Il sesso che si fa a Marfa

Aspetti di un’arte femminile particolare nella serie I Love Dick

Fabrizia Gagliardi
Casa di Ringhiera
7 min readMay 31, 2017

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Via Vulture.

Da qualche parte ho letto che Marfa ha raggiunto uno stato mistico. Cittadina del Texas occidentale, con meno di 2000 abitanti, se ne sta come un anacoreta a più di 200 miglia dal prossimo aeroporto e a circa 20 dalla cittadina più vicina. C’è largo spazio per un cielo imponente che sborda dall’orizzonte per premere sui tetti. Li appiattisce tanto da sembrare che gli edifici, piantati a terra, producano crepe sempre più profonde nell’asfalto. È il sole, in realtà, a corrodere e a smussare angoli. Il movimento è offerto da poche auto, soprattutto pick-up. Marfa è una città in cui puoi camminare al centro della strada e incappare in un uomo all’esterno del bar, uno stereotipo di cappello e baffoni che, come le piante rotolanti, è esso stesso vegetale, innaffiato da fiumi di birra.

Ho cercato di comprendere il misticismo di Marfa forse attribuendolo alle sue Luci che hanno interessato la comunità ufologica. Ne ho indagato le contraddizioni a circa 60 miglia dove è situato Prada Marfa. L’idea degli artisti Elmgreen & Dragset era una struttura minimalista, nel bel mezzo del deserto, che faceva mostra di scarpe e borse Prada. La promessa era non curare più l’opera perché col tempo si sarebbe uniformata al paesaggio circostante. Un’opera d’arte in divenire.

Allora mi sono detta che parte della spiritualità del luogo doveva venire da gallerie d’arte e istituzioni artistiche, veri poli di attrazione per gli studiosi più disparati. Tutto questo rende Marfa un cuore pulsante, arido e ventoso, ricoperto di erbacce ma che respira linfa artistica rinnovandosi continuamente.

I motivi di una mia ricerca simile a un viaggio sono stati ispirati da un Kevin Bacon a cavallo. In piena città c’era questo animale che avanzava adagio scatenando lenti bagliori dalla fibbia della cinta, l’unico movimento in assenza degli occhi nascosti dal cappello da cowboy. È una delle prime scene di I Love Dick, serie offerta da Amazon Video, composta da 8 episodi di circa 30 minuti ciascuno. Le ideatrici sono Jill Solloway, già creatrice di Transparent, e Sarah Gubbins che hanno portato sul video-on-demand la trasposizione ispirata all’omonimo libro di Chris Kraus, pubblicato nel 1997. La storia è quella di Chris, una regista indipendente che sta cercando di sbarcare il lunario ai festival cinematografici, e Sylvere, professore di college, entrambi alle prese con l’elaborazione sessuale e sentimentale dell’infatuazione per Dick, un loro conoscente.

Il telefilm si ispira al soggetto ma si allontana di molto dal libro: ne mantiene i protagonisti e la vicenda ma li sposta nel tempo e nello spazio. L’opera di Kraus è un collage di parti narrative in terza persona che lasciano spazio alla narrazione soggettiva e diaristica in prima persona costituita dalle lettere che Sylvere e Chris indirizzeranno a Dick. L’ambientazione che scatena l’inizio del libro è l’oasi di solitudine che Dick si è costruito a Pasadena, poco lontano da Los Angeles. Ben presto però Chris, sconvolta dalla crisi artistica, utilizzerà l’infatuazione per dare nuova vita alle conoscenze fondanti della sua persona. Il viaggio catartico tra le differenze con l’East Coast si configura come un sismografo instabile che registra i cambiamenti grazie alle lettere rivolte a Dick.

«Marfa è un ecosistema complesso» affermerà la Gubbins in un’intervista su Vogue. Ma quando credi di averla compresa c’è una sorta di persistenza geografica e sentimentale, venuta prima di te, che ti rende un outsider a tempo indeterminato. Ed è questa una delle scelte perfette per la serie che si amalgama con l’identità dei protagonisti: la staticità del luogo contro la capacità di resilienza che deve ridefinirsi continuamente. Chris smorza continuamente la sua creatività autosabotandosi, è inopportuna e oscena. L’iperattività newyorchese mal si adatta ai ritmi lenti e menefreghisti di Marfa. Il film di Chris, di cui si vedrà soltanto una scena, cerca di emulare e non di essere, cita in maniera pretenziosa ed è falso perché non ha l’identità di chi li ha creati.

L’entrata in scena di Dick si manifesta in un uomo dalla barba incolta che rolla e lecca una sigaretta con texana lascivia. Non sembra un artista, come vedremo dopo, votato alle sue opere, all’armonia delle linee dritte e al pensiero artistico che diventa sempre più simile alla celebrazione dell’erezione maschile. L’infatuazione di Chris è prima di tutto fisica, probabilmente dettata dal periodo di astinenza sessuale con Sylvere — continuano a ripetersi di aver sublimato il rapporto in uno più comunicativo e intellettuale.

Le erezioni, o meglio, le opere d’arte di Dick.

Le donne non riescono a lavorare dietro la loro oppressione che rende le pellicole scadenti. La sentenza maschilista di Dick spezza immediatamente la tensione erotica tra i due. E qui giungiamo a una delle pecche della serie: l’argomentazione provocatoria senza prove. Si tratta di un meccanismo particolare per cui riusciamo a individuare le accuse e la difesa di Chris ma non ne riusciamo a capire i motivi, se non quello di lanciare sentenze senza una base teorica chiara, a confermare le fragili fondamenta dell’argomentazione maschilista (ma la stesa cosa si potrebbe dire di quella femminista). Le accuse e la difesa aderiscono allo scontro di genere ma relegano i protagonisti in stereotipi.

Nel libro Dick è un critico della storia, uno dei tanti colleghi di Sylvere che però dimostra interesse per quello che Chris ha da dire. L’attrazione si gioca in modo più evidente sull’affinità intellettuale ed è dimostrata dal fatto che alcune parti del libro assumeranno un taglio più saggistico.

In modo simile al libro anche nella serie Dick, dopo i primi incontri, non avrà molta voce in capitolo perché nelle parole di Chris e nel sesso con Sylvere diventerà la trasposizione di un desiderio di duplice natura.

L’amore e il sesso causano mutazione così come il desiderio non è una mancanza ma un eccesso di energia — claustrofobia nella tua pelle.

Il desiderio sessuale di Chris attraversa diversi stadi: si evolve dall’emulazione fisica di un atto conosciuto che rimane un prodotto della fantasia (sesso con Sylvere sotto lo sguardo di Dick), fino alla sublimazione completa. Nel libro l’autrice si chiede se è possibile trasformare il sesso in qualcosa di complicato come l’individuo, qualcosa di meno «grottesco». Si tratta di indagare l’infatuazione portando all’estremo l’immagine mentale di un uomo completamente diverso e attingervi in maniera ossessiva per la maturazione personale. Diventa la scoperta dell’interiorità e non lo sfogo di una voyeur qualsiasi (come potrebbe essere un 50 sfumature) e dei modi possibili di concepire il sesso come slegato dai corpi eliminandone la base: l’aspetto fisico.

Tutti gli atti sessuali erano una forma di degrado […] La Donna Giovane e Seria cercava il sesso ovunque e quando lo otteneva diventava un esercizio di disintegrazione.

Chris intende trasformare la dimensione svilente, legata alla prestazione e non all’atto in sé, in energia artistica. Compie un’emancipazione che la scioglie dalla dipendenza emotiva e intellettuale e alimenta la sua creatività. Nell’impossibilità di rappresentare un soliloquio frammentato nelle lettere del libro, le creatrici della serie aggiungono la vera forza della trasposizione. Oltre a decorare ogni episodio con spezzoni amatoriali recitati o completamente muti che ricordano le lettere di Chris — a dimostrazione che il prodotto di un’inquietudine solitaria diventa un’opera d’arte fruibile e reinterpretabile continuamente — introducono personaggi che nel libro non compaiono. Prima fra tutte Devon, autoctona e con l’intenzione di creare nuove opere d’arte sfruttando la carica massima dell’ispirazione; la studentessa Toby, diafana e provocante nei peli ascellari e pubici, indizi di una femminista eccentrica di un nuovo tipo, convinta di poter cambiare l’arte in modo provocatorio.

Mentre Chris affronta la sua crisi, loro sono ispirate dalla forza artistica della corrispondenza rivolta a Dick e la declinano nei modi più disparati. Qui è racchiuso il sostrato teorico del libro: l’arte è necessariamente espressione dell’interiorità? E quella femminile, in particolare, è una banale conseguenza dell’interiorità della donna che la crea? L’arte si definisce in base al proprio intento e non c’è qualcosa che è nativamente femminile o maschile.

Come se l’unica ragione possibile per una donna di rivelare pubblicamente se stessa fosse terapeutica. Come se il punto non fosse quello di rivelare le circostanze della propria oggettificazione. Come se Hannah Wilke non avesse brillantemente alimentato il pregiudizio e la paura del suo pubblico, invitandoli a unirsi a lei per un pranzo nudo.

L’idealizzazione di Dick, che potrebbe produrre multipli di 50 sfumature, è terapeutica tanto da tendere ad altro da sé. Nel libro, come nella serie, l’equilibrio erotico è possibile perché stimolato dalla consapevolezza che se soddisfatto vanificherebbe l’opera di Chris. Proprio quando il desiderio di Dick è quello di cannibalizzare l’energia artistica dal basso del suo fallimento, Chris avrà colto nel segno dimostrando a lui di saper trovare ispirazione in una banale cotta. A questo punto il desiderio di Chris sta per avverarsi e non può che concludersi come termina il mese di ogni donna.

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Fabrizia Gagliardi
Casa di Ringhiera

Dovrei usare la mia invisibilità per combattere il crimine o il male?Parlo per citazioni, serie tv, libri, editoria.Curo un blog e scrivo anche su Ultima pagina