Quella cosa chiamata poliamore

Dopo aver visto la prima stagione di You Me Her, serie tv disponibile nel catalogo Netflix, abbiamo capito quanto siamo ancora distanti da certi traguardi.

Mariateresa Pazienza
Casa di Ringhiera
5 min readApr 12, 2017

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Via Google.

I trent’anni sono una merda, su questo non ci piove. Il vero problema è che l’incombente peso del traguardo diventa un irrimediabile stato di trance più che l’ennesima candelina da spegnere. Anche se non appartenete alla fortunata categoria che prova un senso di morte preannunciata alla parola trent’anni, sono certa che il pensiero di diventare adulti una volta per tutte (tuono che preannuncia disgrazie, grazie regia) vi tedia quanto me.

Tanti auguri un cazzo!

Quello che più mi fa paura dell’atto stesso di crescere — non ditelo troppo in giro, ve ne prego — , è che potrei ammosciarmi, ingrassare, ritrovarmi con le zampe di gallina, avere un hangover che dura 24 ore e roba da Non ho l’età. Abbiate pazienza, nella mia testa mi sono appena rivista trentenne, grassa e vecchia mentre canto un classico degli anni 60 al contrario. Ma Gigliola non parlava di essere troppo giovani per il sesso?

Non ho l’età e mai l’avrò.

Ma voi non ascoltatemi, sono una brutta persona disfattista. Sì, magari potreste essere dei trentenni vincenti, belli, in coppia, con una casa in un quartiere residenziale, il giardino, il cane, la cabina armadio e le foto appese in salotto. Sapete, io quel genere di trentenne non lo invidio, ne lo disprezzo. Ognuno di noi fa una serie di scelte nella vita e si da il caso che ci si possa incrociare un giorno con qualcuno che ha le tue stesse prospettive. C’è gente che decide di sposarsi — no, non è il mio caso, proprio no — , di creare un vero e proprio patto a cui potersi appellare nel mezzo tra la buona e la cattiva sorte, la ricchezza e la povertà, la salute e la malattia.

Sticazzi.

Il punto è che nessuno possiede un breviario su come affrontare impeccabilmente e senza nevrosi i trenta. Fatto sta che ti sposi e decidi di fare un figlio.

Fermi tutti!

Questa storia la conosco già. Emma e Jack sono una di quelle coppie da foto in salotto e cabina armadio. Una di quelle che sceglie di sposarsi e provare ad avere un figlio. Se non fosse che a Jack viene la geniale idea di andare con una escort. Memore della Golden Age berlusconiana, io una escort me la immagino così:

Ciao Patry.

Invece quella che si presenta nella camera d’albergo altro non è che Izzy, la tipica ragazza della porta accanto. Una di quelle che ti passano di fianco per la strada, che indossano una camicetta leggera, che vanno a lezione con un libro stretto tra le braccia. Izzy però è tutt’altro che semplice. Ed è proprio questo a renderla il personaggio migliore di tutta la serie. Emma e Jack finiscono per desiderare di rompere la routine matrimoniale — sempre con lo scopo di avere un bambino, sia chiaro — e cominciano, prima separatamente e poi insieme, a trascorrere il tempo con questa venticinquenne incasinata.

You, Me, Her è la prima serie che cerca di sviluppare il tema del poliamore non come mera questione sessuale, ma come possibile alternativa alla monogamia. Non si tratta ne di depravazione, ne di un’idea prettamente fricchettona. Quella che s’instaura tra Emma, Izzy e Jack è una relazione sentimentale tra adulti. Potrebbe sembrare un’utopia quella di essere in tre invece che in due. Io stessa ho provato a immaginare come sarebbe vivere le mie giornate con due partner. Svegliarsi in tre, fare sesso in tre, andare al ristorante in tre. Nonostante possa sembrare assurda come ipotesi — c’entra sicuramente una certa idea radicata da due millenni e diciassette anni — , credo che se ci avessero detto che è cosa buona e giusta far sesso in tre — quella del sesso oggi è una fissa — , oggi avremmo vissuto le relazioni sentimentali in altro modo.

Travata dritta in faccia.

In tutta la serie, che a guardarla bene sembra fatta con lo stampino di Cougar Town sia per certe espressioni di comicità, sia per l’idea dell’intero vicinato impiccione, è l’analisi psicologica di Izzy a farmi apprezzare l’impianto narrativo. Mentre Emma e Jack vengono lasciati in secondo piano, come a voler dire che «sì, tanto loro sono in due e possono contare l’uno sull’altra», Izzy è quella che sente il peso enorme di una storia che credeva di poter gestire facendosi comprare da una coppia annoiata.

Orsetto goloso.

Invece Izzy resta fregata dal benservito che la coppia decide di darle per paura dei vicini spioni. Che ne sa Izzy del mondo degli adulti? Fa la escort per mantenersi al master di psicologia che frequenta, vive con un’amica/sorella che non si vergogna di scopare per soldi ed ha questo ragazzo ossessivo e rompicoglioni che per sentirsi maschio ha bisogno di pisciarle intorno — non letteralmente — per marcare il territorio.

Il bello è che Izzy, per la sua fragilità emotiva, non dovrebbe avere una relazione ne con un ragazzo piscia-muri, ne con una coppia che vuole risvegliare la libido. Senza contare che, sempre per la sua estrema sensibilità, la consapevolezza di un campo di studi che analizza in modo così sottile e doloroso la mente umana è roba per gente dal cuore di pietra. Izzy invece è un walking disaster, un cucciolo smarrito che sbatte contro un muro senza rendersene conto. Lei cerca di abbatterlo, quel muro, di sfondarlo a suon di erba e karaoke, esuberanza e occhi da cerbiatta.

Fame fame fame fame e ancora fame.

Osservando il due di picche di Emma e Jack e la conseguente decisione di Izzy di tornare alle origini per riuscire davvero a capire «Che diavolo c’è che non va in me?», uno si rende conto che la società non è ancora pronta al poliamore. La serie, nonostante cerchi di far capire che la gente è ancora disarmata di fronte a una diversa prospettiva nel campo delle relazioni, riesce a sdoganare anche il cliché dell’happy ending.

Dalla regia però mi dicono che la seconda stagione di You, Me, Her è in corso e questa è un’altra storia.

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Mariateresa Pazienza
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