I sei volti di Nicolas Jaar
Lo scorso 30 settembre è uscito Sirens, ultimo album in studio di Nicolas Jaar.
Le fotografie sono state realizzare da Alessia Naccarato durante il live tenuto al Teatro della Concordia di Venaria per il magazine L’indiependente. Ad entrambi vanno i nostri più sinceri ringraziamenti.
Sulla scrivania giacciono in disparte un portapenne bucherellato in metallo nero, un pacco di fazzoletti Foxy ipoallergenici — come esclamano i caratteri cubitali del classico packaging blue oltremare — ed una penna usb da 4 gb rivestita da una plastica rossa trasparente che lascia intravedere il silicio verde ricoperto di organismi metallici saldati. L’IPhone e il blocknotes sono nel lato opposto, ignari di quello che succede nelle mie cuffie collegate al pc. La lampada è accesa da più di trenta minuti, circostanza che vuol dire quanto sia prossimo l’inizio del suo surriscaldamento. 2,3 watt di lampadina a led, eppure facilmente arrivano a toccare punte di calore estreme. Il negozio che me l’ha rifilata mi ha detto che si trattava di luce calda, ma non pensavo che arrivasse fino a questo punto. Magari è solo l’impianto, oppure qualche filo ormai bello che andato o il cavo verde e giallo della massa andato a farsi benedire.
Da giorni ascolto lo stesso album. Stando all’aria autunnale avrei dovuto mettere in loop uno di quegli album folk che sono usciti da poco — Okkervil River e Wilco per la maggiore, almeno secondo i miei gusti. Situazioni da solitudine vissuta in posti al confine con la realtà confusa e strombazzata nei clacson delle città. Panico da corsa contro il tempo, ritardi mastodontici e rischio di licenziamento nascosto dentro le scatole dei dolci natalizi prodotti industrialmente. Invece questo è il mio autunno elettronico, lontano dalla pace strimpellata attraverso le corde di una chitarra costruita con il miglior legno del Canada. Mi sono messo alla ricerca dei pulsanti giusti, quelli che quando li schiacci emettono il suono della vittoria nell’ultimo livello di Super Mario. Gli stessi pulsanti di Godblesscomputers che ho cercato per poi fare miei attraverso un lungo lavoro di recupero che non mettevo in atto da diverso tempo. Album, EP e collaborazioni varie scandagliate con la massima attenzione, eppure sono convinto di aver sorvolato su alcuni dei dettagli più influenti. È un percorso che ho intrapreso perché avvertivo la necessità di aprire stanze poco esplorate e che raccolgono parte di quello che siamo oggi davanti all’ennesimo scontro sul post punk.
Sono nato lo stesso anno di Nicolas Jaar, il musicista cileno-americano che con il suo ultimo album Sirens sta riempiendo tutti gli spazi in cui si esibisce. I Sold Out si sprecano, e dagli Stati Uniti all’Europa è tutto un susseguirsi di caccia al biglietto. In fondo le cose sulla mia scrivania sono tutte al loro posto, ma per quanto riguarda quello che sta passando nelle mie cuffie, beh, sono sonorità che mescolano tra di loro le poche certezze di cui godo per lasciare spazio al disorientamento da colpo al cuore. Il legno chiaro — forse acero, forse truciolato rivestito da una patina di finte venature — mantiene i miei occhi fissi su quei particolari scuri che rimbalzano da una parte all’altra. Il contrasto elogiato in ogni sua forma combatte la staticità degli oggetti che abitano i miei spazi. Quelle di Jaar sono tracce che mettono a dura prova il canale attraverso cui comunichiamo le nostre sensazioni. Se prima ero abituato a gioire per un evento, adesso lo studio, lo spoglio di ogni sua componente e ne faccio l’occasione giusta per virarci sopra ogni goccia di sudore.
Killing Time
Un inizio che prende la forma del vuoto e la fa sua. Prima 18 secondi, poi partono gli stessi scoppiettii che fa la puntina sul disco quando incontra sul binario la polvere degli anni passati in sordina. I vetri si infrangono, i ricordi sobbalzano da un lato all’altro della mente. L’atmosfera orientale scava lentamente la fossa in cui andranno a nascondersi le lacrime, fino a che le note di un piano non infondono la quiete e la pesantezza dello smarrimento fisico. I think we’re just out of time canta una voce metallica forse maschile, forse femminile. Le distorsioni sono solo congetture che mutano la vera essenza di quello che dietro di loro ha scelto di nascondersi. I cori solenni marcano il confine del lecito, a sua volta scavalcato dalla potenza rivelatrice degli 11 minuti di atmosfera cruda che Nicolas Jaar ha messo su con tutta la maestria che gli compete. Killing Time è una traccia che non ha bisogno di grosse impalcature. Costruisce il sentiero, sostiene il passo e apre porte mai aperte prima. Ciò che appare è invece pura realtà del momento. Nulla di onirico, al contrario: tutto suona preciso attraverso la rimozione della plasticità. Just killing time a ripetizione continua.
The Governor
Il tempo prende velocità, avanza dritto verso l’acqua per far sì che aumenti la sensibilità dello scorrere secondo dopo secondo. Suoni di trombe assillano la concentrazione, svuotano i sacchi della spazzatura e la meccanicità distante dell’abitudine riportata in vita dalle solite note di piano che ti risvegliano dall’incubo. Fare i conti con il profondo desiderio non ammazza ma rinvigorisce gli arti che sostengono il nostro corpo prossimo alla putrefazione. We’ve allowed for a wheel of loss and desire ricorda il brano. Corrono i BPM, corrono le parole. Jaar riesce ancora a fabbricare ottime lenti da vista per l’astigmatismo del nostro conflitto interiore.
Leaves
La lampada che ho davanti inizia a surriscaldarsi sul serio. Avvicino la mano e avverto il calore espandersi in cerchi concentrici. Nel frattempo nelle orecchie passa Leaves, e con esso i discorsi in lingua spagnola tra un adulto ed un bambino. Sul finale suoni distorti che smorzano il clima del dialogo, lo trasformano in uno specchio attraverso cui si riflette la semplicità contenuta in un rapporto. Le note sembrano avanzare di pari passo con le finte venature che contraddistinguono la scrivania che occupo da anni. Il recupero della materia, la sconfitta dell’innovazione in favore di quello che era in passato. Una base ripescata da una lastra poi arrotondata negli angoli, un po’ come fa Nicolas Jaar con i suoi brani: prende il tempo, lo suddivide in parti uguali e consegna al futuro una forma diversa rispetto a quello che è stato nel passato.
No
È il momento del ritmo in levare e della voglia di non vedere il futuro. I suoni vanno e vengono nelle cuffie. Jaar non vuole conoscere quello che accadrà, per questo lascia che gli spezzoni audio campionati — gli stessi che hanno fatto il loro ingresso nel brano precedente — tornino a mettersi di spalle al muro per narrare una storia diversa da quella che la realtà comanda. Una distrazione metterebbe a rischio tutte le buone intenzioni che vogliono l’indesiderato fuori dalle stanze che Nicolas Jaar riesce ad aprire. Sono piccoli viaggi che riescono a condurre il mio sguardo fuori dal cerchio ristretto del raggio d’azione a cui sono obbligato, fuori dalla scrivania in finto acero che occupo ogni singolo giorno e su cui riverso la mia esistenza tra IPhone, penne usb e lampade incandescenti. Sirens continua per la sua strada trascinando con sé le infinite possibilità di rivalsa che immaginiamo la notte prima di andare a letto.
Three Sides of Nazareth
Nicolas Jaar, tra le tante qualità, riesce a prendersi gioco di una certa visione delle cose. La celebra, la prende in giro e allo stesso tempo sedimenta lacune, vuoti estremamente profondi dove nulla è in grado di risalire in superficie. Un’immersione negli abissi più bui alla ricerca di cose mai viste, creature marine che abitano caverne prive delle forme di vita più conosciute. Naviga mari pericolosi attraverso le imbarcazioni delle menti più folli. Tutto trova rifugio nelle note di piano che spuntano qua e là, uno strumento che collega tutti i brani prima che i synth trasformino definitivamente il volto di un giovane artista al suo secondo album in studio. Le sonorità scelte permettono che al suo interno si celi tutta la grandezza della sua conoscenza. Sperimentare oltre lo sperimentalismo in senso stretto. La battaglia di Jaar si gioca sul terreno della musica elettronica che mantiene sotto le sue braccia ogni singola declinazione stilistica che ogni artista riesce ad approfondire, a dedicare il momento creativo intriso di dolore e follia allo stato puro. Allora più che come un semplice combattente dovrei definirlo massima espressione artistica della volontà di esplorazione del non detto. Un esploratore provvisto di torce ad alto voltaggio, torce che illuminano l’ignoto e la via per il ritorno.
History Lesson
Siamo arrivati al punto in cui cadono tutte le riserve espresse qui sopra. History Lesson sembra provenire da un altro album. Muta il genere, Jaar inserisce synth distorti al massimo tanto da lasciarle apparire come chitarre urlanti nel pieno di un delirio orgasmico. Tutto diviso in sei capitoli — come Sirens, del resto –, Nicolas Jaar puntualizza la sua visione scanzonata delle cose. Sul più bello mi viene recapitato un invito a non prendere sul serio tutto quello che abbiamo incontrato durante il nostro viaggio. Una ballad che fa molto Blue Moon ma che al posto di Rodgers e Hart piazza un ragazzo di ventisei anni che non fa altro che cullarti mentre tutto batte il suono della ritirata. Nonostante l’immenso lavoro, un leggero profumo di tabacco si alza nella atmosfera avvolta dal romanticismo fumoso di questo brano e ci riconduce dritti al punto di partenza, stracarichi di disperazione come già lo eravamo al momento del primo click sull’icona play.
Sono tutt’ora indeciso se annotare queste conclusioni sul blocknotes qui di fianco oppure tenerle in questo pezzo prima che il tempo possa renderle definitivamente deboli. Lo scorso 30 settembre, giorno in cui uscì Sirens, ero particolarmente disturbato dall’idea di amare spudoratamente un album sperimentale come questo di Nicolas Jaar. Non avrei scommesso nemmeno un soldo sulla realizzazione di amore incondizionato nato nel pieno di un autunno mite e incalcolabile. Faccio continuamente attenzione a non scottarmi con la lampada. La metto di lato, senza mai farla cadere dal precipizio di questa scrivania recuperata all’ultimo minuto. Jaar ha composto un lavoro che invece non si preoccupa affatto di tutto quello che intorno gli gravita. Seppure minima, la sua controtendenza nell’affrontare i temi più vicini all’uomo, quali l’abbandono e il fallimento di un’intera vita, sono punti cardini attraverso cui muove la sua visione attuale sullo stato delle cose. Non teme di sbagliare, tutt’altro. Il suo è un continuo viaggiare per le condizioni umane che vogliono distaccarsi dal fondo dove sono incollate.
Ho spento la lampada perché fa troppo caldo. Avverto ancora il bollore scontrarsi con le mie guance. Sono bastati 42 minuti di Nicolas Jaar per accorgermi del danno di questa lampadina sicuramente contraffatta. Effettivamente i lamenti di Sirens sono abbastanza rivelatori, più di ogni altra cosa — anche della mano che appoggio sopra ogni volta che voglio capire fino a che punto sia elevata la temperatura.