Elisa Aste
Callmeishmael.net
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6 min readFeb 13, 2018

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L’uomo non può amministrare il divino

L’uomo non può amministrare il divino,
dà nome ad ogni ragione
laddove sia logica,
laddove non esista semantica.
Fu Gesù di Nazareth ad esser chiamato il figlio di Dio,
fu un uomo a deciderlo.
Tempi moderni,
cambio di rotta
e se avessimo atteso:
Ghandi, King, Mandela
battezzarli, ma come?
È stato deciso
mettendoli in croce.

Chişinău, 2011

Sapevo che prima o poi questa poesia, ignorata da qual si voglia forma di concorso per poeti in erba, mi sarebbe tornata utile.

Incompresa e vagamente deandreiana, non risponde ad una dottrina spirituale particolare, anche se ne ricorda lo spirito: per nulla mitico e banalmente sanguinario.

Sarà stato quel posto “dimenticato da Dio” (perdonate la metafora) a rievocare in me il creatore con il quale, ammetto, sono sempre stata piuttosto severa, ma pur sempre grata per le graziosità del mondo naturale…ma, se “la vita è un’enorme tela sulla quale rovesciare ogni colore del mondo”, bhé, in questo caso qualcuno lassù deve aver proprio preso un abbaglio perché, vi assicuro che, grigio su grigio crea una nuance stridente, per nulla evocativa.

L’assenza di colori è stata la prima cosa che ho notato appena scesa all’aeroporto di Chişinău, Repubblica di Moldova. Il freddo lo avevo già messo in conto (ma per quello c’è dechatlon, sezione alta montagna).

Le porte della città sono imponenti: le auto sfrecciano tra due grossi casermoni multi-piano situati lungo il Bulevard Dacia, reminiscenza sovietica.

La via principale è Boulevard Stefan Cel Mare la quale, per l’appunto, culmina con la statua di Stefano Il Grande (anche se le sue dimensioni non sono proprio da opera monumentale).

E’ Gennaio 2011, al parco c’è internet, il Leu vale 4,354 euro e l’emigrazione è tutta al femminile.

@Elisa Aste

Non che io ce l’abbia particolarmente con il mondo maschile (solo un pochino), ma i toni scuri e drammatici della violenza sono cromìa tipica del macho e qui lo percepisci. Anche se le strade sono piene di botteghe di fiori e di uomini armati di mazzi (che troppo spesso diventano mazze).

Ci sono case in costruzione ovunque che, probabilmente, ancor oggi non sono state terminate. Quelle pareti sono gli sforzi di quell’esercito di badanti che curano i nostri nonni: probabilmente pagate cash and hand (intanto hanno passaporto romeno, sono regolari, gli evasori possono dormire sonni tranquilli) e poco.

Denaro che dovrebbe creare muri e tetti, scuole ed ospedali, ma che troppo spesso finisce in Rachiu (grappa) e sigarette.

Mi rendo conto che diverse generazioni di moldavi sono cresciute e cresceranno senza una madre, e che forse conosceranno davvero quella donna, a tratti sconosciuta, quando sarà ormai troppo vecchia ed eccessivamente stanca per fingere che ne sia valsa la pena.

Non posso scindere la turista e la cooperante, ma posso affremare che, “eureka”, un giorno il colore è arrivato!

@Elisa Aste

Il colore è un traguardo, lo raggiungi quando ti addentri nella cultura moldava fatta di tradizione, musica popolare e luoghi vergini, davvero intoccati dal turismo di massa.

Come l’affascinante monastero di Orhei Vechi: completamente scavato nelle viscere della roccia e punto di partenza di un vasto ed interessante complesso museale costituito da monumenti archeologici e fortificazioni.

@ Elisa Aste

Il colore lo apprezzi all’interno delle chiese ortodosse, nelle quali entro a capo coperto, riappropiandomi per un attimo della mia verginità.

Uomini e donne baciano le icone, esprimendosi in un canto corale.

Non lo so: sarà l’omissione del purgatorio, sarà l’iconostasi che si alterna al legno, sarà che non è la chiesa che mi hanno imposto, fatto sta che tutti questi elementi mi affascinano, anche se rimango ancorata al mio principio: l’uomo non può amministare il divino.

@Elisa Aste

Il colore lo percepisci quando ascolti i racconti di Anişoara riguardo quel filo spinato che divide il fiume, capace di costituire una dualità: libertà / reclusione. Ed allora un po’ ti vergogni per aver sempre idealizzato quel freno a mano tirato: ideale ma irreale.

La Moldova è un paese ancor oggi diviso tra filo-Russi e pro occidentali. Una diatriba senza fine con il suo epicentro in Transnistria (repubblica autoproclamata). La battaglia, per altro combattuta a colpi di tweet negli ultimi giorni, mi fa pensare ad una incubazione della questione ancora lunga.

I commercianti parlano per lo più il russo e ben se ne guardano dall’imparare il romeno: una mossa politica facilitata dall’impigrimento da bilinguismo. Oggi però sono molti i cittadini moldavi che hanno deciso di non insegnare il russo ai propri figli: una scelta dettata dal bisogno di discostarsi dal passato. Un giorno però esisterà, forse, un paese nel quale gli stessi abitanti non saranno più in grado di comunicare.

Parlando di difficoltà di intensa, ne ho avuto un assaggio proprio in Transnistria dove, ovviamente, sono andata…spinta dall’adrenalina del vietato. Un luogo anacronistico nel quale non è permesso scattare foto. Si paga con il dublo transnistriano, che presenta l’effige del generalissimo Aleksandr Vasil’evič Suvorov (famoso generale, l’ultimo nella storia del suo Paese prima di Stalin). Una moneta priva di codice ISO 4217, che quindi non vale una mazza.

Mi sembra di passeggiare tra le case di in un set western, però con gli Universal studios chiusi per ferie.

Non c’è anima viva ….

Rincasando, io e la mia compagna di viaggio, veniamo fermati da un ufficiale di frontiera: cappello con stella rossa ben in vista. Pare che, il visto d’ingresso rilasciatoci qualche ora prima (di un paese che non esiste) non sia valido. Ci ritirano i passaporti e ci fanno accomodare in quella che sembra una stanza per gli interrogatori, fredda come la tetraggine di questo luogo.

Ovviamente non capiamo nulla di quel che ci dicono, quindi arriva l’interprete: un soldato altissimo con il volto totalmente deturpato da una spessa cicatrice (in quel momento pensi che non sia stato saggio leggere “Educazione siberiana” prima della trasferta oltre confine), con qualche nozione di romeno.

Probabilmente perché percepita come situazione surreale, con la testa ancora tra gli studios hollywodiani, non mi spavento, al contrario mi indigno. Cerco quindi di spiegare a questo marcantonio che l’errore è stato fatto dagli ufficiali di frontiera, non certo da noi.

Le insistenti gomitate della mia amica mi riportano alla realtà: siamo in un paese che nessuno riconosce, senza passaporto: gli consegnamo i pochi denari rimasti e teliamo…

@Elisa Aste

In Moldova la vita si divide tra la sua capitale, diversamente movimentata, e tutto il resto: dove la vita scorre lenta e si pensa alle conserve per l’inverno.

@Elisa Aste
@Elisa Aste

Le case, al di fuori della città, sono calde ed accoglienti soprattutto nelle vicinanze dell’area del focolare. I piedi restano caldi grazie ai tappeti Kilim (una sorta di arazzo)e le pance piene con l’ausilio della zuppa Zeama: carne di gallina e tanta tanta panna acida.

La gastronomia moldava, così come la sua politica, è influenzata dai popoli a lei vicini: buona, ma legata alle influenze esterne.

Gustare una placinta accompagnata da un vino rosso, magari preso da Mileştii Mici, la cantina più grande al mondo, è un’esperienza da non perdere.

(dicono che quello moldavo sia il vino preferito dalla regina Elisabetta, quindi penso che ne ordinarerò un paio di casse, vista la longevità della sovrana).

La Repubblica Moldova è un luogo che forse non conosci: potresti provare a googolare il suo nome, ma la tua ricerca culminerebbe, ahimè, su siti poco raccomandabili, per gli uomini della modernità liquida, privi di valore.

Quei meschini che valgono si o no mille euro al mese, ma che con il cambio valuta guadagnano virtù.

Così, giungo al termine di questo braistorming di ricordi passati, che sempre creano uno stimolo per ripartire.

La Republica Moldova non sarà certo nella Top 10 dei tuoi viaggi da sogno, ma è troppo vicina e troppo diversa per non incuriosirti.

Come sempre, pace.

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