Il fantasma di Dubravka — Epilogo

Fabio Cardetta
Casa di Ringhiera
Published in
5 min readDec 28, 2016
Photo credit: John Salzarulo

La fine di tutto dovrebbe essere eclatante e piena di colpi di scena.

Ma nella vita quando mai è così?

Fatto sta che il Mostro era stato preso abbastanza facilmente.

Dopo un primo periodo di completo sbattimento da parte della polizia, era intervenuto Svetlan e… un testimone trovato, un indizio caratterizzante, un altro testimone decisivo, le prove schiaccianti trovate in casa.

E Daniel era stato preso.

Senza azioni eclatanti, senza ulteriori colpi di scena, senza frizzi e lazzi. Come qualsiasi operazione di polizia o qualsiasi atto di ordinaria amministrazione. C’è bisogno di addentrarsi maggiormente nella psicologia del colpevole? Numerose opzioni potrebbero essere scelte, l’autore dovrebbe a questo punto selezionarne solo una, per dare un quadro d’insieme, per mettere la parola fine a questo racconto. Ma chi scrive sa poco di Daniel, conosce solamente la storia, così come ve l’ha raccontata, non sa cosa si celi davvero in quell’abisso che è la mente dell’uomo, e in particolare di quest’uomo. E allora perché scegliere? Sta al lettore rimuginarci sù. I pochi elementi e la semplice narrazione dei fatti saranno sufficienti a costruirsi un’opinione personale sull’accaduto.

Proprio come su un fatto di cronaca, una notizia qualunque.

Ma questa non è cronaca, questa è finzione.

Dunque, per chiudere un racconto che nonostante la pura realtà riportata rimane finzione, ci resta solo un’immagine, di finzione ovviamente, quella di Svetlan e Simona in un raffinato ristorante italiano di Bratislava.

Lui vestito da elegantone, come raramente gli era capitato. Lei in un abito nero, corto e leggermente scollato con un bracciale di perle a un polso e i lunghi orecchini arabescati a calarle sulle clavicole.

Non avevano toccato l’argomento, i due: avevano parlato della loro vita, delle loro passioni, del piacere di evadere qualche giorno dalla routine giornaliera di una città ferma e nello stesso tempo misteriosa, che sotto la calma abituale dei giorni, sotto la superficie borghese del lavoro, nascondeva un pozzo di umanità e disumanità, in cui innominabili segreti venivano quotidianamente sepolti. Ma in quel momento erano lì, e si godevano il presente, così confortante, e un bicchiere di vino, scrutandosi negli occhi come due vecchi amici che avevano voglia di raccontarsi tutto quello che era possibile raccontare.

Poi, inevitabilmente erano passati al tema scottante:

“Il ragazzo è stato momentaneamente messo in una clinica. Ma stiamo aspettando ancora il riscontro del giudice e tutte le procedure burocratiche per poterlo processare.” — aveva sentenziato Simona.

E Svetlan si era irrigidito, aveva sentito un brivido. Perché a Svetlan mancavano ancora alcuni tasselli.

Perché il ragazzo aveva deciso di punto in bianco di diventare il Fantasma di Dubravka? Per quale motivo nessuno lo aveva notato prima? Perché nessuno lo aveva aiutato ad uscire da quel disagio psicologico evidente? E perché la madre non era ancora andata a trovarlo in clinica?

“E la madre?”

“La madre è una puttana: è stata messa sotto torchio, anche perché ci sono seri indizi che fosse a conoscenza di tutto. Anche il suo compagno. Ma i due più che risolvere la faccenda, ci tenevano a tenere lo psicopatico fuori casa, per rimanere indisturbati mentre facevano i loro giochini. I miei colleghi stanno approfondendo la vicenda, ma penso che ne usciranno delle belle sui due amanti…”

“E per quanto riguarda la schizofrenia del ragazzo?”

“I medici mi hanno fatto capire che la donna è sempre stata molto negligente nei suoi confronti. Probabilmente un trauma infantile, qualche scena che non doveva vedere, la successiva trascuratezza nei suoi confronti… Pare che Daniel addirittura si ricordi di essere stato lasciato in macchina per ore da solo, da piccolo, sotto il sole cocente… nei meandri dei suoi sconclusionati ricordi. Poi la morte del padre e le avventure con diversi uomini della madre devono avere peggiorato le sue frustrazioni e lo hanno mandato in panne.”

E Simona diceva tutto questo seria e con un bizzarro accento di moralismo, mentre ciondolava le lunghe gambe in calze nere proprio davanti agli occhi di Svetlan.

Parlavano della tragedia d’un uomo, ma nel contempo si guardavano come se volessero penetrarsi proprio lì davanti a tutti. E chi se ne frega dello psicopatico, delle tragedie degli altri, e delle nefandezze della vita. In realtà era solo Svetlan a fantasticare. Simona semplicemente lo stuzzicava.

Quella donna ci stava prendendo gusto a farlo sbiellare, e ora che grazie a lui aveva risolto il caso era senz’altro di umore benevolo, pronta al giochino delle parti.

“E lei non ne ha frustrazioni sessuali, detective Svetlan?”

La donna aveva deciso di cambiare definitivamente discorso.

“In realtà sono un romanticone, mi piace conquistare, ma se non c’è un minimo di coinvolgimento emotivo, non ce la faccio nemmeno ad andarci a letto.”

E Simona, proiettando la solita spirale di fumo nell’aria, lo rintuzzò:

“Bè, tra di noi potrebbe esserci quel qualcosa, non crede?!… Se continuiamo a collaborare così meravigliosamente!”

Svetlan aveva ormai compreso che la donna lo stava sfottendo:

“Le piace molto giocare, vero?”

“Ovvio” — fece Simona — “Soprattutto con quelli con cui so benissimo che non andrò a letto!”

Entrambi risero di gusto.

Dopo un po’, di comune accordo, decisero di darsi del tu.

“E quindi che somme hai tirato, da tutta questa vicenda?”

“M’è parso che abbiamo fermato uno psicolabile e che le donne della città possono finalmente andare in giro tranquille, non credi?”

“Nient’altro?”

“Bè, sono contenta anche di un’altra cosa.”

“Ovvero?”

Svetlan la guardava, come un cane che aspetta il bastoncino. Simona, guardandolo di sottecchi, rispose: “Bé, sono contenta che tutto sia finito. E due: credo davvero che questo sia solo l’inizio di una lunga e fruttuosa collaborazione.”

E il tacco scivolò impercettibilmente sotto il tavolo, mentre la bocca le si schiudeva umida. Mentre l’uomo già ansimava in silenzio. E chi se ne frega del pazzo, chi se ne frega dei mali del mondo, si disse Svetlan. La vita era lì, ora, in quel momento. Non potevano concentrarsi oltre su quello che era accaduto a quello sfigato. Il tutto era passato. E i due andarono a letto insieme, non c’era altro da fare. E rimossero la storia del ragazzo, che in fondo per loro non significava nulla, era solo un fastidio di lavoro come tanti altri, e si proiettarono verso il futuro.

Ricordarono quello schizoide delle feci solo come un incidente, solo come l’espediente casuale del loro primo incontro, che forse — se il destino avesse voluto — sarebbe stato il primo di tanti altri.

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