Requiem 4 Detroit

Una città abbandonata dalla stessa gloria che l’ha forgiata.

StefanoRosa
Casa di Ringhiera
2 min readFeb 10, 2017

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Doug Zuba, via Unsplash.

Detroit. Quella che un tempo era la capitale mondiale dell’ automobile oggi ci appare come una Ballardiana cartolina dal futuro. Un enorme cimitero di auto invendute divenuto riparo di senzatetto in quartieri architettonicamente decomposti.

Il gusto francese dei suoi decori e lo sfarzo estetico dei ruggenti anni Fordiani si presentano ferocemente corrosi da un arrugginito disinteresse politico e conseguentemente sociale.

Delocalizzazione, fallimento e degrado sono ciò che resta del sogno americano di libertà espressa in miglia orarie.

Tuttavia il silenzio epidemico delle fabbriche dismesse non rappresenta la colonna sonora di una città che fin dagli anni Quaranta, attraverso il blues di John Lee Hooker, il jazz, il sound inconfondibile della Motown Records degli anni Sessanta, il proto-punk degli MC5 e di Iggy Pop, la Techno, il garage-rock, The White Stripes e l’ Hip-Hop di Eminem, ha saputo urlare tutto il suo disperato sdegno.

Patrick Tomasso, via Unsplash.

Voci ed idee coagulatesi nel disagio dell’underground creativo e slegate da qualsiasi schema produttivo o turno di lavoro in superficie.

L’energia che da sempre alimenta questa città è generata dalla frustrazione che quest’ ultima produce e gli artisti rivendicano umanità, compassione e tolleranza. Sentimenti quest’ultimi che latitano sotto la pesante, cinematografica, corazza di Robocop, riprogrammato a giustizia imbullonata ed assemblata.

L’ anima della città è proprio l’ alternativa a tutto ciò che già esisteva in un trattato di cannibalismo capitalistico, mentre l’arte urbana per le strade è difficilmente estrapolabile da un contesto di vandalismo rabbioso.

Smarrimento ed incredulità si attenuano dinnanzi solo all’ennesimo graffito come ultima prova tangibile di un passaggio umano.

Obsolescenza, Dismissione, Bancarotta e Licenziamento sono i futuribili cavalieri di un’Apocalisse Neoliberista e della quale ne intravediamo la testa senza scorgerne la coda. La sua lunghezza ci spaventa! Il suo pestifero alito ci uccide economicamente, mantenendoci vivi a condizioni insopportabili.

I sobborghi di Detroit come La Strada di Cormac McCarthy sono mera sopravvivenza urbana. Un futuro parco a tema per un’ Apocalisse di morti-viventi. Ciò nonostante il neocolonialismo delle materie prime non arretra di un passo. Nessun pentimento. Solo altra terra da spremere.

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