Il fantasma di Dubravka — Cap. VI (Le indagini di Tub)

Fabio Cardetta
Casa di Ringhiera
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5 min readNov 2, 2016

Tub aveva servito nella polizia per molti anni, poi era stato ingaggiato come buttafuori per diversi locali e conosceva benissimo la città e tutti i criminali della zona. Se qualcosa di losco si muoveva, Tub lo veniva a sapere in poche ore.

Simona aveva lasciato l’ufficio di Svetlan da almeno un’ora. L’investigatore sedeva con le gambe sulla scrivania e con in mano il telefono in posizione verticale. Stava giocando a Fifa ’98. Quando gli chiedevano perché giocasse sempre a Fifa ’98, lui puntualmente rispondeva: “Sono un nostalgico”

La porta improvvisamente si aprì e, dopo un rapido battito di nocche sulla porta, una larga ombra si inoltrò nella stanza. Un uomo alto, robusto e dal collo inesistente fece il suo ingresso, silenzioso come un fantasma. Rimase lì, statuario, in piedi, in attesa d’un segno dal suo capo.

“Che hai trovato, Tub?” — gli fece Svetlan senza alzare lo sguardo. L’ omone, dai capelli rasati e dallo sguardo glaciale, gli rispose:

“Ho trovato il pervertito di cui mi hai parlato. Credo di aver battuto un record.”

Svetlan alzò impercettibilmente lo sguardo, fece un sorriso di circostanza, poi tornò al suo cellulare, smanettando freneticamente sui tasti.

“Qui i record sono tutti miei. Ma se mi sorprendi, posso concederti di sfidarmi a Fifa ’98. Dimmi un po’, che hai trovato?”

Tub era il primo investigatore di Svetlan, un tipo serio, che non sorrideva mai, diligentissimo sul lavoro e impassibile in ogni circostanza. Svetlan lo chiamava Tub (Tinozza) perché gli ricordava un personaggio di libri gialli dalla corporatura simile, che tanto lo aveva entusiasmato durante l’adolescenza, ma di cui non ricordava nulla, né autore né titoli dei romanzi.

Tub aveva servito nella polizia per molti anni, poi era stato ingaggiato come buttafuori per diversi locali e conosceva benissimo la città e tutti i criminali della zona. Se qualcosa di losco si muoveva, Tub lo veniva a sapere in poche ore. Inoltre, era uno a cui piaceva camminare, girare e frequentare posti diversi. Non c’era luogo in città che Tub non conoscesse. Svetlan lo pagava bene, anche nei periodi di calma, essenzialmente per andare in giro e tenersi aggiornato su ciò che accadeva a Bratislava. Non aveva mai dovuto pentirsene. Tub lavorava bene e risolveva casi anche difficili autonomamente e in pochissime ore: il prezzo valeva la candela. Nulla nel suo ambiente poteva sfuggirgli e il gigante tenebroso spesso portava avanti la baracca da solo, quando il capo non c’era o era intento ad andare a donne o a giocare a Fifa ‘98.

Svetlan di solito si scomodava per i lavori più elaborati e in cui c’era in ballo una grossa somma. L’investigatore donnaiolo stimava Tub per il suo occhio di falco e per le sue conoscenze, ma sapeva che quando c’era da fare dei calcoli o quando c’era da usare l’intuito, Svetlan era Svetlan e nessuno avrebbe mai potuto sostituirlo.

“Spara, ti ascolto” — gli fece indifferente.

Tub cominciò il rapporto: “Ho trovato la vecchia ieri mattina, me l’ha segnalata uno dei miei collaboratori. Stava ad una delle fermate che ci hai detto tu. All’inizio non voleva parlare, poi l’ho convinta. Dice che ha visto quel giovane, ma ha avuto paura e se ne è andata. Poi ha preso l’autobus più giù. Ha visto tutto il tram-tram suscitato dalla tv, ma non ha avuto il coraggio di dirlo a nessuno. Queste vecchie sono proprio inutili, dico io: vedono tutto e poi non vogliono dirlo a nessuno. Fanno prima a morire e a portarsi tutto nella tomba!”

Svetlan alzò gli occhi infastidito:

“Ehi, da quando in qua ti dai pure a pareri personali?… Finisci di dire il fatto, ho stoppato il gioco apposta!”

Tub lo guardò con cattiveria, quasi a volerlo colpire con un pugno lì per lì. Poi si ricordò del suo ricco mensile e tornò affabile. Svetlan notò la sua reazione, ma non ci fece caso. Tub riprese:

“Hai ragione. Senti qua. La vecchia dice che ha visto arrivare il tipo non dall’ospedale, ma dalla direzione opposta. E sai benissimo che quella strada va a cerchio e torna all’ospedale. Questo vuole dire che…”

“Che il tizio abita a Dlhé Dely. E, per andare in centro, sale ad una di quelle quattro o cinque fermate lungo la strada che percorre a semi-cerchio il quartiere.”

Tub sorrise, Svetlan a volte lo stizziva, ma spesso lo rendeva orgoglioso di essere un suo dipendente. Non come quei ritardati della polizia, pensò, che non riuscivano mai a fare due più due, ed ogni buona idea partorita da un subalterno veniva vista come inopportuna e fuori luogo.

“Già, ci hai azzeccato. Ma c’è un ulteriore elemento” — disse Tub — “Il ragazzo, secondo la signora, aveva sotto il lungo impermeabile dei pantaloni sportivi, una specie di tuta nera con una striscia bianca. E soprattutto aveva delle scarpe da ginnastica sporche di terreno bagnato.”

Svetlan strabuzzò gli occhi. Tub si fermò. Uno sportivo dunque, pensarono i due contemporaneamente.

“Aspetta, aspetta… Stiamo parlando del primo agguato. Ma in quei giorni mica pioveva… Aveva piovuto forse la settimana prima, o sbaglio?”

“Non sbagli” — fece Tub — “Era una settimana e più che non pioveva. Dunque anche il parco e il cimitero erano asciutti. E anche se avesse camminato nel prato, è altamente improbabile che si fosse conciato le scarpe in quel modo. La vecchia mi ha detto che erano proprio inzaccherate.”

Svetlan posò il cellulare sui quaderni e tolse i piedi dalla scrivania.

“Credo che dovremmo dare un’occhiata alla cartina…”

“Non ce n’è bisogno” — sorrise impercettibilmente Tub.

Svetlan si bloccò, poi un largo sorriso gli si impresse a sua volta sulla faccia e tornò a rilassarsi. Si adagiò alla spalliera della poltrona e incrociando le mani, invitò Tub con un gesto impercettibile del mento a continuare.

“C’è un campo da calcio poco distante da lì. Ci vanno sempre a giocare i ragazzini, gli universitari e qualche altro. Quando piove, rimane infangato a lungo perché il fondo, non so, è argilloso, sabbioso… non so dirti bene perché. Fatto sta che è l’unico posto dove ci possa essere del fango in quella zona, dopo che si è asciugato dappertutto. E il tizio era vestito sportivo, quindi…”

Svetlan si alzò in piedi e controllò l’orario:

“A che ora di solito ci vanno a giocare, questi marmocchi?”

“Di solito già da dopo pranzo, finché non tramonta.”

Svetlan ricontrollò l’orario, poi dette un’occhiata fuori dalla finestra:

“Andiamo a fare un salto, che ne dici?”

Tub rimase fermo, impassibile. Poi si espresse:

“Ho lasciato il verbale compilato alla signora. Se la poliziotta va da lei, avrà già tutti i dettagli. Ho fatto come mi hai detto tu… Ma non capisco una cosa.”

Svetlan aggrottò le sopracciglia:

“Cioè?”

“Bè” — fece Tub — “Non capisco perché le stiamo dando una mano. Mica ci paga. E poi, se lo prendiamo noi il tizio, lei non ci fa la figura dell’idiota?”

“Lo troveremo noi, ma glielo lasceremo prendere alla poliziotta, caro mio”

“E per quale motivo?” — ribadì il concetto il sottoposto.

Svetlan girò intorno al tavolo e con un’espressione bonaria e gli occhi semichiusi, abbracciò l’omone e lo accompagnò verso la porta:

“Public relations, caro mio!… Noi facciamo un favore alla polizia, loro ne devono uno a noi. Inoltre, tralasci un elemento essenziale: in cambio io, personalmente, posso avere una cosa che può rendermi molto molto felice!”

“Ovvero?” — fece Tub.

Svetlan rispose:

“Bé, ovviamente un invito a cena!”

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