Richard Yates: dalla scrittura alla vita

Casa di Ringhiera
Casa di Ringhiera
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5 min readMay 18, 2016

Non nascondo quanto la narrativa in forma breve mi stia divorando l’anima. Nell’ultimo ordine — che dovrebbe essere consegnato entro la fine della settimana, spero — c’è finita una mole di raccolte di racconti che supera di gran lunga quella dei romanzi. Eppure questi sono gli anni della grande crisi delle short stories. I lettori italiani preferiscono i romanzi, denigrando tutte le raccolte sistemate negli scaffali delle librerie. Se da una parte c’è un problema, dall’altra invece c’è un nuovo progetto editoriale che non passa inosservato — merito anche del suo nome. Racconti Edizioni è una nuova realtà concepita da Stefano Friani ed Emanuele Giammarco che ha preso il via ufficiale proprio all’ultima edizione del Salone Internazionale del Libro, con la presentazione della raccolta Appunti da un bordello turco di Philip Ó Ceallaigh nella traduzione di Stefano Friani. La casa editrice pubblicherà solamente raccolte di racconti, e per questo motivo ne vedremo delle belle. Eventi come questi non possono far altro che bene al panorama editoriale del nostro paese.

Tornando alla mia vita da lettore, l’ultima raccolta che ho letto è stata Undici solitudini di Richard Yates (Minimum Fax, traduzione di Maria Lucioni). Lo scrittore americano non ha bisogno di introduzioni. Nelle sue vesti di abile riproduttore di una realtà dura da sopportare, ha descritto in questi undici racconti la vita di personaggi che un po’ gli assomigliano — anzi, diciamo un bel po’. In generale, l’aspetto biografico dell’autore, qualsiasi esso sia, non tarda a venir fuori, e quando meno te l’aspetti lo ritrovi lì davanti a te. Ad esempio, mariti malati e lasciati alla lunga degenza di un ospedale, amanti che ti aspettano in auto — o al bar, giusto il tempo per un goccio in compagnia –, sono le principali componenti che riempiono la vita di Myra, la protagonista di Nessun dolore.

Nell’atto di scrivere, volente o nolente, l’autore si riversa nelle pagine fino a riempirle con le sue impotenze, con le sue solitudini, appunto. A prendere la forma non è un semplice racconto, o un semplice romanzo da scrivere per poter vendere le copie a tutti i costi. Le parole disegnano la sagoma reale dello scrittore, rendendo inconfondibile la sua fisionomia sentimentale. Non abbiamo bisogno di etichette attraverso cui incasellare queste espressioni vitali che ritroviamo nei libri. Sono incontri che avvengono in solitaria tra il lettore e lo scrittore. Ci si osserva per tutto lo spazio che nelle pagine si concretizza, dando vita ad uno scambio fitto di sguardi silenziosi che si svincolano dalla punteggiatura e dal numero limitato delle pagine. Quando ci rendiamo conto di aver incontrato uno scrittore di cui non possiamo fare a meno in alcun modo, allora il momento dell’incontro si dilata nel tempo, prolungandosi oltre la lettura. Si accentua un voyeurismo romantico che conduce il lettore oltre il libro, oltre la stessa lettura del romanzo, del racconto o di quel che sia, fino a raggiungere le radici della vita stessa dello scrittore.

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New York, teatro delle storie scritte da Richard Yates[/caption]

Ogni lettore ha i suoi amati idoli ben sistemati nell’olimpo raffigurato dalle librerie Billy bianche montate nelle case. Tra di loro c’è un forte legame che sostiene una linea di congiunzione, relegando un nome a quello di fianco, e così via. Trovare le figure imprescindibili che vanno ad alimentare il nostro immaginario letterario, ci porta in continuazione a porci domande sul come un aspetto sia intrinsecamente presente nell’altro. Si crea una sorta di frangente d’appartenenza attraverso cui possiamo reperire punti di vista a loro volta non risolutivi, ma che diventano trampolini attraverso cui lanciarsi nel mare che navighiamo ogni giorno.

Elencare le differenza tra romanzi e racconti non è nelle mie intenzioni. In essi, e in quello che mi trasmettono ogni volta che li apro, è conservato un mondo che vive in disparte nel bel mezzo della narrazione. Siamo liberi di coglierlo o meno senza mai riuscire a prenderlo di tutto peso, semplicemente sfiorandolo. Ma come può nel giro di venti pagine verificarsi tutto questo strano caso di magnifica devozione? La risposta è sì e no. Non è detto che la brevità di un racconto sia così esauriente. Stessa cosa vale per il romanzo: il pericolo di ritrovarsi dinanzi a qualcosa di inconsistente è dietro l’angolo. Scrittori come Yates, cimentatisi in entrambe le forme letterarie in questione, hanno dalla loro parte il pregio — o il difetto — di saper pronunciare il proprio punto di vista in merito a una faccenda assai spinosa. Un punto di vista duale che non marcisce in uno stato di putrefazione, ma che è ben espresso nei libri a loro sopravvissuti. Se temi come la guerra, la vita di coppia, il lavoro e l’alcol sono sinonimi di una precarietà vissuta come senso di pericolo, allora sono proprio questi i fattori che hanno trascinato la vita di Yates lungo il sentiero del sopravvivere al disagio. Nelle sue opere c’è la vastità di un senso di malessere che dal suo animo si è riversato in quello dei suoi personaggi, donandogli definitivamente della capacità di constatare quanto una vita sia dura da mantenere.

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Undici solitudini è in grado di trasmettere tutto questo. I protagonisti, fedeli al suo autore, parlano e combattono le avance dello stadio superfluo rappresentato dalla realtà rose e fiori del boom economico americano. Sono gli anni della seconda depressione, gli stessi che hanno dato vita a quel sentimento di rivalsa che accomuna gran parte degli scrittori statunitensi formatisi in quel periodo. È il rimanere immobili mentre gli occhi fissano il disastro che si verifica, un contrabbando di anime che mostra la natura dell’essere umano dinanzi alle sconfitte. Se le dipendenze di Yates hanno consumato la sua vita, allora queste parole, queste storie, consumeranno prima quelle dei protagonisti, e poi quelle dei lettori.

Ancora non conosco con precisione quello che personalmente cerco nei racconti. La maggior parte delle raccolte che scelgo sono anelli di un’unica catena legata a qualcosa di cui ancora ignoro la natura. Altre volte vengo spinto dalla curiosità, dalla voglia che brama di conoscere qualcuno fuori dalla cerchia, qualcuno che con quella catena non ha nulla a che fare — invece puntualmente scopro qualcosa in comune con gli altri. Queste sono le sorti a cui è destinato ogni lettore, le stesse che nutrono le Billy acquistate in saldo. Riempire la voglia di conoscere a tutti i costi qualcosa di completamente estraneo per poi riuscire a mettere in gioco quello che siamo.

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