Vecchie abitudini

Casa di Ringhiera
Casa di Ringhiera
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4 min readAug 4, 2016

Il signor Sandro è un uomo di settantacinque anni, con i pochi capelli bianchi sempre pettinati all’indietro e la sua inseparabile giacca scozzese. Un bel vecchietto insomma, anche abbastanza educato: non sputa per strada, non fissa insistentemente le ragazze, saluta ogni volta che entra in un negozio e raccoglie sempre i bisogni del suo cane Milo.
Ha però due vizi di cui proprio non può fare a meno, o meglio ha provato tante volte a sostituirli, ma alle sigarette e al gelato Sandro non è disposto a rinunciare. E’ molto testardo, sua moglie Elena lo diceva sempre, e si sa che quando gli anziani si impuntano sono peggio dei bambini.

Fatto sta che a lui fumare piace, gli è sempre piaciuto, perciò non capisce perché deve smettere proprio ora che è arrivato a un’età in cui può dedicarsi a quello che vuole. Come mangiare il gelato tutti i giorni, per esempio. Se c’è una cosa che davvero lo fa sentire sereno è tenere in mano un cono al gusto crema e nocciola e passeggiare sotto i portici. Forse non proprio ogni giorno a dir la verità, perché in fondo questa storia del diabete a volte prende il sopravvento nella sua coscienza e finisce con il dare il gelato rimanente a Milo, che si lecca i baffi almeno una decina di volte quando ritornano indietro.

Le loro giornate sono solitamente scandite dall’ordine delle buone vecchie abitudini: la sveglia rossa non suona più, ma Sandro sa quando è ora di alzarsi, per cui dopo aver infilato i piedi nelle pantofole a coste blu, alza la pesante tapparella e guarda che tempo fa fuori. Ovviamente questo non influenza più di tanto la sua routine, tranne quella volta in cui ha grandinato grosso come una noce e i tuoni facevano ballare il lampadario e allora sì, si è messo sul divano tutta la mattina a leggere ad alta voce “I Miserabili” per tranquillizzare Milo, che si era accoccolato di fianco a lui perché temporali così forti non li aveva mai sentiti. Lì il programma della mattina era saltato.
Comunque dopo essersi fatto la barba e aver indossato una delle tante camicie, che ormai ha imparato a stirarsi da sé, solitamente si prepara il caffelatte e due fette biscottate, non penso abbia mai fatto una colazione differente. Il tavolo è solo più spoglio, perché Elena metteva sempre un mazzo di fiori in un bicchiere per dare colore alla cucina, ma da quando lei non c’è più i fiori si limita a guardarli sui banchi del mercato, indeciso se acquistarli o meno, convincendosi poi che non riuscirebbe mai a curarli come lei sapeva fare. Piuttosto compra molta frutta, quella sì perché sa che gli fa bene.

Nel tragitto della passeggiata, tra Milo che si ferma ad annusare ogni angolo e altri cani che si fermano ad annusare Milo, passano davanti al ferramenta di fiducia, alla pettinatrice, alla macelleria e a un piccolo negozietto che vende liquori. Apparentemente un posto normale ma a Sandro fa sempre un certo effetto vedere quello che prima era il negozio del suo papà. Vendeva penne stilografiche ed era un lavoro magico, quegli oggetti erano così preziosi per lui che aveva paura ad utilizzarli per timore di rovinare la punta.

I suoi tre amici al bar lo aspettano alla solita ora, con il solito caffè e i soliti discorsi di una vita: il colesterolo, lo sport e la famiglia. Sandro non ha figli, non sono arrivati. Quando parlano dei loro nipoti lui sorride con un po’ di malinconia, gira il cucchiaino nel suo decaffeinato senza zucchero e tace. In fondo va bene così com’è andata. Viene distratto dal suo compare che agita l’indice intento a raccontare un altro aneddoto di chissà quanti anni prima. Ecco, a guardarli da lontano sembrano quattro piccoli archeologi, con le teste chine a scavare minuziosamente con un pennellino nelle loro memorie, e riportare al sole tutte quelle storie.
Mentre torna a casa, passa come tutte le volte dalla stessa via, sempre piena di gente che va di fretta. Gli piace fermarsi alla pasticceria, quella più cara della città, non che entri per comprare qualcosa, no, si limita solo a guardare. Si avvicina a un palmo dalla vetrinetta con i dolci alla crema e li guarda sorridendo, con le mani dietro la schiena e la mente che ritorna ai giorni invernali del 1950. Sandro ha 9 anni ora. Lui e i suoi compagni mentre vanno a scuola si fermano sempre davanti alla vetrina del panettiere, ad alitarci sopra, i nasini e le mani schiacciati sul vetro freddo. Le loro cartelle ingombrano, non riescono a stare tutti nella stessa fila per cui si spintonano un po’, ma a loro importa solo attirare l’attenzione del fornaio, un uomo grosso dal viso sempre rosso, per ottenere qualche briciola dei panettoni avanzati. Le avrebbero poi mangiate a manate mentre correvano in classe.

Capita di ripensare al passato, a chi non succede, ma a Sandro ultimamente accade spesso. Quando la malinconia lo assale, più o meno tutte le sere, con le dita tremolanti sposta il braccio del giradischi e lascia che la puntina cominci a scivolare lentamente sul disco di Chet Baker, che non toglie mai. Ha sempre pensato che il jazz possa alleviare il dolore. In realtà si addormenta sulla poltrona quasi subito, con la bocca un po’ aperta e il bicchiere ancora fra le mani. Quando la musica finisce, si risveglia e si trascina, strisciando un po’ i piedi verso la camera da letto e una volta sotto le coperte, i suoi occhi ripercorrono l’intera stanza: le pastiglie le ha prese, Milo dorme già tranquillo, le finestre sono chiuse, e la fotografia di Elena è sul comodino, che gli sorride. «Buonanotte cara».

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