I gattini di William S. Burroughs

Come il gatto bianco dello scrittore americano sconfisse la medicina convenzionale.

Michele Nenna
Casa di Ringhiera
6 min readApr 20, 2017

--

L’altro giorno sfogliavo le numerose fotografie che ritraggono William S. Burroughs nei diversi passaggi cruciali della sua vita scalmanata. Un tripudio di immagini in bianco e nero che si susseguivano una dopo l’altra mentre scorrevo la timeline di Google. Era tutto terribilmente bello. Per qualche secondo avvertii la stessa sensazione di quando ti capita di sfogliare foto antiche durante la ricerca minuziosa di indizi che riguardano te e quello che ti trascini dietro.

Dopo i primi suggerimenti, sono finito dritto su quella che ritrae lo scrittore davanti alla sua casa a Lawrence, nel Kansas. Tra le braccia ha Ginger, un grosso gatto dal pelo bianco e rossiccio. Ma guarda un po’, mi sono detto. Era una foto che già conoscevo ma che con il passare del tempo avevo rimosso dalla mente per chissà quale stupido motivo. Certo, nelle foto che ritraggono Burroughs siamo tutti presi dal suo sguardo impietrito e da tutta quella serie di vestiti che lo scrittore sfoggiava. Eppure, questa con Ginger è davvero bella. Quasi riesce ad intenerirmi, questo bastardo di un Burroughs.

William e Ginger, via Vice.

Di scrittori circondati da gatti ne è pieno il mondo — Bukowski, ad esempio. Se provassi a buttar giù un elenco faremmo sicuramente notte. I felini hanno un loro dannato fascino che personalmente trovo molto intrigante. Riescono a passare inosservati in ogni situazione. Mi incuriosiscono al punto tale che quando ho l’opportunità di avvicinarne uno contemplo tutto quello che mi è concesso contemplare — dal loro pelo fino ai loro occhi. Prediligo quelli neri, ma la mia è solo una fissa innocente. La verità è che sono tutti terribilmente affascinanti. A volte li definisco come animali belli e dannati — nonostante la loro elevata furbizia.

Così, grazie a Ginger, ho creato una breve parentesi cercando di ricordare alcuni dei passi di uno dei racconti più celebri di Poe, ovvero Il gatto nero. Quella raccontata da Poe è una storia che finisce per rivelarsi da sola, naturalmente con l’immancabile zampino di quel gatto rimasto murato con il cadavere della moglie del protagonista. Il gatto che corre, si nasconde e che alla fine svela le reali dinamiche di un omicidio avvenuto all’interno delle quattro mura domestiche. I miagolii hanno parlato e con essi l’autorità ha puntato il dito contro il protagonista. Più che un cuore rivelatore, qui possiamo tranquillamente parlare di un gatto rivelatore — non a caso i due racconti rientrano nello stesso filone realizzato dallo scrittore di Baltimora. Piccoli ispettori felini crescono, si direbbe. Impiccioni e onnipresenti, proprio come uno Zenigata pessimista ma sempre vincente, almeno in questo frangente.

Per i vostri incubi felini.

Un caso analogo — almeno lo è in qualità di colori — è avvenuto a Burroughs, seppure in maniera indiretta. Dopo la sua morte nell’agosto del 1997, a Roger Holden — suo amico — vennero affidate le cure di Butch, quello che Burroughs non perse tempo a definire Il gatto bianco. Lo scrittore era un grandissimo amante dei gatti, tanto da scriverci il suo Il gatto in noi (Adelphi, traduzione di Giuseppe Bernardi). In Butch, stando ai suoi strambi punti di vista, vedeva la perfetta aura del famosissimo gatto sacro di M. Oldfied Honey. Pur uscendo dall’esperienza con Porch Burroughs — gatto morto nel 1995 — Butch, o Marigay (suo vero nome), venne considerato quasi come un eletto per via del suo temperamento più unico che raro.

Cover, via Adelphi.

Giunti nel 1999, in seguito ad un attacco ricevuto da un pastore tedesco, il veterinario disse a Roger Holden che il suo Butch era affetto da una leucemia felina. Il bollettino era chiaro: aveva due o tre mesi di vita, ma colui che era stato designato come il suo nuovo padrone non diede nulla per scontato. Data la considerazione che Burroughs aveva di quel gatto speciale — almeno stando ai suoi occhi –, Holden scelse di sottoporre Butch ad una cura sperimentale, seguendo una terapia a base di tè essiac e farmaci provenienti da un ramo della medicina non convenzionata — omeopatia a tutti gli effetti. Poco alla volta il gatto si riprese nel migliore dei modi, tanto da vivere ancora per altri sei anni da quel bollettino medico che lo dava per spacciato.

Un colpo di scena in puro stile William S. Burroughs. Lui che non smetteva di attingere narrazioni da quel calderone che era il misticismo, lui che aveva contribuito a dar vita a quel movimento di scrittori fuori dal normale, lui che era una bandiera di quella generazione beat tanto acclamata — sopratutto dai posteri. Basta un gatto per mettere al centro dell’attenzione la miriade di deduzioni che uno scrittore del suo calibro aveva raccolto durante tutti quegli anni in quella che molti non perdono tempo a definire una vita fuori dal normale.

Butch, via Vice.

Dopo tutto questo gran parlare di misticismo e gatti speciali — perché, in fondo, lo è anche quello di Poe — , cosa avrebbe detto Burroughs se fosse stato testimone di tutti questi felini che bombardano le timeline dei social network? Io stesso, pubblicando la foto di William e Ginger, ho ricevuto una serie di like che non mi aspettavo, soprattutto da gente che forse neanche sapeva chi era quell’uomo che aveva tra le sue braccia quel bel gattone dal pelo rossiccio — un amico mi ha chiesto persino se quell’uomo fosse un mio lontano parente. Allora quello dei gatti è un fascino che non ha tempo, che non ha età. Davanti a loro si sbava facilmente, proprio come farebbe un pastore tedesco depresso che non vede l’ora di giocare con qualcuno che non sia la sua adorata pallina fischiettante di gomma rossa.

William e uno dei suoi tanti amici a quattro zampe, via Pinterest.

È tutta colpa della tenerezza nonsense che riescono ad infondere. Molti tra coloro che ne possiedono uno dicono che si ritrovano totalmente nella personalità del proprio gatto, arrivando ad affermare che quella che vivono è una sorta di simbiosi — ma questo punto potrebbe tranquillamente valere per tutti coloro che accudiscono un animale, indipendentemente dal fatto che si tratti di un cane o di un cavallo. Nel frattempo, ritorno sui miei passi ponendomi la domanda di sopra, curioso di sapere cosa diamine avrebbe combinato Burroughs con un profilo Facebook tutto suo.

«Like a valanga».

Il suo gatto bianco si è rivelato essere un felino in grado di piegare la consuetudine medica attraverso un gran colpo di fortuna. Ciò non toglie che alla base di questa storia alimentata da una lunga serie di fan sfegatati, ci fosse una diagnosi sbagliata, o qualcosa che non abbia nulla a che fare con il misticismo e le pratiche spiritiche degli indiani d’America. Insomma, alla fine ritrovarsi un Burroughs fedele sostenitore delle scie chimiche e antivaccinista non è che sia una gran cosa. Tanto meno trumpiano — ma questo lo sapevamo già.

Segui Casa di Ringhiera su Facebook e Twitter.

--

--