, Nani da Capo Verde, Pepe dal Brasile, Mario Coluna ancora dal Mozambico. E poi Joao Mario, Renato Sanches, Danilo, Quaresma ed il decisivo Eder. Cinque degli undici titolari nella finale di Euro 2016 sono figli delle colonie, figli dell’impero coloniale che ha visto il Portogallo allargarsi verso il mondo costruendo rotte commerciali da Lisbona a Nagasaki, commerciando schiavi e spezie, assorbendo culture e instaurando legami che si estenderanno sino ai giorni nostri.

Numero di giocatori con diretto legame con colonie ed ex-colonie portoghesi al Mondiale 2014 (mappa a sx) ed all’Europeo 2014 (mappa a dx)

Goot Desseyn e i nuovi olandesi

Gli imperi coloniali sono nati, crollati ed estinti in maniera complementare. Una partita a scacchi giocata da governi e navigatori per assicurarsi la corsa al commercio internazionale. Sono figli di guerre e violazioni, di astuzie e scoperte.

Il colonialismo olandese ha principio con due secoli di ritardo rispetto a quello portoghese, nel 1609. Henry Hudson è il protagonista delle esplorazioni verso le Indie Occidentali che porterà alla prima città coloniale, Nuova Amsterdam. Con il “Groot Desseyn”(Il Grande Disegno), l’ allora Repubblica delle Sette Province pianificava di espandere il proprio impero coloniale per contrastare l’egemonia portoghese nel commercio degli schiavi. Le campagne olandesi porteranno ad avere controllo e, nel tempo, influenza sulle isole caraibiche oltre che sul Suriname - per il cui controllo rinunceranno a Nuova Amsterdam, rinominata dagli inglesi New York - e sulla Guyana Olandese. Territori che accoglievano migliaia di schiavi dalle diverse colonie dell’Impero.

Il Suriname è il risultato di secoli di deportazioni di schiavi, di etnie e culture opposte che faticano a creare un’identità unica, nazionale, anche a seguito dell’indipendenza dal Regno, ottenuta nel 1975. La popolazione teme l’incapacità del governo locale di garantire una stabilità economica e sociale alla neonata repubblica. Molti emigrano subito nei Paesi Bassi, gran parte degli abitanti, rimasti dopo l’indipendenza, abbandona la madre patria a seguito dello scandalo corruzione che colpirà il primo governo surinamese.

È per secoli luogo di approdo, il Suriname. Per schiavi provenienti dalle Indie orientali o dall’Africa. Per navigatori olandesi ed esploratori inglesi. Il post-indipendenza genera un flusso inverso. I surinamesi si muovono in cerca di una vita ed un lavoro migliori e finiscono per “contaminarsi” con i locali olandesi. Il calcio, appena rivoluzionato dall’epoca Cruyff, è diventato totale. Rappresenta il perfetto scenario in cui integrare il sangue sudamericano di Gullit, Rijkaard e degli altri figli del Suriname. L’Olanda è il luogo ideale dove emulsionare la prestanza atletica del popolo sudamericano, la loro effervescenza,con un calcio privo di gabbie e centrato attorno ad un concetto principe: la tecnica.
Davids, Bogarde, Seedorf, Kluivert, i figli delle colonie hanno tracciato la storia del calcio olandese. Non hanno potuto difendere i colori della propria patria in quanto dittature e criticità politico-economiche si sono fortemente opposte al sorgere del sol pensiero. La convivenza difficile degli anni ’70 tra il popolo del Regno ed i nuovi olandesi si è poi evoluta in perfetto esempio di integrazione. Da popolo colonizzatore a realtà multiculturale, i Paesi Bassi si sono dimostrati capaci di diventare casa e rifugio per popolazioni alla ricerca di una vita migliore.

Numero di giocatori con diretto legame con colonie ed ex-colonie olandesi al Mondiale 2010 (mappa a sx) ed al Mondiale 2014 (mappa a dx).

Nel corso degli anni la distanza generazionale con i nativi della fase coloniale è aumentata ma la Nazionale olandese continua a beneficiare dei discendenti dell’Impero coloniale. Ai Mondiali 2010, la finale raggiunta è anche merito loro: sette su ventitré di cui cinque originari del Suriname . Sono invece otto i figli delle colonie ai Mondiali 2014. Tra Guinea Bissau e Jamaica, tra Ghana e Repubblica Democratica del Congo, il Suriname rimane protagonista con quattro giocatori (De Jong, Lens, Wijnaldum,Vorm).

Generation black, blanc, beur

L’integrazione dei migranti provenienti dalle colonie ha passato momenti difficili e tutt’oggi rappresenta un aspetto critico nella società francese. Rispetto a Portogallo e Olanda, l’Impero coloniale francese si è diviso in due fasi. Una prima fase in cui i transalpini si sono spinti alla conquista delle Indie orientali (Reunion, Seychelles, Mauritius) ed occidentali (Guyana francese, Guadalupa, Martinica). Ed una seconda fase concentrata sul polmone del mondo, l’Africa. Senegal, Mali, Costa d’Avorio, e poi il Nord Africa. Algeria, Marocco, Tunisia. Il Secondo Impero coloniale francese è quello con maggior incidenza sull’attuale composizione della popolazione francese, e, conseguentemente, sul calcio dei Blues.

Numero di giocatori con diretto legame con colonie ed ex-colonie francesi al Mondiale 1998 .

Raoul Diagne è stato il primo uomo di colore a vestire la maglia della Francia nel lontano 1931. Era un figlio della Guyana francese, colonizzata durante la prima fase dell’Impero. Dal 1931 ad oggi, il processo di integrazione dei popoli un tempo colonizzati nel tessuto francese ha vissuto di apici e drammi, sociali e sportivi, faticando a trovare una stabilità. La Nazionale del ’98 è stata il primo manifesto di una
generation black, blanc, beur”¹. La vittoria finale, con Zidane e Thuram eretti a simbolo dei nuovi francesi, poteva dare slancio ad una definitiva integrazione tra mondi ancora troppo distanti. Mondi che si sono scontrati nel 2005 e nel 2007, con le rivolta delle banlieue, primo forte segnale di malcontento latente figlio di un’integrazione ancora incompleta. L’ affaire Anelka-Domenech ai mondiali 2010, l’ammutinamento di Evra e compagni, e poi ancora la questione Benzema, l’inno non cantato, sono tutte trasposizioni sportive delle difficoltà ad allineare realtà diverse sotto i colori di una stessa bandiera.

Numero di giocatori con diretto legame con colonie ed ex-colonie francesi al Mondiale 2006 (mappa a sx) ed a Euro 2016(mappa a dx).

Se l’Olanda deve al Suriname un importante ruolo nella generazione del talento delle sue nazionali calcistiche, lo stesso vale per la Francia nei confronti della Guadalupa. La piccola isola delle Antille ha donato ai colonizzatori francesi i talenti di Wiltord, Silvestre sino a Martial, Coman, Lemar, Lacazette ma soprattutto Henry e Thuram. Quest’ultimo nato in quella che è soltanto una delle molte isole facenti parte del Dipartimento d’Oltremare francese.

Mali, Angola, Senegal, Congo. l’Africa è stata, ed è ancora, il bacino principale del talento calcistico francese. L’algerino Zidane è stato trascinatore nelle campagne mondiali (vittoriose o quasi) del ’98 e del ’06, oltre che primo, discusso, simbolo di integrazione razziale. L’evoluzione del calcio moderno ha poi portato a sfruttare in maniera diversa la fisicità dei figli africani. Giocatori come Matuidi, Pogba, Mbappè, con superiori capacità atletiche, unite a una spiccata delicatezza tecnica, erigono la Francia a serissima candidata per la vittoria finale in Russia. La Nazionale francese, priva del discusso Benzema, ha saputo fare gruppo attorno alla voglia di lasciare un segno nella storia. Insieme dopo il terrore di Parigi. A squarciagola a cantare la marsigliese allo Stade de France.
I Blues, per completare l’allineamento con la squadra del ’98, dovranno ora vincere e trascinare il popolo francese come simbolo di una nuova “generation black, blanc, beur”.

Clicca qui per accedere al grafico interattivo e scoprire l’evoluzione dei figli delle colonie nelle varie competizioni internazionali.

Note:
¹ Beur è un neologismo francese utilizzato per descrivere le popolazioni nate in territorio europeo ma con genitori o trisavoli di origine nordafricana.

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