Room, ritornare al mondo
di Ada Zegna
Il film “Room” di Lenny Abrahamson (2015) candidato al premio Oscar come miglior film è una vasca di emozioni in cui sono riflessi due aspetti intensi della vita: gli occhi dell’infanzia e la consapevolezza della libertà.
La Stanza del titolo è quella dove è nato e cresciuto Jack, che insieme alla mamma Joy vivono reclusi e imprigionati da un uomo che abusa di lei, di cui Jack è frutto. Non sono soli, assieme a loro due ci sono anche Armadio, Specchio, Lavandino, e altre cose reali, le uniche con cui Jack familiarizza.
“Buongiorno lampada. Buongiorno pianta. Buongiorno serpente di uova. Buongiorno tappeto. Buongiorno armadio. Buongiorno tv. Buongiorno lavandino. Buongiorno gabinetto. Buongiorno a tutti.”
Un microcosmo all’apparenza perfetto per lui. Ma quando compie cinque anni la madre gli rivela che al di là delle mura c’è un mondo fatto di cose e persone vere, che non coincide con la stanza come Jack ha sempre creduto, ma che si avvicina molto di più alle figure piatte che vede in televisione. La reazione di rifiuto, da parte di un bambino che ha saputo costruirsi un mondo dentro uno spazio così piccolo e che ora viene messo in discussione, e quella successiva di escogitazione di una fuga, è interpretata in modo estremamente dolce dal giovanissimo attore, che fa ingoiare assieme a un po’ di miele quella pillola amara del fatto di cronaca che si nasconde dietro alla storia.
Storia che passa da momenti claustrofobici di quotidianità traboccanti di amore ad attimi in cui si vorrebbe urlare per Jack, con il respiro sospeso e i nervi tesi. Sequenze cariche di tensione che vibrano di sentimenti, trasportate da una colonna sonora composta dall’irlandese Stephen Rennicks fatta per commuovere. Tra i brani spicca The mighty Rio Grande dei This Will Destroy You che fa da cornice a una delle scene più toccanti di sempre.
I suoi occhi diventano il nostro sguardo. Se per un bambino qualunque possono essere reali i mostri, i folletti o Babbo Natale, per Jack non lo sono nemmeno le montagne, il mare, gli animali o le persone. Per noi esisteva tutto, per lui nulla. C’è solo un indizio di quello che vi è la fuori, un minuscolo pezzo di cielo che si vede dal lucernario sul soffitto, che come un oblò distorto mostra solo un assaggio ignoto.
Ma quando finalmente madre e figlio sono salvi, non si può comunque essere sollevati, perché è fuori che nascono i problemi, e ci si rende conto che la libertà è solo una parola.
La situazione di shock iniziale è frammentata in due: il lato consapevole di Joy, che ritorna a contatto con la sua famiglia, implodendo in una depressione materna, e il lato inconsapevole di Jack, che esplodendo osserva il mondo.
E lo spettatore capisce tutto dal suo viso, coglie l’incredulità nello scoprire, secondo dopo secondo, dettagli nuovi, i colori mai visti, l’estensione del cielo, delle strade, di tutti gli alberi che lo circondano e i difficili primi passi nelle relazioni sociali.
“C’è così tanto posto nel mondo. Il tempo è di meno perché lui deve essere spalmato sottile sottile da tutte le parti, come il burro.”
Lenny Abrahamson fa ritornare ognuno di noi nel mondo, assieme a Jack e a sua madre, riscoprendo la propria identità e la bellezza di una porta aperta sull’ “esterno”, su nuove percezioni di ciò che ci circonda. Come se fosse la prima volta.