Il Tedio

Il peso della mente e dei suoi pensieri, tra innumerevoli fil e giri di parole.

Andrea Sabbatini
Casa di Ringhiera
8 min readJan 13, 2017

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Rimanevo seduto sul divano, in silenzio, immobile e oltremodo annoiato, piuttosto contrariato dal fatto che non riuscissi a trovare nessuna idea che paresse appetibile abbastanza, perlomeno un minimo soddisfacente in potenza, così da poter sfogare il mio momentaneo e impellente istinto di appagamento era come se fossi inabilitato a godere del piacere di quell’intimo pomeriggio libero, rigonfio di sterili progetti, imbottito di speranze abortite che gravavano esanime sulla mia debole volontà. Semplicemente scartavo in rapida successione qualsiasi azione avrei potuto effettivamente svolgere per placare, in teoria, quella fastidiosa sensazione di tedio esistenziale che lentamente si era impadronita della mia testa, annebbiandola, abbandonandola inerte ad un uragano di passività cronica. Ero arrivato all’assurdo culmine in cui persino pensare alla possibile soluzione di fuga da questo labirinto di equilibrio statico e cadaverico era diventato insostenibile. Mi sentivo come immerso fino al collo in vischiose sabbie mobili, più mi sforzavo per cercare di fuggire quel limbo di apatia, più sprofondavo in maniera inesorabile verso un incubo di forzata e innaturale quiete. Mi sentivo come un tossico dipendente da ozio, così anodino e assuefatto al punto che anche la più pura e certosina dose di quiete raffinata, libera quindi da qualsiasi traccia di cancerogena preoccupazione, non riusciva a trasmettermi ormai alcun battito di piacere. Ero talmente drogato di insoddisfacente tranquillità, mi sentivo tanto inutilmente amorfo, da aver fantasticato a breve sul possibile avvenimento di una tragedia, per potermi rifugiare in un turbinio di oscuri ed egoistici pensieri sulle ipotetiche dinamiche che mi travolgerebbero, sulle emozioni strazianti che pervaderebbero i miei momenti. Volevo solamente cercare di distogliere la mia cieca attenzione da quella nausea generata dall’incapacità di concentrarmi efficacemente su una qualsiasi azione esauriente con un fasullo quanto grave problema. Di norma mi capita di guardare con passione intere pellicole fantasiose proiettate all’interno del mio cranio, immaginare per esempio di essere vittima di un attacco terroristico a scuola, mentre sto seduto svogliatamente al banco, accasciato davanti al logorroico professore che vomita inesorabilmente parole su parole, giusto per farmi trasportare da quel fugace attimo di avventura mentale in cui tutto intorno a me esplode, io sono l’unico uomo sopravvissuto, salvo eroicamente la ferita compagna di classe, quella bellissima ragazza con cui non riesco mai ad interagire in una modalità che non sia imbarazzante, gli altri muoiono in atroci maniere, la situazione deve essere estremamente grave, ovviamente, che generi sensazioni di rara intensità, negative o positive che siano, infine lei è costretta ad innamorarsi di me date le mie gesta ercoline, e mi sento momentaneamente anestetizzato, nonostante sappia che non potrebbe mai verificarsi una simile situazione, per fortuna, e che io non sarei mai in grado di agire in dato modo. Voglio solo sentire un po’ di Bruce Willis in me. Lo so, il tutto potrebbe apparire piuttosto infantile, se non assurdo, e questo esempio, come al solito, risulta essere estremamente insulso e superficiale. Anzi, direi che trasmette una rappresentazione della mia persona non troppo ammirevole. Ma è l’unico che mi viene in mente ora, in questo istante, e non mi piace riarrangiare millemila volte le cose che scrivo, altrimenti l’insieme diventa alla fine troppo strutturato, comincerei a prendermi troppo seriamente, e suvvia, non me lo posso permettere. Comunque ciò che maggiormente mi inquieta di questa situazione è il dolore disumano che ogni volta viene ricreato, il fatto che io soffro enormemente durante questa pantomimaca messinscena per potermi sentire vivo e apprezzato, e il mio successo spesso corrisponde alla generale catastrofe, alla vaporizzazione di sogni altrui, alla inesorabile morte di persone anche a me care. Ciononostante in questa occasione non ha funzionato, presto questo viaggio si è solidificato in maniera morbosamente rigida e grigia, per poi essere inglobato da quella piatta paranoia che continuava a tormentarmi all’inizio.

Ero ritornato alla solita routine esasperante. Ricominciai. Eliminavo a priori le più disparate idee:
“Dovrei guardare la televisione?”
“No, che schifo, non c’è nulla a quest’ora.”
“Un film?”
“No, ne hai già visti due oggi, poi non seguiresti.”
“Dovrei giocare al computer?”
“No, non hai voglia, poi ti lascerebbe ancora più scazzato.”
“E se uscissi?” “Ma sei fuori, fa troppo freddo, e poi con chi? Nessuno ti cagherebbe di striscio adesso, così, di punto in bianco.”
“Mi masturbo?”
“No dai, lo sai che in questa condizione non ci riusciresti neanche, staresti seduto sul divano con il cazzo in mano, cominceresti a scorrere fra le miriadi di video che ti potrebbero sembrare eccitanti, ma nessuno di questi ti colpirebbe mai abbastanza, rimarresti comunque seduto in silenzio a scrutare il vuoto, con l’unica differenza che saresti nudo. E se, in un caso fortuito, il tuo coinquilino improvvisamente dovesse entrare in casa, ti beccherebbe a farti le seghe sulla coperta di cashmere che ha ricevuto in regalo dalla nonna lo scorso natale, anzi, peggio ancora, ti beccherebbe mentre cerchi di farti le seghe disperato, dato che saresti pateticamente moscio come una mozzarella, smarrito fra quelle che potremmo chiamare sempre pippe, in un contesto più aulico e intellettuale. Quindi no, pessima idea. Se non fai nulla, meglio evitare possibili scene imbarazzanti.”
“E se mangiassi qualcosa?”
“Bocciata anche questa, hai mangiato un panettone intero non più di mezzora fa. Bene. Quindi, che faccio? Nulla. Ecco cosa fai. Tu continuerai a sputare proposte che io continuerò a rifiutare con ribrezzo. Come mai non mi va bene proprio niente? Eh chi lo sa. Beh, parliamone, già che ci siamo, cos’hai contro di me, non vorresti vedermi felice, spensierato in questo bel pomeriggio festivo? No, io godo nel provocarti fastidio, proprio perché piace anche a te, ti rimembro appunto le numerose volte in cui insceno le più terribili disgrazie dominate dall’orrenda morte di tuoi amici o familiari in modo così dettagliato e insano tanto che non riesci a trattenere le amare lacrime, soffocando di un malore che in realtà non hai sperimentato ancora, disgrazie palesi nella loro completa inutilità. Non avresti ragione di auto-infliggerti strazio tramite pseudo ricordi estremamente imaginifici di ciò che sarebbe potuto capitare, o che potrebbe ancora accadere. Dovresti ritenerti fortunato, oserei dire addirittura graziato, se non hai nulla di cui preoccuparti. Ma non ce la fai, se non sanguini per motivate ragioni esterne, cerchi in ogni modo di dissanguarti vittimizandoti dall’interno. Eppure continuo a farlo per te, perché è ciò che vuoi, il supplizio dico. Anzi, il sentire qualcosa, è un termine più adeguato. Pensi che l’unica caratteristica che permetterebbe ad un uomo di esprimere opinioni senza poter essere giudicato sia l’aver provato dolore, il sensibile sofferente sarebbe considerato molto più saggio, sveglio, maturo, e dato che la maggior angoscia che hai provato sulla tua pelle nell’ultimo mese è stata forse quella irritante scheggia del parquet che si è infilzata antipatica nell’alluce, non ti ritieni abbastanza vissuto o navigato per poter parlare, per essere degno di ascolto o considerazione, cosa che desideresti assai. Hai bisogno di una giustificazione per le possibili cazzate che faresti o diresti, e l’unica amnistia possibile sarebbe il dolore provato, che genera pietà, comprensione, obbligatoria empatia. Ma tu sei solo un figlio di papá, ti manca tutto ciò. Peraltro non meriti nulla, è solamente un caso se hai questo scomodo privilegio. Non puoi lamentarti quindi. In veritá se ti piace crogiolarti nel tuo inesistente tormento è proprio per potere brontolare almeno tra i tuoi pensieri malati, non potendo nella realtà, poichè passeresti per penoso. Comunque va bene, parliamone. In primis, riordiniamo la situazione, un minimo di virgolette da dialogo, giusto per capire chi sia tu, chi sia io. Ok Bene. Parti tu eh.”

“Ciao, tu quindi sei l’Andrea stronzo, quello che ha particolare tatto nell’esporre in maniera educata ed esemplare le questioni delicate, giusto Ho sempre odiato questa tua parte incapace di attenersi ad un minimo di diplomazia, troppo petulante per tapparsi la bocca nelle situazioni spiacevoli.”
“Ciao a te. Che si fotta la diplomazia e l’educazione, sto parlando con me stesso, cosa potrebbe succedere, rischio di offendermi? Poi cosa faccio, non mi rivolgo più la parola? Sono l’unica persona con cui puoi intrattenere un discorso in questo istante, sono la tua onnipresente e insopportabile ragazza che ti pizzica le palle perché non riesce a passare un po di tempo da solo con te, perennemente perso tra televisione, film, amici o videogiochi. Il mio unico modo per trattenerti qui e poter discutere un attimo tête-à-tête è quello di porti nella condizione in cui non trovi nulla di meglio da fare se non stare qui a frustarti sadicamente con taglienti e urticanti risposte del tutto scomode. Sono l’unica persona sincera, intoccabile da conseguenze di forma nel caso dovessi rovinarti il pomeriggio, devo riportarti con i piedi per terra, spingerti ad un esame seccante ma necessario. Tra l’altro non sono propriamente io, lo stronzo, che vuole obbligare l’altro ad essere attivo contro natura. Sei pigro, è inutile che neghi l’evidenza. Sei neutro, abulico, tanto da non provare neanche a mascherare questo tuo innato e maleodorante squallore dipinto a conati sulle pareti del tuo castello di fancazzismo, anzi, a momenti ne pari persino orgoglioso. Quindi, perché vuoi per forza trovare qualcosa da fare? Stai seduto sul divano, atto che per ironia della sorte ti provoca maggior angoscia che provare in effetti angoscia vera e propria a causa di accadimenti esterni. Pensa te, sei li a trastullarti tra orribili e illogiche variazioni delle probabilità del tuo futuro per poter riprodurre anche un solo insulso zampillo tremorante nel tuo contorto stomaco di freddo cristallo, quando potresti semplicemente lasciarti trasportare da questa corrente di anemica inerzia per poterti sentire inadatto, soffocato. Sei una persona pessima, anche fra i tuoi respiri di desiderio più encomiabili. Eppure rimani così egocentrico, non riesco a spiegarmelo, sei persino consapevole della tua teoretica indisposizione al poterti ritenere migliore di altri. Come fai a convivere con questa incongruente ipocrisia, con questa volgare antinomia della tua coscienza?”
“Ci vai giù pesante, devo ammetterlo. E sai qual’è il paradosso? So che non pensi a pieno ciò che hai appena affermato, stai portando avanti questa crociata retorica per due differenti motivazioni. Prima di tutto, vuoi farmi sentire in colpa, di conseguenza instillarmi sofferenza, e hai appena constatato che la cosa mi piace, mi fa sentire vivido, e forse è proprio questo che mi regala il pretesto per potermi sentire superiore. Sono giunto ad un livello di esame dialettico interiore piuttosto sviluppato, e purtroppo l’averlo ora affermato mi fa sentire più ingenuo e presuntuoso di quanto mi ritenessi precedentemente, è un circolo vizioso, ammetto che non giungerei da alcuna parte tramite questa via colloquiale. Comunque la seconda motivazione è molto più semplice tu hai pianificato già di porre questa amabile conversazione poi per iscritto, sperando che interessi a qualcuno, e chi mai potrebbe sostenere o provare affezione per una persona che non ha nessun rimpianto di se stesso? Ti stai parando le chiappe Andrea, cerchi di ingravidare quell’inarrivabile pietà tramite una fasulla aspra critica a te stesso. Altrimenti non sapresti neanche di cosa parlare, nei tuoi pipponi letterati.”
“Vedi che sei un idiota. Ci ho messo mezza pagina per dipingere questa surreale atmosfera, e rovini tutto. Vedi, alla fin fine quello che non riesce a tenere la bocca chiusa sei tu. Perlomeno, se le persone dovessero leggere questo scritto, penserebbero che sei maledettamente fuori di testa, rimarresti solo, e finalmente giungeresti alla sofferenza vera e propria, dato che l’unica sicurezza che abbiamo constatato per adesso è la tua ossessione per il masochismo mentale.”
“Io ti..”
Clack. Finalmente è entrato il coinquilino. Cazzo meno male, o l’avrei lasciata, quella stupida e antipatica puttana.

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