Il vuoto

Ma ora che il buio sta scomparendo e la vita di ognuno riprende a circolare fuori dalla finestra, Daniele si rende conto che non siamo mai davvero soli, che sono pochissimi, di questi tempi, quelli che sanno veramente stare con sé stessi.

Ada Zegna
Casa di Ringhiera
3 min readFeb 22, 2017

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photo credit: Isa Gelb

La casa è silenziosa, o meglio, fa tutti quei rumori di una casa silenziosa: il frigo borbotta a intermittenza, l’acqua scorre nei termosifoni, qualche goccia cade nel lavandino, il pavimento in legno scricchiola sinistro.

Daniele è seduto sul bordo del letto, con la faccia stropicciata dal sonno e gli occhi pesanti di sogni interrotti. E’ un uomo normale, con la barba imperfetta, il formicolio al braccio e i vent’anni sulle spalle che stanno per finire, che si sveglia una mattina come tante con la voglia di caffè o di masturbarsi, questo non lo ha ancora deciso, fondamentalmente solo. Solo quando va al lavoro, solo in mezzo alla gente, solo quando scopa con Clara quella volta a settimana, solo anche adesso. Nonostante questa consapevolezza amara intrisa di cinismo, Daniele è un tipo saggio, ma non lo riconoscerà mai. Ciò che non rende mediocre una persona è proprio la consapevolezza di esserlo, e lui era esattamente così.
Va in cucina e si versa quel liquido nero bollente in una tazza enorme, che poserà sul tavolo fino a farlo raffreddare completamente, e intanto scorre la playlist in cerca di una canzone da ingurgitare, da inserire giù fino allo stomaco, lasciare che si sedimenti lì per tutto il giorno. Ma ora che il buio sta scomparendo e la vita di ognuno riprende a circolare fuori dalla finestra, Daniele si rende conto che non siamo mai davvero soli, che sono pochissimi, di questi tempi, quelli che sanno veramente stare con sé stessi. Cerchiamo in ogni situazione di evitare il confronto con chi siamo, accendiamo la televisione, con lo smartphone sempre attaccato alla mano, per strada ci mettiamo le cuffie, sul tram scriviamo a caso a qualcuno per riempire quell’attimo prezioso ma sprecato, attimo in cui ci ritroveremmo a fare i conti con noi stessi. O molto semplicemente fa troppa paura convivere con le emozioni più scomode.
E invece fa bene. E’ in quel momento che siamo umani, quando ci lasciamo cadere addosso la tristezza, la rabbia, o la malinconia. Senza libri, computer, sigarette fra le mani o alcol per stare meglio, senza musica ad alto volume o oggetti da riordinare. E’ in quel momento che siamo persone, capaci di lasciarsi andare, di mostrarsi deboli, e fragili, e liberi di piangere.

Un altro sorso di caffè freddo. Si gratta la coscia.

Alla fine sono le solite cazzate che sappiamo tutti, dentro, cose dette e ridette in ogni discorso serio fatto con gli amici, ed è proprio questa la cosa che ci accomuna: la perseverante ricerca di riempirci comunque, anche se è un vuoto che resterà sempre incolmabile. Ed è questo vuoto che ci rende perfettamente umani. L’unico problema, alla fine, è che avremo sempre la pretesa di apparire completi e la finzione di vivere una vita piena e soddisfacente.

Daniele già se lo vede, il giorno in cui si siederà in un cinema vuoto a guardare distratto la replica di tutti i suoi errori, in una pellicola sgranata e noiosa, e si vergognerà tremendamente di aver passato quella mattina di febbraio a sentire i rumori di casa sua, invece di cambiare lavoro, di chiudere con Clara, di sentire la voce di sua mamma.

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