Quando batte il cursore

Michele Nenna
Casa di Ringhiera
Published in
8 min readNov 9, 2016

Le narrazioni più belle ti disorientano più di una pagina bianca.

Foto di Matsumoto Hiroharu

Ripensi da giorni ad una frase che si è presentata alle tue orecchie senza utilizzare grossi giri di parole. Eri lì, davanti alla tv, a vedere una delle serie del momento. Nessuno ha fatto o detto nulla di così allarmante, eppure la tua mente ha iniziato un viaggio a ritroso per i cunicoli del «come sarebbe andata se». Un viaggio che, grosso modo, tutti decidono di intraprendere. Nel frattempo dalla tv hai continuato a ricevere dosi massicce di America buona e bella, di quell’America presente esclusivamente nei romanzi che ti hanno formato e aiutato a dare la giusta forma ai sogni che ti trascini dietro chissà da quanto tempo. Una semplice puntata è riuscita a mettere tutto in discussione. Le domande si ripetono lasciando che l’eco si spiaccichi contro le orecchie fino a disintegrare la ragione. Lo stomaco fa su e giù, emette rumori e brontolii degni di nota, ma reagire al blocco vuol dire irrompere nell’utilità che avvolge l’intera disperazione che incontriamo nel quotidiano.

Quando apro un nuovo file word, la prima cosa che faccio è sistemare la formattazione della pagina. Giustifico il testo e modifico le impostazioni del paragrafo, affidando dei miseri 0,50 cm alla prima riga. Il cursore batte ininterrottamente sullo sfondo bianco e quello che mi tocca fare è attendere l’arrivo della prima frase, quella con cui sceglierò di aprire la pagina. L’incipit è sempre uno di quei colpi bassi difficili da gestire una volta incassati. Indecisione e insicurezza sfilano come se avessero a disposizione una delle passerelle più cool dell’alta moda milanese — o parigina, a seconda delle preferenze. Batte scandendo un tempo indefinito che traghetta l’ansia fuori dai paraggi. Il cursore gode di vita propria, lontano dall’efficienza richiesta dal mondo intero e privo di interesse. Non riesce a rimare fermo, scomparendo e ricomparendo come fanno le vedette di Gomorra sulle terrazze dei palazzi di Scampia.

L’episodio che ha messo a dura prova le tue certezze si è chiuso da qualche minuto quando ti poni la domanda fatidica. L’intera serie mette a dura prova la sicurezza del futuro, e una volta annientata la raccoglie con scopa e paletta per poi lasciarla cadere all’interno del secchio della spazzatura. Non ha affatto bisogno di diffondere il verbo del dubbio in colui che osserva. Ha praticamente sciolto le basi nell’acido e ha messo su una nuova linea a cui rifarsi, delle nuove fondamenta che sostengono l’immagine di un grosso grattacielo abitato da una dimensione fatta di novità e confusione, isteria e gioia di vivere. Una serie — che mai citerò — ha lasciato che le tue certezze si sgretolassero mentre sullo schermo andavano i titoli di coda.

La prima stesura della pagina — o pagine — è sempre esaudiente. Ti alleggerisce il carico della pressione esercitata da quella classica sensazione di vuoto di chi ha molto e poco da dire. Non scelgo mai un registro predefinito. I tagli restano impliciti al mio essere conscio davanti al flusso di parole che butto fuori. Quando batto l’ultimo punto sono già consapevole delle numerose revisioni che eserciterò sul testo. Quella virgola non mi piace, questo punto è inutile, ‘sta frase è inconsistente e via discorrendo. Per precauzione dovrei salvare il file ogni volta che chiudo un paragrafo, ma è una cosa che faccio raramente. A volte lo dimentico e va a finire che salvo tutto alla fine, quando ormai sono in dirittura di arrivo e chiudo il documento.

La tua domanda non ha risposte certe, e la serie lo sta dicendo sin dalla prima puntata. È come chiedersi «perché diavolo mangio se poi sarò costretto a sedermi sulla tazza del cesso?». Potresti dirmi che siamo costretti a farlo perché abbiamo bisogno di nutrirci. Benissimo, ma non tutti si nutrono seguendo alla lettera le indicazioni dell’OMS. Ad ogni angolo c’è un fast food pronto a mettere a repentaglio i tuoi nobili intenti salutisti, esercitando una certa bellezza sull’atto stesso di sfamarsi in tutta tranquillità. Vuoi mettere la noia di un frullato con la spinta energetica di una porzione di patatine fritte? Tutti sappiamo che dobbiamo mantenere un certo equilibrio alimentare, ma cazzo, il fascino e il sapore che si cela dietro al crock della patatina dove lo metti?

Non ho mai seguito uno stile di formattazione fisso. Il carattere, la sua grandezza, sono valori che ho sempre modificato negli anni, fino ad ottenere un livello estetico che mi facesse apprezzare quello che avevo scritto. Lo so, questa è una delle affermazioni più banali che siano mai state pronunciate in merito ad una questione così delicata. I maestri di scrittura sono ovunque, per non parlare dei corsi di scrittura creativa, ma credo che mai nessuno si sia liberamente espresso sulla questione carattere — escludendo tutti quei casi in cui il tuo testo viene preso in considerazione solamente se rispetta i parametri citati nelle famose pagine “collabora con noi”. Invece, nell’ultimo periodo, il rigore sul modo di scrivere ha avuto la meglio. Times New Roman in corpo 12, che è un po’ come dire Sodomie in Corpo 11 del buon vecchio Aldo Busi — secondo lui uno dei suoi libri più eccitanti di sempre, uno di quelli che riesce a mettere in discussione i gusti in fatto di sesso di qualunque maschio eterosessuale. Rinchiuso in questi due parametri di viaggio batto i polpastrelli sulla tastiera del mio banale pc nero dalla superficie antigraffio — io la definisco antiestetica più che antigraffio.

L’episodio ti ha lasciato con quel retrogusto amaro. Hai preso la trama e l’hai trasmessa sulla tua vita. Ricordi quello che abbiamo detto sul cibo? Be’, prova a cambiare i soggetti mettendo al centro la vita di una coppia qualunque. Davvero saresti disposto a tenerla legata ad una certezza costruita sopra una base adolescenziale? Davvero non hai mai pensato al vuoto prima di oggi? Eppure sei venuto su a pane e Rustin Cohle di True Detective. Ancora non riesco concepire il tuo sgomento davanti ad uno che decide di lasciare il salotto per sedersi in cucina. Nonostante tu abbia calcolato attentamente il suo vissuto, non sei riuscito ugualmente a venirne a capo. Pensi ancora ai party di Meno di Zero, a quelle piscine colme di testosterone e pasticche di MDMA. Allora dov’è il problema? Nutri davvero qualche dubbio in merito oppure sei solo disorientato dall’età che avanza dritto verso spiagge a te estranee?

Foto di Matsumoto Hiroharu

Ad ogni revisione che faccio mi vengono in mente le parole di Carver. Nel suo Il Mestiere di Scrivere afferma che, tra le tante cose, una delle pratiche fondamentali per riuscire nella forma breve è quella di eliminare il superfluo. Frasi brevi e precise che lasciano viaggiare la mente del lettore il più possibile, lontano dai limiti delle parole utilizzate nella descrizione di un evento o di un appartamento. Chi meglio di Carver potrebbe suggerirmi i trucchi migliori per riuscire in questo mondo spietato e selvaggio che è la scrittura? Tanti sono i nomi che mi vengono in mente, ma nessuno riuscirebbe a colpirmi più di quanto riesca a fare lui. Allora rivedo le frasi, i periodi che introducono e il loro voler comunicare a tutti i costi qualcosa che si fa altro da me. La pagina diventa un campo di battaglia dove scompaiono i cadaveri dei caduti per lasciare spazio ai più forti, quelli che hanno resistito alle cannonate e ai colpi di mitragliatrice. Nello stesso modo in cui un barbiere da la forma alla barba folta del suo cliente, io cerco di fare la stessa cosa con il backspace.

Ricordo che era molto paziente, voleva che capissi ciò che cercava di mostrarmi, dicendomi e ripetendomi quanto fosse importante avere le parole giuste per dire quello che volevo. Niente di vago o di confuso, niente prosa dai vetri appannati.

Raymond Carver, Il Mestiere di Scrivere, Trad. It di Riccardo Duranti, Einaudi, pp. 27–28.

Inizi così a credere che i rapporti e il cibo siano sostanzialmente collegati tra loro. Allora invochi uno scenario apocalittico dove nessuno più è costretto a mangiare per riuscire a sopravvivere. Scompare la figura del colon pur di dare sollievo alla tua visione delle cose. Sottintendi un’immortalità estranea ai più critici — Hart sarebbe felice, invece Cohle (restando in tema) ti prenderebbe a calci nel sedere. Miseria, per una serie hai messo tutto in discussione e sei pronto a fare carte false pur di accaparrarti un briciolo di sicurezza in questo magma che non accenna minimamente a raffreddarsi. In tutta questa tua indicibile frenesia messa in campo per fronteggiare il nemico e dare maggiore importanza alla tua comunissima vita, stai sorvolando sul fulcro del discorso, su quello che la serie che stai vedendo vuol trasmetterti prima che giunga al termine previsto dall’emittente. Seppur dormiente, quello su cui dovresti soffermarti è l’imprevedibilità che abita ogni essere umano, la stessa che egli decide di riversare in ogni rapporto a cui sceglie di dar vita. La libertà di essere imprevedibile è la caratteristica principale che connota la nostra natura. Questa non è solo una delle risposte plausibili che possono ricevere le tue domande, ma è la cosa più alta, e allo stesso tempo più ovvia, che i protagonisti di questa serie sembrano dirti attraverso i loro singoli gesti.

Nella lettura, così come nella scrittura, è facile perdersi: qualcuno viene catturato dalla storia in sé, qualcun altro dalle riflessioni che la stessa storia riesce a sedimentare. È un gioco che mostra la dualità della narrazione. Autore e lettore si incontrano nello stesso luogo e scelgono di percorrere strade a volte diverse, a volte identiche. Per quanto mi riguarda, nella scrittura mi perdo con la stessa facilità con cui mi perdo nella lettura. Il resto della prima frase battuta sulla pagina bianca resta totalmente diversa da quella battuta alla fine. Nel mezzo ci sono divagazioni e sottintesi che viaggiano per i fatti loro senza che io me ne accorga in tempo. Alla fine, magari, il risultato potrebbe anche essere buono, ed essendo inaspettato potrebbe anche fare breccia nel mio cuore di perenne aspirantequalcosa. L’imprevedibilità che hai incontrato nella serie che stai vendendo da qualche giorno è la stessa che si prende gioco di me. Partire con un presupposto per poi arrivare a destinazione con un altro totalmente diverso è la prassi che si rispetta in questo groviglio di cose chiamato arte. Come puoi vedere siamo sommersi da questo fattore che non smette di contraddistinguerci in ogni cosa che facciamo. Non dovrebbe spaventarti, l’imprevedibilità. Al contrario, essa è una fonte di acqua limpida attraverso cui potresti abbeverarti senza covare dentro di te alcun tipo di paura che possa distruggere le aspirazioni più intime. La pagina bianca è molto simile ad un rapporto. La riempi di parole e col passare del tempo le dai la forma che più le si addice. Revisioni, tagli e aggiunte sono gesti che aiutano ad arrivare al risultato tanto aspirato. Poi, quando ormai ti sembra che occupi il proprio posto nella scala dei tuoi progetti — nella più totale libertà di scelta — , voltare pagina per ricominciare daccapo con il cursore che batte irrefrenabile potrebbe essere la cosa più ovvia da fare.

--

--