Faber o dell’adolescenza

Michele Nenna
Casa di Ringhiera
Published in
5 min readOct 25, 2016

Un ritratto della generazione anni ’80. Un noir filosofico provocatorio e poetico.

L’adolescenza vanta infinite definizioni, e tutte — in un modo o nell’altro — riescono a dipingere il periodo racchiuso in questo spazio temporale in maniera particolarmente fedele a quella che è la realtà. Ai piedi di essa si prostrano caterve di situazioni disagevoli, la follia sembra esplodere e nulla è così confuso come il groviglio di emozioni e sentimenti che si scontrano a vicenda. Prende vita una battaglia in cui è difficile alzare lo sguardo per capire cosa diavolo stia succedendo oltre la nube polverosa che si alza dal suolo fino a diffondersi nell’aria. Magari queste mie stesse parole potrebbero risultare scontate ed inutili, come del resto tutte le cose che nel periodo dei licei e degli istituti tecnici si avvertono sulla propria pelle. Ognuno di noi ha avuto un modo con cui restare a galla nei momenti più bui, e la maggior parte ha fatto di quel modo un’equazione esaustiva per risolvere tutta una serie di problemi che gli si presentano nella vita di tutti i giorni. Nel pieno dell’adolescenza hanno solamente testato questa o quella mossa, ma nel corso degli anni sono riusciti ad affilare la lama con cui affrontano gli avversari nell’arena in cui si calano per far sì che la fine della giornata sia sempre possibile da raggiungere.

Attraverso l’adolescenza Tristan Garcia, nel suo romanzo Faber tradotto da Sarah De Sanctis e pubblicato da NN Editore, è riuscito a dare una forma a quella massa amorfa che sono stati gli anni novanta vissuti da tre amici, anni che hanno poi inciso nelle loro esistenze, in ogni singola fessura aperta da un senso di malessere che faceva da contraltare alle aspettative rosee della fase embrionale dei cambiamenti. Tre storie si intrecciano tra loro, dando vita ad un legame che tesse la trama relazionale che va oltre il semplice rapporto d’amicizia. Faber, Madeleine e Basile nutrono dentro di loro la voglia di insorgere davanti alla prassi che a tutti i costi li pretende conformi alle norme, ed è per questo che Madeleine e Basile riescono a scorgere in Faber — protagonista indiscusso del romanzo –, un appiglio a cui lanciare la cima per l’attracco nel pieno di una tempesta. Faber è il primo della classe, piace a tutti i professori e, cosa più importante, spodesta i prepotenti di turno fino a lasciarli fuggire in lacrime. Il fenomeno del bullismo che attanagliava i due ragazzini è stato spazzato via dall’entrata in gioco del nuovo amico che non smette di affascinare chiunque lo incontri. Allo stesso tempo Faber incarna anche l’aspetto imprevedibile della vita di un adolescente: allaccia rapporti con il comitato studentesco, assume un ruolo chiave negli scioperi generali che si tengono in città e lascia sui suoi genitori adottivi un velo di preoccupazione e frenesia dal peso insostenibile. Con lui nei paraggi non si sa mai come andrà a finire. Questo è il quadro che Garcia riesce a dipingere con le sue parole, un quadro che mostra la vita di un’intera generazione attraverso quella di colui che può sembrare un semplice ragazzo provvisto di disordine emozionale come tutti, del resto.

Tristan Garcia

Il romanzo si sposta da un tempo all’altro, passando dall’adolescenza dei protagonisti fino al loro presente, ed è di questo tempo che Garcia si serve per definirne l’altro. Disegna personaggi che soffrono per via di un’unica causa, e quella causa si chiama per l’appunto Faber. Proprio quando tutti sembrano trarre dal ragazzo un’immensa dose di sicurezza, allo stesso tempo affogano nella disperazione che ad esso è rilegata. Egli stesso soffre per via delle sue azioni, definendosi creatura diabolica risalita dagli inferi per stravolgere la realtà in ogni sua declinazione. Garcia, filosofo e scrittore francese — insieme a Maurizio Ferraris esponente di quella corrente che è il nuovo realismo — tinge le pagine con degli aspetti noir che sorprendono il lettore anche quando si ritrova nel pieno di un flusso di coscienza sbrigliato, lasciato alle sorti della propria esperienza. La punteggiatura ferma assicura alla narrazione un clima ben teso. Faber gode del dono dell’imprevedibilità e per questo resta vivo l’allarme che mette in guardia il lettore dall’aspettarsi di tutto dal turbine di parole. Basile e Madeleine pendono dalle sue labbra, ritrovandosi poi — quando ormai gli anni trascorsi sono il doppio della loro età — a fare i conti con quel bagaglio a mano lasciato dal loro idolo nel corridoio che porta dritto alle stanze dei ricordi. I messaggi in codice che partono sotto forma di lettere assumono per davvero un valore liberatorio, una richiesta di salvezza che non fa sconti a nessuno. Se da un lato Garcia realizza un dramma partendo dall’adolescenza, dall’altro conclude il suo intento di rappresentazione mettendo in scena il declino della massima figura a cui tutti scelgono di appartenere. Faber, quando rientra in contatto con i suoi due amici, conduce ormai una vita dismessa, completamente immersa nella sconfitta e nella disperazione più totale che il ricordo causa alla propria mente. In lui resiste la volontà di farsi da parte. Inizia a nutrirsi di false speranze quando Madeleine si presenta nella sua baracca a 600 chilometri dalla città. Sono false speranze perché comprende che sotto si nasconde qualcosa che non torna secondo i dettami dei suoi piani, e nonostante la comparsa della sua vecchia amica sceglie di rimanere guardingo davanti ad ogni passo che insieme intraprendono.

Sullo sfondo del romanzo c’è la Francia delle banlieu, la Francia de L’odio (Kassovitz, 1995) e la Francia delle discriminazioni accentuate in seguito agli attentati parigini di questi ultimi anni. Quello scelto da Tristan Garcia è un contesto da cui i protagonisti si dileguano per le proprie strade fino a ritrarre l’alta temperatura di uno scontro sociale pronto ad esplodere da un momento all’altro. Gli anni novanta vengono indirettamente messi a confronto con quelli di oggi, sancendo i contorni sfocati della contemporaneità a cui siamo soggetti. La suspence, l’accelerazione repentina dell’azione e l’assassinio sono ingredienti che si avvertono sotto al palato e che insieme, nella loro unione, lasciano un retrogusto amaro unico nel suo genere. Per qualcuno, quelli di Faber Madeleine e Basile possono essere i risvolti di una narrazione tetra che nasconde la verità nel retro di una baracca ai piedi di un bosco qualunque. Per qualcun altro invece sono punti fondamentali che sostengono l’impianto generazionale di esistenze smarrite per via di una scarsa predisposizione alla continua lotta per la sopravvivenza. Davanti a questo doppio punto di vista, Faber saprebbe indicare con precisione quello più fedele alla sua persona, scegliendo argomentazioni che potrebbero affascinare chiunque gli capiti a tiro, proprio come fa per tutto lo svolgimento del romanzo.

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