Cybersquatting e Typosquatting

Il web e le sue insidie

Bisaccionibenedetta
Catobi
4 min readJul 16, 2021

--

→ catobistrategy.com

Con il termine Squatting si fa riferimento all’occupazione di terreni ed edifici abbandonati, la cui punibilità è prevista all’art. 633 C.p.

Il predetto concetto trova altresì applicazione nell’ambito della proprietà intellettuale e prende il nome di Cybersquatting, definito dal Ministero di Giustizia nei seguenti termini: trattasi di atto illegale di pirateria informatica, che consiste nell’appropriarsi del nome di un dominio già esistente per poi rivenderlo ad un prezzo molto più alto.

Si tratta di un fenomeno di accaparramento di nomi a dominio corrispondenti a marchi/nomi altrui, volto ad uno scopo di lucro: guadagnando rivendendo il dominio ad un interessato, ovvero, sfruttando la notorietà del segno distintivo altrui.

In altri termini, il Cybersquatting consiste nell’appropriazione indebita del dominio web relativo a personaggi famosi o marchi notori con l’effetto di creare intenzionalmente confusione nel consumatore e, al contempo, ledere l’immagine del titolare.

Il reato in esame, inoltre, può realizzarsi anche tramite la commercializzazione di un prodotto su un social: si pensi ad Istagram (sede accogliente per il mercato nero), in cui vengono utilizzati fraudolentemente gli hashtag di un brand famoso con lo scopo di indurre l’acquirente a comprare un bene contraffatto in luogo di un luxury good.

Forma peculiare del Cybersquatting, è il fenomeno del c.d. Typosquatting: una forma di crimine informatico che consiste nella registrazione di un domain name identico ad un marchio noto, ma contenente un refuso intenzionale. Caso emblematico è quello di Google nel 2006, quando i typosquatter hanno registrato il sito GOGGLE.COM per scopi di phishing (una particolare tipologia di truffa realizzata sulla rete Internet attraverso l’inganno degli utenti.

L’utente che commette, ad esempio un errore di battitura/ ortografia nel digitare indirizzo del sito di interesse, viene dirottato sul sito del Cybersquatting che può apparire — riproponendo il logo, la combinazione di colori e il layout della pagine — quello desiderato e senza che il soggetto se ne accorga. Parimenti, il sito web su cui è stato dirottato l’utente frettoloso guadagna dal traffico dati, la c.d. monetizzazione del traffico.

Solitamente, inoltre, si inseriscono nel dominio pubblicità o links da cui ricavare profitto nonché strumentali ad ipotesi di phishing e al fine di raccogliere credenziali di accesso e dati personali (si pensi, all’ipotesi in cui sia il sito di una banca ad essere oggetto di emulazione oppure di un sito falso di e- commerce prestigioso e l’utente effettua degli ordini).

Il predetto caso si avvale del metodo dell’imitazione, ma esistono ulteriori forme di realizzazione del reato: ad esempio, il sito web falso finge di creare sondaggi o omaggi, feedback, con lo scopo di ottenere informazioni o dati dell’utente per un eventuale furto di identità.

In sintesi, mentre il Cybersquatting mira ad ottenere guadagni facilmente a discapito dei grandi marchi autentici di importanti aziende — le quali, per proteggere i clienti, sono disposte a comprare con grosse cifre gli URL dai cybersquatter — il fenomeno del Typossquatting mira ad hackerare il computer dell’utente, rendendolo potenzialmente vittima di furto di identità o realizzando violazioni di sicurezza.

Sotto il profilo normativo, rileva, in primo luogo, l’art. 22 del Codice della proprietà intellettuale che vieta di adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio di un sito usato nell’attività economica o altro segno distintivo un segno uguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. In tal caso, il soggetto leso può o ricorrere all’autorità giudiziaria per ottenere la revoca, il trasferimento del dominio nonché prescrizioni inibitorie del comportamento; oppure — ma le due possibilità posso coesistere- avvalersi dei c.d. Alternative Dispute Risolution, nelle forme dell’arbitrato irrituale e della riassegnazione predisposta dalla Naming Authority Italiana per i domini .it o dall’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) in sede internazionale per i domini .com, . net e .org.

→ catobistrategy.com

Le ipotesi trattate, però, possono assumere rilevanza anche penale — tant’è che il Ministero di Giustizia le qualifica ufficialmente come condotte criminali — la cui inquadrabilità varia secondo le manifestazioni del fenomeno: in primo luogo, può sussumere il reato di contraffazione, online, previsto e punito ai sensi dell’art. 473 C.p.; il reato di truffa, ai sensi dell’art. 640 C.p., stante l’induzione in errore del consumatore che coopera con l’autore perché tratto in inganno circa l’autenticità del sito; ipotesi di sostituzione di persona, ai sensi dell’art. 494 C.p.

--

--