Il senso delle tartarughe per il mare

Sette chilometri di strada sterrata, lungo la costa occidentale dell’isola di Cipro, per assistere alla prodigiosa schiusa di centinaia di uova

Gianluca Suardi
Callmeishmael.net
6 min readNov 16, 2017

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© Gianluca Suardi

Arrivarci non è stato così facile come ci aveva raccontato quel vecchio che beveva caffè sabbioso e giocava a backgammon con gli amici. La piccola utilitaria noleggiata dieci giorni prima all’aeroporto di Larnaka sobbalzava e vibrava nervosamente lungo i sette chilometri di polverosa e accidentata strada sterrata che separavano l’asfalto, e la civiltà, dalla spiaggia di Lara Beach.

Nel cuore della costa occidentale dell’isola di Cipro, a ridosso del Parco nazionale della penisola di Akamas, la spiaggia di Lara è forse l’unico luogo del mar Mediterraneo in cui la tartaruga verde (Chelonia mydas) e la tartaruga embricata (Eretmochelys imbricata), due specie in pericolo di estinzione, ancora nidificano in gran numero.

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Tanto bastava, a me alla mia compagna di viaggio, per eleggere quella remota lingua di sabbia dorata come nostra prossima meta di esplorazione. Devo ammettere che, nell’era dei social network usati anche come mezzo di informazione, è stata una fotografia vista su Instagram a suggerirci di recarci in quel luogo il prima possibile. Tale fotografia, scattata quel giorno da una procace turista russa, ritraeva una dozzina di piccole tartarughe di mare che, appena nate, zompettavano verso il mare blu.

E fu così che, in una caldissima domenica di metà agosto, siamo giunti a destinazione, nonostante l’assenza di segnale Gps e l’alfabeto greco sul navigatore. Arrivati a ridosso della costa non abbiamo potuto far altro che ammirare l’acqua cristallina e respirare i profumi della macchia mediterranea che circonda quel paradiso naturale, ma la mia attenzione è stata immediatamente rapita da un gruppetto di persone radunate in cerchio dall’altra parte della baia. Un sol pensiero si è stampato sulla mia fronte sudata: tartarughine.

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Mi sono precipitato giù dalla ripida discesa sabbiosa come un fulmine in infradito per poi correre a più non posso sul bagnasciuga al fine di raggiungere il più in fretta possibile il drappello di umani. Ricordo di non aver fatto nemmeno in tempo a lasciare lo zaino sull’arena che già stavo impugnando la mia macchina fotografica, pronto a documentare qualsiasi cosa stesse succedendo. Quello che ho trovato, sgomitando tra le gambe abbronzate di alcuni (forse troppi) turisti curiosi e caciaroni, è stato però abbastanza sconcertante. Uno dei due ranger del Parco naturale stava contando le tartarughe nate morte, mentre l’altro stava prendendo alcuni piccoli esserini per darli in mano ai bambini così desiderosi di essere immortalati dagli smartphone dei loro genitori.

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Se da un lato la conta dei vivi e dei morti mi sembrava del tutto normale, soprattutto per due specie animali così seriamente a rischio per colpa dell’inquinamento marino e del surriscaldamento globale, quello che in un primo momento mi aveva lasciato perplesso era stato vedere nelle mani di questi giganti in carne ed ossa delle minuscole tartarughine con il carapace seghettato che non avevano neanche avuto la forza di uscire da sole dal proprio nido. Si, perché il prezioso lavoro dei ranger, oltre che nel catalogare, sorvegliare e proteggere gli oltre sessanta nidi presenti su quella spiaggia, consiste anche nel provare ad aumentare le possibilità di soppravvivenza di questi piccoli animali. E come se non scavando con le proprie laboriose mani nella sabbia bollente proprio nel punto in cui le tartarughe avevano scelto di deporre le uova un paio di mesi prima? Buche profonde anche più di un metro, contenenti centinaia di piccole e morbide uova biancastre del tutto simili a delle palline da ping-pong.

Nido dopo nido, buca dopo buca, assistiamo a bocca aperta alla prodigiosa nascita di centinaia di questi graziosi esemplari. Col passare delle ore siamo entrati in confidenza con i due ranger, al punto che dopo aver ficcato l’intero braccio dentro al profondo buco ci mettevano tra i piedi un prezioso tesoro fatto di sabbia bagnata, uova e tartarughine. Due le raccomandazioni: non schiacciarle coi nostri piedoni maldestri e metterle nel secchio rosso prima che queste iniziassero a scappare in direzione del mare. Comunicando per mezzo di un improbabile dialetto anglo-ellenico, li ho tartassati di domande come farebbe un bambino parecchio curioso. Il ranger più anziano, quello con le mani grinzose e la pelle segnata dal sole e dal sale, annotava tutto sul suo taccuino nero: nidi presenti, tartarughe già uscite durante la notte, nascite con l’aiutino e quelle che non ce l’avevano fatta. I due uomini raggruppavano i gusci vuoti a gruppi di dieci e una volta finita la conta prendevano il secchio rosso pieno di tartarughe marine per dare loro un gentile passaggio verso l’ambita meta: quell’azzurro mare che fin dalla storia antica è stato teatro di epici viaggi e leggendarie battaglie, culla di tante culture e custode di una biodiversità di inestimabile valore.

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L’isola di Cipro, attualmente divisa a metà tra greci e turchi, con un piede in Europa e l’altro in Medio Oriente è stata scalo commerciale e culturale di ogni epoca. Da qui sono passati proprio tutti, dagli antichi greci fino ai soldati francesi di ritorno dall’Afghanistan, e da circa un decennio è diventata una delle capitali del turismo per russi e inglesi.

La spiaggia di Lara sembra quasi essersi fermata ai tempi delle Crociate, lontana anni luce dalla baldoria della costa orientale. Non è un caso se la tartaruga verde ha scelto proprio questa magnifica baia come incubatrice naturale. E non si può rimanere impassibili di fronte a una tale manifestazione di Resistenza. Queste tartarughe così piccole e indifese pare che abbiano trovato nell’uomo un improbabile aiutante per la loro lotta di soppravvivenza. Lo stesso uomo che negli ultimi dieci anni ha però anche inquinato e costruito alberghi in ogni dove. Ma questo la tartaruga appena nata non lo sa, lei vuole semplicemente raggiungere il mare, nuotare spedita verso l’immenso per poi, in un futuro forse migliore, tornare sulla sabbia di Lara Beach, per dare vita a una nuova generazione di piccoli esploratori. La mia più grande speranza è che quei sette chilometri di polverosa e accidentata strada sterrata non vengano asfaltati mai.

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