La realtà virtuale di San Junipero

Mariateresa Pazienza
Casa di Ringhiera
Published in
7 min readNov 18, 2016

Quello che accade a San Junipero, resta a San Junipero.

Per mesi mi sono chiesta da dove arrivasse il punto di partenza. Troppo vaga come domanda? Può darsi, ma quando si racconta una storia l’inizio è importante. Capote mi avrebbe presa a sberle, potete scommetterci la testa. Lui, mentre scriveva le parti di Preghiere Esaudite, diceva che bisogna sempre sapere dove si va a parare. Bisogna essere consapevoli, pronti a qualsiasi evenienza, munirsi di elmetto, fucile e giubbotto antiproiettile. In poche parole, bisogna essere pronti a tutto. Oltre all’inizio perciò è altrettanto importante il finale.

Ci sono certe storie che a raccontarle non sai proprio da dove partire. L’inizio o la fine? E’ tutta questione di prospettive, visioni e ricordi. Sii sempre a conoscenza di dove vuoi andare a parare. Immagino una coppia a cena da amici:

«E allora, com’è che vi siete conosciuti?»

È quello il punto di partenza. Ma voi avete la minima idea di quanti eventi distrattamente concatenati tra loro ci vogliono prima di sentirsi porre l’insulsa domanda da gente che neanche sa cosa ti frulla per la testa? Semplificare il tutto per sistemarlo in modo perfettamente cronologico è solo una comodità. Spieghi di averlo conosciuto tramite un’amica comune, che una sera come tante ti ha proposto di presentarti questo ragazzo che, dopo una rapida occhiata, sì, non è mica male. Lei l’ha praticamente trascinato lì, ai muretti su cui sei seduta con le tue amiche mentre fumi una sigaretta, e te lo presenta. Giusto il tempo di stringervi la mano e poi scompare dalla tua vista. Così ci siamo conosciuti, ma è la storia più riduttiva che io abbia mai potuto raccontare. Potrei benissimo ricavare un racconto di tutta quella giornata.

Era fine giugno e nel pomeriggio c’era stato un forte temporale estivo. Mentre ero nella mia camera, cominciai a sentire la pioggia che batteva violentemente sulla finestra. Dopo aver scostato la tenda avevo notato i soliti bambini che giocavano sotto casa correre a perdifiato verso il primo balcone per ripararsi da tutta quell’acqua. Matteo, il proprietario del bar/sala biliardi che tutti chiamavamo “accademia” solo perché l’avevamo sempre conosciuto sotto quell’appellativo, era poggiato a un lato della porta d’ingresso. Chiacchierava coi soliti uomini che si intrattenevano lì per una partita a bigliardo in santa pace, lontani dal fracasso o dall’eccessivo silenzio delle proprie case.

Che strano, pensai, un temporale estivo così violento non l’avevo mai visto. Tornai a guardare la pioggia come se fossi ipnotizzata. Matteo mi vide alla finestra ed alzò un braccio per salutarmi. Feci un cenno con la testa e sorrisi per ricambiare, poi tornai dentro. Quanto a lui, chiedendogli mesi dopo dove fosse durante quel tremendo acquazzone, mi rivelò che era in Vespa col suo amico Marco e che stavano tornando dal mare. Che sfigati, gli dissi, e poi mi venne da ridere. Ricorda che devi essere sempre pronto a tutto. Anche ai temporali estivi.

Creare un rapporto con qualcuno è tutta questione di ponti, connessioni, collegamenti. Vi è mai capitato di trascorrere così tanto tempo con una persona da dire la stessa identica frase nello stesso momento? «Hai paura dei pipistrelli?», ci conoscevamo da solo un giorno, ventiquattro ore. Non ci eravamo detti granché, ma ci eravamo intesi al volo.

Cosa succede se la connessione stabilita con l’altra persona non è reale? «Un giorno vorrei andare in Giappone». In quel caso, e in quel rapporto, le parole erano state tante, troppe forse. Confuse. Intense. Frettolose. Il contatto fisico, visivo, la realtà reale, quanto hanno in comune col virtuale? Le teorie e le opinioni si sprecano a riguardo. Molta gente che conosco, con cui stabilisco contatti, vive lontana da me. Allora in situazioni di questo tipo mi torna utile sapere che oltre alla realtà, esiste un posto virtuale in cui poter dire due stronzate ai miei amici.

Il punto di tutto ciò è che voglio capire, ma capire per davvero, cosa si può annidare in un rapporto virtuale. Una volta una persona mi disse: «Tutto questo non è reale. La vita vera è fuori dalla chat.» Allora non avevo la minima idea che dopo oltre un anno sarei stata d’accordo con quelle parole. Ho passato settimane, mesi — molto probabilmente –, a ripercorrere ogni minimo dettaglio di quella che era stata una lunghissima chiacchierata. Nulla di più, nulla di meno. Sono solo parole, mi verrebbe da pensare. Sì, ma alla fine l’inganno dov’è? Senza contare quella stupida sensazione di sentirsi presi in giro. Alla fine della fiera, cosa resta?

Tutte queste domande me le sono poste dopo aver guardato San Junipero, quarta puntata dell’ultima stagione di Black Mirror. A prescindere dalla storia, ciò che più è rimasto attaccato come un adesivo sul pannello di una stupida cameretta, è quella solita ipotesi che ti fa sentire sempre tirato in ballo, anche nei casi in cui in definitiva non c’entri un cazzo. Pensavo che quel candido chip attaccato alla tempia mi avrebbe consentito di prendere consapevolezza di una verità diversa da quella che poi si è rivelata. A dirla tutta, il programma che da il nome alla puntata è una realtà virtuale a tempo imitato. Una specie di Second Life, immagino.

Lì s’incontrano Yorkie e Kelly, le due protagoniste dell’episodio. Nasce qualcosa in effetti, ma inizialmente ci risulta impossibile comprendere, sia che si tratti di una realtà virtuale suddivisa in decadi, sia il motivo che spinge Kelly a fuggire costantemente. Realizzi di essere difronte a una situazione che non è reale solo quando le due decidono di incontrarsi di persona.

Sarà mica quello a rendere vero un rapporto virtuale? Io in tutta onestà non lo so. Resta di fatto che una realtà virtuale come quella di San Junipero, che ti permette di stabilire un contatto fisico con gli altri utenti, mi sembra la semplice versione aggiornata di tutto quello che rappresentano i vari social network. San Junipero però rappresenta anche una valida alternativa alla morte, infatti Yorkie sceglierà di restare negli anni Ottanta invece che morire. L’happy ending, che strizza l’occhio ai diritti della comunità LGBT attraverso l’inaspettato matrimonio tra Kelly e Yorkie, è anch’esso un elemento finora mai sperimentato dai creatori della serie, che fino a questo episodio ci hanno letteralmente fatto perdere il fiato a suon di ansia e angoscia.

La realtà virtuale di San Junipero mi ha fatto capire che anche nella mente umana esiste un luogo in cui crediamo di essere giunti a verità assolute, o in cui pensiamo che il rapporto nato con qualcuno sia qualcosa di unico. Non faccio altro che pensare a Ieri, il romanzo del 1995 di Agota Kristof. Tobias, il protagonista della storia, è innamorato di Line, una donna che nella prima parte viene celebrata aulicamente nella sua perfetta idealizzazione. Molto probabilmente il contro dei rapporti virtuali è proprio nell’eccessivo idealizzare qualcuno che in definitiva ci sta mostrando una parte infinitesimale della sua persona.

Quello che scegliamo di rendere visibile agli occhi dell’altra persona — molto spesso la parte più virtuosa, interessante, intelligente, simpatica e via discorrendo –, è soltanto una proiezione di ciò che vorremmo essere. Senza traumi, senza casini, senza turbamenti, senza quella parte oscura che in fin dei conti ci rende umani.

Tobias idealizza Line dopo averla persa di vista per diversi anni e decide di creare intorno a questa figura di donna una cornice tale che, anche quando l’ha incontrata quasi per caso, sceglie di continuare a cercare un riscontro di quello che la sua mente aveva costruito nella realtà. È in questa incessante ricerca di conferme che Ieri può essere accomunato a San Junipero e alla sua realtà virtuale.

Della stessa pasta risulta l’idealizzazione che Yorkie costruisce su Kelly, una giovane donna così esuberante e disinibita che prima la spaventa e poi l’attrae sempre più come il polo opposto in un campo magnetico. Dietro la spigliatezza e la disinvoltura di Kelly si cela il dolore per aver perso suo marito e sua figlia, ed il conseguente bisogno di reagire al lutto cercando di evadere dalla realtà.

Ciò che Yorkie proprio non riesce a capire è il bisogno di Kelly di fuggire da qualsiasi tipo di legame. È come se Kelly provasse una sorta di rimorso ogni volta che sa di poter sentire qualcosa di più profondo nei confronti di qualcuno che non siano i suoi cari morti. Si tratta di un atroce quanto inutile senso di colpa che ti lacera dentro, e una volta che la ferita si è richiusa, ti da la certezza che non potrai sentire più nulla verso un’altra persona, perché in fin dei conti affezionarsi a qualcuno che poi andrà via è una fregatura per chi resta.

In questo mi torna utile l’insegnamento di Capote: bisogna sempre sapere dove si va a parare. Quello che dobbiamo fare, in ogni tipo di situazione, relazione o storia da raccontare, è restare vigili dall’inizio alla fine, e poi essere pronti a tutto. Anche a “fare il passaggio”: una morte fisica che ti permette, attraverso un chip, di restare in un’epoca e spassartela per sempre. Sì, lo so che il per sempre non esiste, così come il virtuale non esiste. Eppure penso che la sincerità di certe parole non abbia bisogno di realtà.

--

--

Mariateresa Pazienza
Casa di Ringhiera

30 | depicting dreams and reality | always lookin for the meaning