Quel che resta del calcio

Per chi vive ancora di emozioni e non solo di numeri.

Carlo Papa
3 min readMay 23, 2014

Il calcio è quell’immagine lì. Esatto, propria quella incollata in alto a questa pagina. Triste ma umana, infame ma romantica. Inciampi, un attimo e tutto ciò che avevi costruito in mesi di duro lavoro, fugge via, scappa e non c’è verso di farlo tornare indietro.

Non è una scienza esatta, checchè ne dicano i ragionieri e contabili del moderno mondo pallonaro. Oggi vorrebbero far contare solo i numeri. Ma i teorizzatori del calcio-matematico devono spesso arrendersi all’imprevedibilità dell’errore umano. Nel calcio dei 100 punti a campionato, dei 100 gol a stagione, dei record di gol in Champions e della supremazia del denaro a discapito della competizione sportiva, c’è ancora spazio per la letteratura e la poesia dell’uomo calciatore. Cosa resta?

Confesso. Ho una memoria che difficilmente ricorda dettagli, numeri e classifiche. Quel che resta dentro è solo sensazione. Già so che tra un paio di anni, dovrò consultare qualche sito per recuperare i dati di questa stagione, salvo poi autocommiserarmi con un “ah già, come ho fatto a dimenticarmene”. Ma il lato umano del calcio, quel che resta della scienza dei professori, lascia ancora il segno. Più dei record, più delle morte statistiche.

L’immagine del capitano del Liverpool, Steven Gerrard: si dispera per aver perso il pallone, inciampando, e consentendo al Chelsea di vincere la partita e al Manchester City di trionfare in campionato.

Gerrard è l’eroe che cade, è l’Ettore che enfatizza il combattimento contro Achille:

«Ma non fia per questo
che da codardo io cada: periremo,
ma glorïosi, e alle future genti
qualche bel fatto porterà il mio nome»

E’ il simbolo perfetto del calcio romantico, di un calcio quasi sparito, un’isola che non c’è per tifosi Peter Pan come me. Quell’errore decisivo lo rende imperfetto e in quanto imperfetto, umano. Non è una macchina, Steven Gerrard. E’ un uomo. E un uomo inciampa durante il corso della sua vita. Inciampa e inciamperà sempre. Ma questo errore lo rende ancora più eroico. Non è un numero, la sua qualità è sottoposta all’emozione, alla tensione di voler vincere la prima Premier con la sua squadra. Questo è il calcio, questo è quel che resta del calcio, oserei dire.

In uno sport in cui tutto è parametrato, nel quale la struttura fisica e le capacità atletica prevalgono su qualsiasi aspetto umano, l’attimo di gioia e di disperazione è un barlume di umanità residua. Che emoziona ancora. Che, nonostante tutto, ti fa amare ancora questo calcio. Che va al di là della necessità di vincere un trofeo per dimostrare di essere i più forti, che va oltre il ricordo dei numeri del prossimo futuro. La sconfitta e l’accettazione della stessa è la forma più alta di sentimento umano. E Steven Gerrard è questa emozione. E non devi avere una medaglia al collo o un pallone d’oro per essere protagonista di un’emozione. Un leader, che attacca, difende, costruisce e distrugge. Che cade e si rialza. Che sbaglia e piange. Ma tira su la fascia da capitano, alza il calzettone, infila la maglia nei pantaloncini. E ricomincia a correre. Diciassette anni così. Perché ci sono calciatori che fanno parte del presente e non ti chiedi mai quand’è che abbiano cominciato. E che l’emozione di un attimo trasforma la storia presente in mito.

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Carlo Papa

Docente di Scienze Giuridico-Economiche, Giornalista Pubblicista, appassionato di calcio, libri, fumetti e scacchi.