Vivere o morire quando perdi la connessione

Sono rimasto per più di 24 ore senza una connessione stabile, una circostanza che mi è servita a capire quanto sia necessaria la presenza dei social media nella mia vita.

Michele Nenna
Casa di Ringhiera
7 min readMay 8, 2017

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Her, Spike Jonze (2013).

Sono gli scatti immotivati a rendere particolare la giornata. Un aggiornamento che non avviene, un calzino spaiato e Netflix che decide di staccare da tutto e tutti. La scorsa settimana ho trascorso 24 ore senza wifi. Non è stata una cosa fatta di proposito, tutt’altro. Una delle cabine della zona dove abito aveva deciso di smettere di funzionare, causando così un vuoto di interazioni a tutto il vicinato.

Con il 4G agli sgoccioli, ho cercato in tutti i modi di rimanere al passo con gli eventi. Ho pianificato le connessioni, scegliendo già da prima dell’avvio del traffico dati cosa fare e cosa non fare — sopratutto quest’ultima. Ho messo una serie di like ad alcune fotografie, letto qualche post e visto qualche gif — ne avevo bisogno, data la mia dipendenza.

Questo genere di cose mi fa letteralmente impazzire.

Durante le prime ore, ho vissuto la cosa con molto distacco. Era mattina e, con mio grande stupore, sono riuscito a gestire ogni piccola ed insidiosa volontà di non rispettare i limiti che mi ero imposto. Per farvi qualche esempio, uno di questi consisteva nel non cliccare play su alcun video, nemmeno su quello in cima ai trend di quelle ore.

Pian piano capii che stavo vivendo la possibilità di usufruire di una connessione fissa nello stesso modo in cui un viaggiatore spera di incontrare un oasi nel pieno deserto. Se in un’ora potevo connettermi due volte per non più di tre minuti, con il passare del tempo mi ero concesso una prima allentata alla morsa. I minuti dovevano rimanere sempre gli stessi, le volte in cui effettuavo l’accesso no.

Ero rimasto sorpreso da me stesso, di come stavo reagendo ad una costrizione dovuta al malfunzionamento di una centralina in zona. È in casi come questi che pensi al fatto che sia arrivato il momento giusto per cambiare operatore ed ottenere un buon piano ricaricabile — provvisto di numerosi giga — ad un prezzo conveniente. Cose del genere le capisco sempre in ritardo, mi ripeto tra me e me. Con il prossimo telefono devo prevenire errori del genere, era stato il mantra della mattinata.

Una mattina passata tra bestemmie e imprecazioni è quasi un toccasana per il corpo e la mente. Scattavo subito, per qualsiasi stupidaggine si presentasse. Se qualcuno volesse farmi un torto facendomi penare come un folle, basta che si impegni nel farmi sparire la connessione.

Per tutta la durata del pranzo evitai di pensarci. Calcolavo approssimativamente il numero corrispettivo del traffico che creavo con un semplice gesto. Attivare e disattivare la voce “Cellulare” era diventata ad una pratica molto simile a quella del metti-la-cera-togli-la-cera. A dire il vero ero completamente concentrato a vuotare il piatto. Stupido sì, fesso no.

Nel pomeriggio ero ormai rassegnato. Mi chiedevo quando avrebbero ripristinato la linea, ma di quello che accadeva intorno alla mia vita non mi interessava nemmeno più. La convinzione che il mondo riuscisse ad andare avanti senza che io potessi osservarlo era una circostanza che fino a qualche giorno prima era rimasta pura utopia. In quel momento, invece, era diventata realtà a tutti gli effetti. Sì, le volte in cui mi connettevo erano aumentate a dismisura. Se supero la soglia spengo tutto, era la nuova formula impressa nella mente.

Quando non me ne fregava nulla dei social network, sarei riuscito a rimanere anche giorni e giorni senza la minima connessione. Una volta risposi ad un messaggio in chat dopo 48 ore, figuratevi se mi premeva essere onnipresente per tutto il giorno.

Tac-tac-tac-tac-tac-tac.

In qualche cartella sul desktop del computer sono riuscito a trovare l’ultimo di Nick Cave. Dopo di lui è toccato a Nicolas Jaar e poi a Gazzelle. Tutti album di cui, in un modo o nell’altro, avevo scritto. Mentre ascoltavo i brani che si susseguivano con estrema ferocia, mi sono ricordato di quella classica affermazione che vede nella mancanza di qualcosa un’occasione per scoprire nuove strade da battere. Sarà, eppure ho passato le ultime ore prima di cena a revisionare alcuni pezzi. Sullo schermo del computer batteva un cursore deciso, al contrario della mia espressione ormai andata a farsi benedire.

Scrivendo alcune note, il tasto della A non andava bene a fondo. Ogni volta che lo schiacciavo non compariva proprio nulla. Ci si era messo anche lui di traverso. Qualcosa non andava e quel qualcosa era una briciola nascosta chissà da quanto tempo. Ecco cosa avevo scoperto. Un tasto che non funzionava, la prima lettera dell’alfabeto svanita per colpa di una briciola di pane incastrata tra una cosa e l’altra. Chi ha l’intuizione per l’affare della propria vita e chi capisce che c’è qualcosa che non va nel tasto della prima lettera dell’alfabeto.

Ho tirato via il tasto, ma la briciola non ne voleva sapere. Così è passata sotto l’altra fila inferiore dei tasti, questa volta senza causare alcun intoppo.

La sera ero ormai abituato all’idea di continuare ad utilizzare la connessione a tratti, questa volta sempre più ristretti. La soglia era prossima ad essere varcata e quel guasto combaciava proprio con il rinnovo mensile del mio piano telefonico. Lo smarrimento iniziale aveva lasciato il posto ad un lento ritorno alle origini, un ritorno che non volevo affatto intraprendere, ma che per forza di cose mi ero ritrovato ad osservare.

Le stories di Instagram, i video di YouTube e i porno in streaming, erano finiti in soffitta. Prendere coscienza della particolarità di essere un tutt’uno con un mezzo diverso dalla nostra natura, ma che da essa deriva, ha fatto il resto. Io che vivo il web e tutto quello che ne consegue come una cosa stupenda, forse la cosa più bella dei nostri tempi, mi sono ritrovato a fare i conti con un’apocalisse che avevo sempre sottovalutato. Un fattore che mi ha portato dritto alla mente il caso di Twitter chiuso in Turchia, o delle limitazioni che impongono al traffico delle informazioni alcuni dei governi orientali e mediorientali. Certo, il mio è solo il risultato di un piccolo guasto avvenuto la mattina all’alba.

Quella stessa sera sono andato a bere una birra con degli amici. Parlando delle solite cose, siamo finiti ad affrontare il discorso delle app di dating per gli utenti che abitano in provincia. Nessuno di noi sapeva con certezza se mai qualcuno fosse riuscito a combinare un appuntamento nel nostro piccolo paese di 60 mila abitanti. Pur non avendo una connessione ADSL da un bel po’, mi sono preoccupato di capire dove poter recuperare qualche dato in merito alla nostra discussione. Gli appuntamenti avvenuti sul serio latitavano proprio come la mia connessione. Nessun numero, nessuna certezza. Qualcosa svanisce nel nulla ed io mi faccio prendere da una lunga serie di sconforti alternati a momenti di pura euforia.

It’s a match!

Consapevole delle mie restrizioni, sono rientrato con un muso che sfiorava il pavimento. Di Tinder e simili già non mi interessava più nulla. Quello che mi mancava era la mia connessione, ovvero la possibilità di fare quel cazzo che volevo e come volevo. Un piccolo esperimento improvviso che mi ha portato a comprendere quanto mi trovi bene ad imbracciare la causa che alla maggior parte delle persone fa storcere il naso. Dopo aver scritto quanto avvertivo la mancanza della connessione, un’amica mi ha esplicitamente scritto che questa era la volta buona per disintossicarmi dal web e dai social. Ma io non volevo affatto disintossicarmi, anzi. Non vorrei sembrare troppo banale, eppure il mio rapporto, il mio modo di interagire con il mondo, è la cosa che più mi fa stare bene in questi ultimi anni. Vista in questa chiave, riesco tranquillamente a definire la tecnologia, questa tecnologia, come uno degli elementi necessari alla vita di oggi.

Rimanere con delle restrizioni per quasi più di 24 ore, aveva concentrato la mia attenzione sul fatto che quelli di Zuckerberg, Jack Dorsey e Tim Cock sono divenuti mezzi su cui si fondano le basi del mondo attuale. Sorvolando su un mero aspetto economico, con le scalate a Wall Street, i loro prodotti fanno mondo. Un fenomeno culturale in forte crescita che vede in quell’unicum che è il web il canale perfetto per la propria affermazione. Sono assetato di tutta questa grande vena da cui succhiare il sangue che riesce a mantenermi in vita.

Un evento non voluto mi stava portando ad osservare da vicino quello che nutro nei confronti di una realtà per molti plastica, ma che per me vuol dire tanto, più di quanto non sia capace di esprimerlo a parole. La presenza dei social network è una cosa necessaria. Senza sarebbe un gran casino. Certo, abituarmi all’idea della loro scomparsa sarebbe davvero dura, ma alla fine ci si adatta. Controvoglia, ma ci si adatta.

Poi il mattino seguente, dopo essermi svegliato con un piccolo accenno di hangover su per la testa, notai che il segnale era ormai ritornato alla sua funzione. Le 24 ore senza ADSL erano finalmente finite, con buona pace delle mie insicurezze e curiosità spinte fino alle stelle.

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