Viaggio in Africa

Michele Nenna
Casa di Ringhiera
Published in
5 min readDec 14, 2016

La Grande A è un romanzo che racconta la storia di un’intera famiglia ambientata in quel teatro dimenticato che è l’Africa.

Photo credit: Sho Hatakeyama

Il viaggio inteso come espressione massima di una costrizione ben precisa, magari dovuta ad una esigenza lavorativa, assume un corredo estetico che perde l’intensità del proprio colore, optando per una serie di sfumature emotive che rilasciano in definitiva un’immagine avvolta dal dolore. Non c’è nulla di fantastico, nulla di positivo. Resta fondamentalmente quell’ammasso di elementi che contraddistingue un’evenienza realizzata a suon di rinunce. In questo clima rientrano sicuramente i viaggi della speranza, quelli in cui i principali protagonisti si avvalgono di una dose non identificata di salvezza per un futuro migliore dove non esiste alcuna forma di emarginazione sociale ed economica.

Nel quadro della classica famiglia italiana, in particolare quella che ha abitato i luoghi della disperazione dove mancava qualsiasi forma di sussistenza, possiamo ben distinguere quella folta parte di essa che è andata altrove per puro spirito di sopravvivenza. Ha scelto paesi in via di sviluppo, fabbriche di inizi novecento da poco avviate e zone in cui c’era un’elevata richiesta di personale. Tutto questo ha poi decretato la nascita di nuovi centri abitati. Osservando ancor più da vicino lo stesso quadro, possiamo intravedere lo stato delle cose nel periodo coloniale, ovvero quello legato all’Etiopia e Eritrea. Se poi guardiamo ancora verso il sud Italia, la storia diventa ancora più interessante: tutti sono legati a questo fenomeno migratorio che ha visto protagonisti i propri cari. Il nord Europa con la Germania, l’ovest del Mondo con gli States e il sud con l’Africa. Leggevo La Grande A, romanzo d’esordio di Giulia Caminito targato Giunti, quando ho raccolto nella mia mente queste storie di uomini mandati in avanscoperta verso paesi più sviluppati dei nostri. Loro lì hanno trovato un nuovo lavoro, una nuova casa, fino a trasferirsi poi con l’intera famiglia.

Quello di Giulia Caminito è un romanzo che ha riscosso il consenso di diverse voci autorevoli all’interno del panorama letterario italiano. Al centro della vicenda c’è la vita di Giada, una bambina lasciata in affido agli zii che abitavano nella provincia milanese. Sua madre è in Africa, un posto assai lontano dalla sua casa e, sopratutto, dalla sua immaginazione. Sono gli anni degli insediamenti italiani nelle colonie africane, Etiopia ed Eritrea in primis. Si costruiscono edifici e strutture pubbliche sotto il pieno controllo del regime fascista. L’Africa è un eldorado per chi è in cerca di lavoro. Sono questi gli stessi anni del fascismo, delle bombe che cadono dal cielo e delle vite spezzate da un conflitto che non smette di diffondersi a macchia d’olio.

Nel frattempo in Africa persiste un incontro tra culture diverse che finisce dritto nelle pagine del romanzo. Giada parte finalmente con i suoi parenti alla volta di quel misterioso luogo in cui risiede sua madre, una terra avvolta dalla sabbia e dal caldo più secco che possa mai esistere, eccellente nella sua forma smagliante. L’incontro, vero e proprio scambio interculturale, avviene senza preavviso. La voce narrante — rigorosamente in terza persona — riporta le vicende di una bambina che scopre un nuovo mondo. Gli uomini che frequentano il bar dove lavora sua madre e la conoscenza di Giacomo sono le principali figure con cui Giada entra in contatto in quella che è una nuova avventura.

Giulia Caminito

Completamente immerso nella narrazione, La Grande A è un romanzo che direziona i fari dell’attenzione del lettore su uno spaccato di storia italiana. Giulia Caminito si serve dei propri vissuti famigliari per raccontare lo stato delle cose in un periodo particolarmente delicato per tutto l’occidente. In uno sfondo di colori pastello che raffigura una sorta di fuga dalla Seconda Guerra Mondiale, attraverso gli occhi di Giada prende vita una tela intrisa di alterità. Se Giada funge da perfetta presa di coscienza, quella di Adi — sua madre — è la figura ideale per rappresentare chi pur di sopravvivere è pronto ad affrontare qualsiasi ostacolo. Tra il bar e la guida del camion per il contrabbando di alcolici, Adi incorona quel desiderio avvolto dalla voglia di farcela a tutti i costi. L’Africa disperata e derubata del suo fascino, della sua forza, diviene il teatro di questa storia dal sapore mai nauseabondo di avventura e scoperta di un nuovo mondo.

Tornando estranei al romanzo di Giulia Caminito, la città di Assab possiamo paragonarla ad una qualsiasi metropoli europea post secondo conflitto bellico. Insieme al lavoro si trasferiscono vite, e con esse le storie che ci trasciniamo dietro dalla nostra nascita. Il cosiddetto bagaglio culturale viaggia incontrastato tra le tante ferrovie del Mondo, fino a quando non trova la giusta sistemazione per passare la notte con un tetto sulla testa. In questa capacità di infondere il ricordo, il semplice sentito dire che si tramanda di padre in figlio, vive tutta la grandezza di questo esordio narrativo. Condurre il lettore alla conoscenza attraverso un viaggio affrontato da una bambina per le vie della stessa società in cui viviamo oggi, è un grande ingegno che va oltre il microcosmo di Giada, della sua intera famiglia e dei suoi amici — e di colui che diverrà poi suo marito. Intorno al bar Juventus si aggirano tutti, dagli italiani fino agli americani impegnati nella costruzione delle strade. Le lingue si incrociano e cercano di comunicare le emozioni più intense e banali che possano esistere. Se il modo di fare di Giacomo è il classico di coloro che hanno trovato il giusto modo per stare al mondo, quello di Adi è ancora duro e scontroso, simile a quello di una donna che ha visto e provato tutto sulla propria pelle. Giada, più volte disegnata come una protagonista esile nell’aspetto fisico, riesce a mostrare le notevoli ossa che sostengono la sua struttura emotiva nonostante i continui segnali di cedimento.

Le frasi precise e l’enigma celato dietro al vero significato del titolo del romanzo — per A possiamo intendere un sacco di cose –, ci consegnano un esordio che ha tanto da dire su una vicenda — quella coloniale — che è stata ormai dimenticata. Oltre a Giada, sembra che la vera protagonista del romanzo sia l’intera famiglia, una famiglia che riesca a raccontare un periodo torbido del nostro paese. Il viaggio intrapreso dopo i primi capitoli de La Grande A porta dritto alla presa di coscienza di quello che è stato — e che continua ad essere tutt’ora — per la stragrande maggioranza delle persone che abitano il mondo intero. Il nomadismo legato a determinate esigenze porta alla mente quello che hanno scelto di cantare — giusto per citarne qualcuno — Woody Guthrie e Bob Dylan nei loro brani. La condizione dell’essere umano dietro ciò che appare, una realtà di facciata che può essere sconfitta per indagare la vita degli altri. La verità dietro la maschera utilizzata per entrare in scena e interpretare la propria parte. Giulia Caminito ha scelto di servirsi degli occhi di una piccola ragazza per riprendere una realtà passata e ormai distante: quelli di Giada, che hanno saputo raccontare un piccolo pezzo d’Africa.

La Grande A (Giunti,2016) di Giulia Caminito.

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