Mossi da appetiti

Non riuscivo più a fantasticare, questo è certo, tutti gli eventi si presentavano solidi ed ermetici di fronte a me, quindi non avevo idea di come sarebbe poi stata la mia vita da lì in avanti, dove avrei vissuto, se avrei amato Matilde veramente, quale percorso di studi avrei scelto di fallire o quanti figli mi sarebbe piaciuto avere.

Ada Zegna
Casa di Ringhiera
4 min readMar 17, 2017

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photo credit: Pierre Belhassen

Le foglie di vite si arrampicano sul pergolato di ferro che brucia sotto il sole violento di mezzogiorno. Mia nonna siede al tavolo lì sotto all’ombra fresca della terrazza e pulisce i fagiolini, ed io mentre guardo i gatti sonnolenti che riposano sui tetti penso al sapore della pelle di Matilde, all’odore di salsedine fra i capelli. Le immagini di mio padre in ospedale sbattono nella testa come le ante delle finestre in un temporale, intervallano ogni breve momento sereno. Intanto nonna Lina, che mi ha sempre capito anche se non mi ha quasi mai visto, mi guarda con tenerezza e mi chiede se ho fame. Rispondo con un “sì” trascinato dalla voce dell’arrotino, che in strada interrompe i pensieri, seguito dalle grida del venditore di alici, da cui certe signore si precipitano sbraitando con il portamonete in mano.
Era una strana estate terribilmente afosa, ma questo paese mi faceva sentire benissimo, quasi come un romanzo sconosciuto che dopo la prima pagina senti già tuo. D’altronde non avevo trascorso niente dell’infanzia qui al mare dalla famiglia di mia madre, ed era anche la prima volta che passavo un periodo così lungo lontano da casa, in cui nonostante tutti cercassero di allontanarmi da ciò che era successo nella mia vita a Milano, o di coprirmi gli occhi con mani immaginarie, io qui sentivo di stare bene. Solo certi istanti avevo bisogno di rientrare in casa, appoggiarmi a quei muri spessi e freddi, guardare quegli orribili ninnoli sopra la credenza e piangere un po’, ma poco. Giusto due lacrime per farmi sentire ancora bambino, immaginando che mamma accorra a prendermi in braccio, mettermi una mano sulla testa e uscire di casa in fretta a comprarmi un gelato.
Ora che il pranzo è pronto e il sugo ribolle nella vecchia pentola mi viene l’acquolina in bocca, e mi siedo a tavola fingendo di essermi seduto lì per una vita, vicino alla finestra, pensando in realtà a quanti pasti mi sono perso in sua compagnia, anzi, in loro compagnia, anche se mio nonno non c’è più. Ma è comunque in cucina con noi, vive nella sua amata radio che ogni giorno nonna spolvera, nella medaglia commemorativa appesa alla parete e in un paio di fotografie che prima o poi ruberò, per non vergognarmi nel chiederle, o per paura di un no come risposta. Eravamo dunque io e lei, davanti a tutti quei piatti gustosi, di cui io amavo domandare gli ingredienti, anche se non mi interessava granché, ma a lei faceva piacere istruirmi in quella pratica antica di scelta delle erbe aromatiche, di segreti tramandati di cucina in cucina. Era anche un modo per recuperare quegli anni di distanza e di muri innalzati, come se il bene che non ci siamo voluti per vent’anni, si fosse liberato dalle briglie e potesse finalmente correre libero.
Le giornate del paese camminavano lente tra preghiere e bestemmie, facevo lunghissime passeggiate tra i vicoli ignoti, a guardare gente uguale e sempre diversa in situazioni anacronistiche, tra turisti con l’iPad e l’odore dell’immondizia che marcisce al sole. Non riuscivo più a fantasticare, questo è certo, tutti gli eventi si presentavano solidi ed ermetici di fronte a me, quindi non avevo idea di come sarebbe poi stata la mia vita da lì in avanti, dove avrei vissuto, se avrei amato Matilde veramente, quale percorso di studi avrei scelto di fallire o quanti figli mi sarebbe piaciuto avere.
Il suono rassicurante del mestolo nelle mani di nonna rigirava in me una sensazione di calore e allo stesso tempo di abbandono: mentre lei insegnava ai miei occhi a vedere di nuovo, la mia fame cresceva e io le facevo conoscere tutte quelle minuscole cose di me che forse nemmeno sapevo, ma riuscivo a mostrarle.
Il mare senza dubbio tirava fuori moltissimo, di sera ci vomitavo tutti i pensieri più brutti, e al mattino andavo per raccoglierci le conchiglie.

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