Α Ω Alfa Omega

Il Giro d’Italia dall’inizio alla fine

Stefano Medaglia
Carollo & Malabrocca Cycling Club
4 min readOct 10, 2019

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Ognuno ha il suo Giro d’Italia.
Che non per forza coincide con quello scritto sul Garibaldi, sul sito, quello che presentano l’anno prima.

Il mio Giro è iniziato con la cronometro di Bologna, e si è concluso con quella di Verona. Come quello di tutti — direte. Forse, ma non è proprio così.
Il mio Giro è stato un Giro all’insegna della velocità, dell’aerodinamica, della tecnologia spinta alle massime possibilità. E’ stato un Giro che mi è sfrecciato accanto veloce, rapido, così rapido e veloce da non riuscire a metterlo a fuoco.

L’unica cosa che è rimasta non è l’immagine: è il rumore. Il rumore della folla sul San Luca, della gente che invadeva la strada, arrivava il ciclista, si spostava, applaudiva e urlava. Con tutti, anche con chi non si sapeva nemmeno chi fosse.
Il rumore e il silenzio. Il silenzio degli stradoni di Verona, subito dopo la partenza e prima di arrivare in centro storico. Silenzio assolato, scalfito solo dal fruscio delle ruote lenticolari che fendono l’aria con quel loro suono impossibile da spiegare.

L’unica cosa che è rimasta non è l’immagine: sono le emozioni. Pochi attimi, un corridore alla volta e si aspetta il prossimo. Silenzio, rumore, silenzio fino al prossimo.

Guardare i ciclisti che passano non è lo stesso che guardarli in tv. In tv hai tutto: immagini dalla corsa, immagini dall’elicottero, addirittura dati in tempo reale. Ma queste informazioni annegano, stordiscono. Si perde il senso d’insieme.
Non stiamo dicendo che non vadano bene le riprese in alta definizione e tutto il resto, sia mai: siamo contro il passatismo e la nostalgia un tanto al chilo. Odiamo chi loda il passato a tutti i costi e non capisce il ciclismo presente.
Diciamo solo che andare a vedere i ciclisti dal vivo cambia la prospettiva. C’è l’attesa, c’è la frenesia dell’attimo, c’è il rumore e l’aria che si muove al passaggio del gruppo. C’è la gente, c’è pieno di persone strambe che solo il ciclismo sa attirare.

Il Giro visto da bordo strada non è lo stesso di quello visto in tv. Forse è per questo che ci sono sempre gli inviati in moto, per restituire parte di quello che si perde. Chi non segue il ciclismo, chi non va in bici, fa fatica a capire perché uno deve fare tanta fatica per vedere (male) solo qualche attimo di chi passa veloce. Ed è anche difficile da spiegare, se non lo hai provato.

Per questo ognuno ha il suo Giro d’Italia, che non per forza coincide con quello scritto sul Garibaldi.

Il San Luca a Bologna e l’Arena di Verona

Il mio non è stato il Giro delle montagne, del maltempo. Il mio Giro è stato il sole, il caldo, la folla. E’ stato un Giro corso a tutta, come solo una crono può esserlo.

Il Giro di Ciccone è stato un giro in salita, col vento in faccia di chi è in fuga.
Il Giro di Nibali è stato un giro un po’ strano, sempre lì, ma senza veri acuti. E’ stato un giro della folla che applaudiva tutti, ma lui di più.
Il Giro di Carapaz è stato un giro all’attacco quando doveva attaccare, e un giro in difesa quando doveva difendere. E’ stato i colori giallo, blu e rosso della bandiera dell’Ecuador che sventolava dappertutto a Verona.
Il Giro di Viviani è stato la rabbia della sconfitta a tavolino e il ritiro.
Il Giro di Ackermann è stato il dolore dell’asfalto che graffia la pelle e il viola della maglia ciclamino conquistata.

E il Giro vero, qual è?

Il Giro è in tutti i Giri, ma non è la loro somma. E’ presente intensivamente in tutti i Giri, nel mio, nel tuo, in quello di ogni tifoso sulla strada, in tv, alla radio, in quello dei ciclisti, dei meccanici e dei massaggiatori, dei giornalisti e delle loro parole e delle loro visioni. Ognuno ha ragione e tutti hanno torto.

Victor sul San Luca e la sua bici pronta per l’ultima cronometro di Verona.

Ognuno ha il suo Giro d’Italia. Il mio è stato Alfa e Omega, la prima tappa e l’ultima, l’inizio e la fine. In più con il capovolgimento delle cronometro: l’ultimo parte per primo e il primo per ultimo. Come un serpente che si mangia la coda, come una ruota che gira.

Perché come diceva qualcuno, il ciclismo non è una metafora della vita. La vita piuttosto è una metafora del ciclismo.

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