Quella Crêuza de mä che senti anche qua

Elisa Aste
Callmeishmael.net
Published in
6 min readJan 7, 2018
Photo by Dan Roizer on Unsplash

Respiro aria greve e sono madida di sudore.

Preambolo per nulla seducente, me ne rammarico. D’altronde, non sono una romantica, ma so bene che è grazie alle sensazioni, tutte, che si fonda il ricordo: la memoria, quella a lungo termine, non è altro che un insieme di emozioni o di turbamenti che ci fanno ricordare quel dato istante con minuzia.

Raul, l’autista di Jeorge, mi attende all’uscita dell’aeroporto di Iquitos. Anche lui è sudato, ma deve esservi abituato perché mi porge la mano, una mano traspirante, senza la minima reticenza. Deve essersi anche accorto del mio goffo tentativo di asciugarmi la mano sui pantaloni, proprio come tutti i bambini fanno, quando con il braccio rimuovono “l’idea della saliva” dalle loro guance appena baciate.

Foto di Elisa Aste

Salgo in macchina, i quattro finestrini sono già tutti abbassati, partiamo.

Non so se ve l’ho detto ma io amo il clima tropicale ( sorpresi vero?) perché si respira a stento. La cassa toracica fatica ad alzarsi e il naturale diventa complesso. Ho sempre la sensazione di trovarmi in un’altra dimensione, un mondo altro, nel quale però il periodo di adattamento è breve.

Non ho portato con me molte cose, ma ve lo assicuro, le mutande asciugano in un attimo.

Passo la notte in un piccolo hotel in centro: abituata alle camerate, quella stanzetta asettica mi pare un lusso.

Jeorge è un uomo sulla cinquantina, è sorridente e mi riconosce subito. Ho cercato a lungo un metodo per visitare l’Amazonia peruviana via fiume e quindi conoscere chi vi risiede, Jeorge è stato la chiave.

L’irragionevole invio di assillanti e-mail a qualsiasi sito che facesse rima con Amazonia ha dato i suoi frutti. Non ho molti soldi, ma per mia fortuna serve un/una interprete Inglese — spagnolo per una famiglia americana composta per lo più da medici, in una delle tante campagne sanitarie promosse da Proyecto Amazona, eccomi!!

Una famiglia del Texas, persone squisite: compriamo litri di birra pari al triplo del nostro peso corporeo complessivo ( sommato a quello della crew) e l’acquisto all’ingrosso si rivelerà appropriato.

Al porticciolo di Iquitos incontriamo l’equipaggio, saliamo su di una piccola lancetta di legno e percorriamo un breve tratto di laguna prima di arrivare d’innanzi allo scafo madre, la “ esperanza”.

Mi sento ancor più Lara Croft di quando visitai Angkor, solo un po’ meno presentabile. L’imbarcazione è bellissima, imponente, svetta su tutte. Guardandola hai la viva sensazione che, una volta messo piede su quelle assi di legno, vivrai incredibili avventure ed, in qualche modo, forse in maniera meno romanzata, è accaduto.

Il piano è semplice: 5 villaggi in 6 giorni complessivi di navigazione, con una breve tappa alla distilleria Yanamano per provare un famoso liquore popolare, aguardiente, eccome se brucia…

La crew si trasforma in personale ospedaliero, vengono registrati i dati dei pazienti, dato loro un antiparassitario, misurati, pesati e messi in attesa per la visita dei medici, tra cui un giovane medico peruviano.

L’arrivo dell’esperanza viene accolto con grande allegria dalla popolazione locale, ma io mi sento alquanto impacciata nel trovarmi coinvolta in quelle entrate trionfali, reputandole peculiarità colonialiste e assistenzialismo di facciata.

Questa volta però è diverso, rappresentiamo un’eccezionalità all’interno della routine di villaggi tanto isolati.

Le scuole diventano le basi dell’ospedale mobile: ci irrorano d’acqua perché il caldo è torrido e l’attesa lunga. Le persone davanti a me sono disidratate, lo si nota con una prima occhiata. Posso azzardare anch’io una diagnosi, perché le loro labbra sono secche e lo sguardo è annebbiato. I bambini fermi e gli unici movimenti scomposti sono quelli dei fogli di giornale, utili a farsi aria.

Vogliono le medicine, anche se sarebbe più utile bollire qualche litro di acqua in più e non usare le cucine a legna all’interno delle case che, se pur ventilate, vengono invase di fumo dannoso per i bronchi.

Leggo voracemente articoli riguardo rimedi naturali frutto di antiche conoscenze ormai perdute in occidente, di alti saperi. Il richiamo della chimica è però forte anche qui, curiosamente, in un luogo dove il tempo e la vita scorrono lenti.

I pazienti si affidano a me anche se non faccio altro che tradurre le conoscenze dei medici, mi rendo conto di quanto sia importante e meraviglioso essere in grado di comunicare. Non ho una laurea in medicina, ma a loro non interessa, mi credono loro dottoressa. Non sono io a visitarli è certo, ma sono io ad ascoltarli.

Le donne, come amazzoni, sono guerriere ardite. Provo a raccogliere dei dati, ma capisco da subito che non amano parlare dei problemi delle loro vite; abbandono quindi la statistica e mi dedico a chiacchiere frivole, però divertenti. Ovviamente vengo canzonata perché sono adulta e single, ma mi presto al gioco, d’altronde il mio utero non sfruttato sembra essere al centro delle arringhe e dei discorsi di tutti i paesi che visito.

Foto di Elisa Aste

Interveniamo nei villaggi di Santa Rosa, Boyador, Ayzana, 7 de Junio, Camalion, con la stessa dinamica.

Nel mio tempo libero passeggio per i villaggi, entro nelle case, scatto qualche foto ma non troppe. Quell’oggetto da presa, che tanto amo, diventa troppo spesso uno schermo.

A Camalion incontro Josè che gentilmente mi accompagna a visitare il villaggio e mi protegge dai cani. Mi racconta di un momento molto particolare della sua vita, ovvero di quando fu posseduto dal diavolo e salvato proprio da qualcuno sbarcato da un’imbarcazione simile a quella di cui sono passeggera…ed io non ho alcuna intenzione di non credergli, proprio come quando sulle cime di Sapa, in Vietnam, incontrai un tizio che giurava di essere costantemente spiato dalla CIA. Meglio concedere il beneficio del dubbio, dico io, anche se gli altri presenti preferiscono pensare all’arteriosclerosi

Non ci facciamo mancare neanche un bel giretto notturno nella giungla, alla ricerca di particolari esemplari rettili. Io trovo una comune lucertola e me ne compiaccio.

A Ayzana ci facciamo battere a volley dai locali a mani basse; l’equipaggio mi invita ad una battuta di pesca a Santa Rosa, capeggiata dal sindaco locale. Ciliegina sulla torta, rincasando ci fermiamo in una riserva di scimmie: ovviamente mi attaccano ( per giocare dicono), ma questa è normale amministrazione nella mia vita.

Foto di Elisa Aste

Ho vissuto come in un film in bianco e nero, muto, per una settimana. Mancano solo i delfini rosa per un finale trionfale e, come se lo sceneggiatore lo avesse intuito, ecco spuntare i dorsi di queste meravigliose creature marine. Li vedo appena, ma a me basta.

Rientro ad Iquitos, mi sembra di essere stata via a lungo, invece sono trascorsi solo pochi giorni.

Ho le gambe un po’ gonfie quindi mi affido a Paul per visitare la città, un giovane simpatico , specializzato idraulico ed autista di Mototaxi. Visitiamo Santa Clara, il mercato artigianale ed altri posticini davvero graziosi di cui onestamente non ricordo il nome anche a causa delle svariate birre trangugiate, fedeli compagne del tour. Tento anche goffamente di guidare il suo mezzo, Paul mi lascia fare, ma non riuscendoci tento di salvare la faccia assicurandogli, anche un po’ scocciata, che in Italia le moto sono diverse.

Per concludere in bellezza una serata al ritmo di Cumbia.

Raul mi sta aspettando, è il giorno della partenza, sono ancora annebbiata dalla serata precedente. Salgo sull’aereo, il respiro si regolarizza, il sudore si fredda, torno a casa.

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