Facciamo abbonamenti, di continuo

Perché dobbiamo stare attenti ai costi del software in abbonamento

Camilla Bottin
Catobi
6 min readAug 31, 2021

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Perché è consigliabile un cambio di paradigma se non vogliamo che le licenze di software in abbonamento erodano silenziosamente il nostro budget.

Vi ricordate l’attaccamento alla “roba” dei personaggi di Verga? La proprietà veniva al di sopra di tutto.

Nel nostro caso, invece, è diverso. Alla proprietà ci stiamo disabituando. Noleggio, leasing, abbonamento… i termini sono molteplici, ma il significato è concorde: spesso ci troviamo a pagare un canone per servirci di prodotti. Non li possediamo, abbiamo solo il diritto di usarli per un lasso di tempo specifico.

Lo stesso vale per il software, che viene fornito tramite piani di abbonamento. Questo modello di licenza è tipico del SaaS (Software-as-a-Service), in cui le applicazioni sono ospitate sul cloud di un provider di terze parti e accessibili tramite internet in seguito al pagamento di un canone.

Vi sarà capitato di sicuro di trovare sul sito del vendor una pagina simile a quella sotto che riassume costi e funzionalità dei diversi piani di abbonamento.

Fino a pochi anni fa, l’unico modo per utilizzare software era comprarlo: acquistavi una licenza perpetua, che dà il diritto all’utilizzo del software per sempre e lo installavi sui server aziendali tramite un CD-ROM. Vi ricordate?

Ora i vendor offrono la possibilità di abbonamento anche per le applicazioni installate localmente per cui, con il tempo, la licenza perpetua potrebbe scomparire.

Perpetuo vs abbonamento: cosa cambia

Se ci fosse un match tra la licenza perpetua e l’abbonamento, la vittoria potrebbe andare all’abbonamento per i seguenti motivi:

un software non vive per sempre

Certamente garantirsi la proprietà di un software con un’unica soluzione “una tantum” può sembrare conveniente. Ma il software si evolve e la maggior parte di esso va End-of-Life (EoL), un termine oltre il quale il vendor non è più obbligato a fornire aggiornamenti, patch di sicurezza o supporto.

Usare un software che ha raggiunto la fine della sua vita e per cui non è più prevista manutenzione, può esporre l’azienda a seri rischi di sicurezza perché apre la porta ad attacchi o a problemi di efficienza, perché non più funzionante sull’hardware più recente.

Microsoft, ad esempio, quando parlava di rilasciare Office 2022 con licenza perpetua, aveva specificato che chi deciderà di installare il prodotto sui propri dispositivi, potrà beneficiare degli aggiornamenti fino al 2028.

Con un modello in abbonamento invece, gli aggiornamenti e le nuove features vengono rilasciati in tempo reale e sono inclusi nel canone, assicurando che non ci siano problemi di compatibilità o obsolescenza.

maggiore flessibilità

Con una licenza perpetua, il software va pagato in anticipo e così pure i contratti di supporto e manutenzione, in aggiunta alla licenza. Per le aziende con diversi dipendenti, il costo iniziale è significativo e sono necessarie spese in conto capitale (CapEx).

Con l’abbonamento, il pagamento può essere dilazionato (su base mensile, ad esempio) e i costi di aggiornamento e manutenzione sono già inclusi. Questo permette una migliore pianificazione, facendo rientrare i costi nelle spese operative (OpEx), valutabili di volta in volta.

Senza contare che ogni volta che un dipendente necessita di una suite di programmi, attivarla è facile e non richiede un complicato processo di approvazione.

meno vincoli

Se un software non è più necessario, si può interrompere la fornitura (sempre tenendo conto di quanto previsto dalle clausole del contratto) e orientare altrove la propria scelta, magari su altri strumenti più adatti alle proprie esigenze.

E quindi, va bene abbonarsi?

La risposta è sì. Ma ci sono delle ombre di cui le aziende non tengono conto.

Per chi non lo sapesse, c’è una pratica detta SAM (Software Asset Management) che si occupa della gestione e dell’ottimizzazione delle licenze software. Lo scopo è quello di assicurarsi che le licenze acquistate siano conformi con i termini di utilizzo previsti nel contratto di licenza. Gli audit da parte dei vendor di software, che effettuano delle verifiche con cadenza annuale, portano a gravi sanzioni nel caso che le aziende non siano in regola.

Senza contare poi tutti i rischi di sicurezza legati all’utilizzo di versioni non aggiornate del software. Di conseguenza, è indispensabile conoscere:

● i programmi in esecuzione (versione, OS, tipo di licenza ecc.)

● su quali hardware sono installati

● chi li sta usando

Ma nel caso del Software-as-a-Service e quindi del Cloud, andiamo incontro a spese impreviste che vanno ben oltre la semplice conformità.

Se i piani in abbonamento risolvono parte dei problemi di sicurezza e di compliance (gli aggiornamenti sono già inclusi), la difficoltà maggiore è legata al contenimento dei costi.

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Perché si paga di più?

Una buona pratica SAM (Software Asset Management) prevede la conoscenza e il controllo sul software in esecuzione.

Ma con il Cloud e i relativi piani di abbonamento entrano in gioco nuovi elementi. Vediamone alcuni:

chi fa da sé, fa per tre (anche per i costi)

Il fatto che per attivare un abbonamento basta andare sul portale del vendor e “strisciare” la carta di credito sta portando gli utenti dei vari dipartimenti aziendali a gestire in autonomia gli acquisti, senza passare necessariamente per l’IT.

Per eseguire il software, si utilizzano più o meno risorse computazionali. La mancata conoscenza porta a volte a sovradimensionamenti (più risorse di quello che servono davvero) e inutilizzi (hardware “virtuali” lasciati funzionanti anche quando non servono più, ma se c’è del software sopra si continua a pagare la licenza).

Queste voci compaiono a fine mese nelle fatture, ma è difficile attribuire i costi ai responsabili ed evitare sprechi nell’acquisto delle risorse su cui si “appoggia” il software.

abbiamo piani eccessivi o superflui

Come avrete di sicuro notato, ci sono più livelli di abbonamento a seconda delle applicazioni e delle funzionalità che si desidera attivare. Ad esempio, Microsoft 365 per le aziende (ne abbiamo parlato qui) in E5 arriva a offrire 25 applicazioni ed è più costoso rispetto ad altri piani.

Ma se un utente usa parzialmente le diverse applicazioni, stiamo pagando un livello di abbonamento superiore al suo reale utilizzo. Per risparmiare, bisognerebbe dimensionarlo.

Allo stesso tempo finiamo per spendere di più per licenze inutilizzate, perché non riassegnate dopo l’exit del dipendente. Il monitoraggio continuo degli utilizzi del software è indispensabile in entrambi i casi.

le infrastrutture aziendali sono estremamente complesse

Abbiamo software in esecuzione su infrastrutture ibride (datacenter locali e risorse “virtuali” ripartite su più cloud provider), per cui abbiamo a che fare con applicativi dello stesso tipo licenziati in maniera differente.

Fare previsioni sul consumo di risorse necessarie per eseguire il software, identificare gli inutilizzi, orientarsi tra più modelli e metriche di licensing è molto molto difficile.

Cosa possiamo fare?

Oggi più che mai abbiamo bisogno di SAM, inteso come controllo dei costi SaaS. Bisogna adottare pratiche e strumenti che consentano:

una visione d’insieme sulle licenze software e sulle risorse computazionali necessarie

La maggior parte degli strumenti di reporting, infatti, non integrano queste informazioni in un quadro completo. Consideriamo poi che ogni vendor SaaS ha le sue metriche…

politiche di approvvigionamento standardizzate

Visto che chiunque abbia una carta di credito, un’autorizzazione di spesa o spese varie imputabili a bilancio può rifornirsi in autonomia, bisogna creare un sistema che permetta un approvvigionamento “ottimizzato” che non vada però a discapito della flessibilità e della velocità richieste dagli utenti.

misurazione dell’utilizzo

Tracciare quali applicazioni vengono utilizzate dalle persone e capire se i relativi piani di abbonamento vanno ridimensionati, ampliati o riassegnati è la chiave di volta per evitare costi superflui.

Si tratta di un’evoluzione che le aziende non possono più ignorare, considerando il volume di software in abbonamento concesso in licenza ai dipendenti.

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Camilla Bottin
Catobi

Mi occupo di Marketing in WEGG, un’azienda di consulenza IT che disegna la tecnologia sulle esigenze delle persone per renderle più produttive e soddisfatte.