Cosa succede alle reti commerciali?

Le vendite stanno affrontando una crisi?

Marco Scarpellino
Catobi

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L’intero settore delle vendite vive una crisi!

O, meglio, è in crisi tutto ciò che NON viene venduto online. Le vendite online vanno benissimo e nessuna crisi si prospetta all’orizzonte. Solo in Italia, infatti, sono ben 23.386 gli e-commerce attivi. In Europa nel 2021, gli utenti dell’ecommerce supereranno i 500 milioni e, lo stesso mercato digitale, è proiettato in crescita costante per i prossimi anni con una penetrazione che raggiungerà quasi il 70% nel 2025 con un volume di oltre 1’000 miliardi di €.

Che cosa succede, invece, offline?

I venditori si trovano di fronte dei potenziali clienti che hanno già avviato il processo di vendita e lo hanno fatto molto prima di incontrarli. Infatti, secondo una recente statistica, il 60% del processo di acquisto viene completato prima di incontrare un venditore.

Il 41% dei venditori afferma che il mancato raggiungimento dei target è dovuto alla difficoltà di comunicare con efficacia il valore al cliente (Qvidian);

Il 40% dei commerciali ritiene di dover migliorare la comprensione del processo di acquisto dei proprio clienti (Qvidian);

In alcuni settori B2B solo il 30% dei cicli di vendita si chiudono con una decisione da parte del cliente di acquistare qualcosa da uno dei venditori. Ciò significa che il 70% dei cicli si chiude con una decisione di non comprare niente da nessuno (Customer Centric Selling);

Da un recente studio Salesforce solo il 36% del tempo dei venditori è speso in attività relative alla vendita.

I numeri sono, come sempre, impietosi nel rappresentare uno scenario che si sta evolvendo rapidamente. Scenario che non cambia molto, anzi, se guardiamo alle startup. Molte delle 10 principali ragioni per cui le startup falliscono sono in qualche misura legate alla fatica di dover vendere il proprio prodotto/servizio nel modo giusto.

Per chi riconosce questa difficoltà, il primo approccio è quello di rifugiarsi nella formazione, ma anche qui le statistiche restituiscono un risultato imbarazzante: dopo soli 30 giorni dagli eventi formativi, i commerciali riescono a conservare solo il 13% di quanto appreso.

Qual è la soluzione quindi? E dove potrebbe essere utile dirigere la propria attenzione?

Il primo passo in questo senso dovrebbe essere quello di capire quali sono le cause radice del fenomeno (in piena filosofia lean). I programmi di training, infatti, sono utili per aggredire alcuni dei sintomi che si leggono dai dati (ad esempio una migliore preparazione per comprendere il processo di acquisto o le modalità di trasferimento del valore al cliente), ma spesso non risolvono il problema in profondità.

Proviamo, ora, a dare un’interpretazione dei dati prendendo un altro punto di vista:

I commerciali si trovano di fronte potenziali clienti che hanno già buona parte delle informazioni che un venditore può fornirgli;

C’è un certo mismatch nel concetto di valore tra venditori ed acquirenti;

Le attività che i venditori svolgono li aiutano solo in minima parte a portare avanti il lavoro per il quale vengono pagati.

Guardando il contesto da questo punto di vista si nota come il problema principale potrebbe risiedere nel modo in cui le vendite sono viste all’interno delle organizzazioni. Molto spesso la vendita viene vista come una funzione che non può essere configurata all’interno di un processo ben definito (dal punto di vista lean), ovvero che sia ripetibile, scalabile ed ottimizzato (ottimizzabile). Queste caratteristiche vengono viste come un limite per le capacità del venditore i cui requisiti o peculiarità principali per il successo sono spesso considerati innati e migliorabili tramite programmi di formazioni mirati a potenziarli (vedi sopra).

Probabilmente, se consideriamo i dati che abbiamo appena snocciolato non è esattamente così e in moltissimi contesti una definizione di un processo di vendita potrebbe andare ad aggredire la causa radice del problema.

Un processo strutturato, infatti, potrebbe essere indirizzato a risolvere i problemi descritti in precedenza. Bisognerebbe partire, dunque, dalla definizione di VALORE dal punto di vista del cliente. Questo concetto è fondamentale perché uno degli errori in cui si può incorrere — quando si guarda alle strategie ed agli approcci da utilizzare per vendere il proprio prodotto/servizio — è quello di definire il valore dello stesso dal nostro punto di vista.

La definizione del VALORE, se fatta bene, apre la strada per capire come comunicarlo al cliente anche quando si entra in contatto con buyer che hanno completato buona parte del percorso in autonomia.

La definizione del valore, però, non è un elemento statico ma varia nel tempo e si evolve. È necessario, quindi, che l’organizzazione ritorni con costanza su questo elemento per assicurarsi che la propria definizione di valore coincida con quella del cliente.

Una volta identificato il valore il passo successivo è, poi, quello di capire come lo stesso fluisce attraverso il processo di vendita nell’organizzazione e verso il cliente. L’identificazione del flusso del valore porta con sé l’identificazione degli sprechi presenti nel processo di vendita (ricordi il 36%-64% che viene fuori dai dati salesforce?).

A questo va sicuramente aggiunta una revisione/impostazione organizzativa dell’intera forza vendita, dei suoi “rituali”, degli elementi che incentivano la collaborazione (compresi anche gli schemi retributivi ed i bonus).

La definizione del valore e la revisione organizzativa hanno reso il processo ripetibile e scalabile: il valore del prodotto è univocamente determinato e la struttura organizzativa è abbastanza solida da sostenere la ripetizione e la scalabilità del trasferimento di questo valore verso il cliente.

La comprensione del flusso del valore rende il processo ottimizzabile e l’ottimizzazione che ne deriva porta enormi vantaggi: l’equivalente di aumentare la forza vendite senza aggiungere risorse.

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Quanto sopra è un compendio della notevole mole di lavoro che questa trasformazione comporta ma i benefici che si raccolgono quando il processo è implementato correttamente sono enormi:

La ripetibilità del processo permetterà forecast più affidabili che a cascata avranno effetti positivi su operations, acquisti, amministrazione. In base ad uno studio Forrester oggi il 79% delle aziende sbaglia i propri forecast di almeno il 10%;

La scalabilità del processo getterà le basi per la crescita;

La possibilità di ottimizzare il processo renderà possibile implementare le logiche di miglioramento continuo rendendo l’azienda flessibile e pronta ad adeguarsi al cambiamento delle condizioni del mercato.

Se c’è un momento in cui tutto questo è importante, è proprio ora! Le nostre reti commerciali hanno bisogno di riprendere in mano il controllo dei risultati che generano!

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Marco Scarpellino
Catobi
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I agree with Heraclitus: “Nothing is permanent, but change” and learning something new every day (aka continuous improvement) is how I try to deal with change