Francesco Vezzani
Catobi
Published in
7 min readSep 1, 2022

--

Il Web 3.0 senza mining o Bitcoin

Guida aggiornata all’utilizzo

In un momento storico come questo, in cui tecnologia e progresso tecnologico sono al centro dell’attenzione mediatica, le novità in materia sono ingrediente essenziale del minestrone d’informazione quotidiano. Quando la disponibilità di un’informazione è così elevata è facile cadere nella trappola dell’illusione del sapere, ovvero avere l’impressione di conoscere un tema più a fondo di quanto non lo si conosca realmente. Si tratta un bias, un errore del giudizio, molto popolare tra chi conduce ricerche in campo socio-psico-economico (per approfondimenti consiglio di seguire le pubblicazioni di D.Kahneman, noto premio Nobel per l’economia e punto di riferimento nello studio dei bias del giudizio), e probabilmente uno dei più diffusi nell’era dell’iper-connettività e delle flash news.

Al di là di questo piccolo excursus, accade quindi che della più importante novità di settore degli ultimi anni tutti sappiano qualcosa, ma pochissimi ne capiscano realmente, a scapito della qualità delle divulgazioni disponibili.

Sto parlando ovviamente del Metaverso, un concetto di cui sappiamo (sul serio) spaventosamente poco.

Oggi proverò ad offrirvi una visione un po’ più profonda e tangibile di questa innovazione, presentandovi degli esempi di applicazione concreta del Web 3.0 e proponendovi 3 regole fondamentali da seguire per poter applicare questa tecnologia al business.

Cos’è il web 3.0?

Il termine Web 3.0, spesso abbreviato a Web3, è un concetto vago che assume spesso significati molto diversi fra loro. In linea generale, possiamo dire che esso identifichi tutte le tecnologie di nuova generazione, nate dopo l’avvento dei social (Web 2.0) con lo scopo di invertire il paradigma del controllo sui dati: da server centralizzati che fungono da magazzini di stoccaggio delle informazioni a un sistema decentralizzato, in cui i “magazzini” tradizionali sono sostituiti da sistemi informatici indipendenti. Per sistemi informatici intendiamo sia le reti di telecomunicazione come internet o i circuiti di pagamento, sia le infrastrutture di archiviazione come i server (che ad oggi sono perlopiù proprietà aziendali).

Le famosissime Criptovalute sono quindi solo un aspetto del grande processo di decentralizzazione, così come la rete cellulare è un aspetto di internet.

Ma la decentralizzazione serve veramente?

E’ una delle domande più gettonate quando si parla di Web3, e ha una risposta che piace sicuramente agli economisti: dipende dai casi.

Siamo talmente abituati a sistemi centralizzati e processi decisionali top-down che quando si parla di decentralizzazione quasi aleggia lo spettro dell’anarchia, del caos. D’altronde la pazza volatilità delle Criptovalute e la tecnicità intrinseca del tema finiscono spesso con l’alimentare la tesi di chi vorrebbe non avere nulla a che fare con Metaversi e proprietà dei dati frammentata.

Pensiamo ad esempio al classico server aziendale: un super-computer connesso alla rete che fornisce spazio di archiviazione e potenza di calcolo a chi ci si connette tramite applicazioni o pagine web. Tutto ciò che ci passa attraverso è di proprietà del titolare del server, l’impresa, che ne possiede i dati e può decidere come utilizzarli.

La decentralizzazione di un sistema di questo tipo, oltre ad essere complicata tecnicamente, richiederebbe ingenti investimenti da parte dei privati (ad oggi il pubblico non ha competenze e risorse sufficienti per ipotizzare un investimento in questa direzione), i quali però non ne ricaverebbe vantaggi tangibili e immediati. Non avrebbero un prodotto da vendere, ma un sistema aperto capace di frammentare la proprietà dei dati che prima erano in mano al privato stesso. Capite bene che l’imprenditore sveglio non si farebbe problemi ad investire le sue risorse altrove.

Allo stesso tempo però, se il pubblico settore fosse in grado di sostenere investimenti di questo tipo potrebbe trarre grossi vantaggi, su tutti a livello sociale.

La ricerca universitaria negli ultimi anni ha dato vita ad un interessante protocollo condiviso e open source IPFS (InterPlanetary File System). Nato originariamente per trasmettere documenti fra università, si sta trasformando in una rete globale per la condivisione decentralizzata di file, dei quali si può conoscere l’origine tramite la blockchain su cui viaggiano. La strada è ancora lunga ma l’entusiasmo e il supporto da parte delle community di sviluppatori è notevole, ed è dunque probabile che presto o tardi il protocollo entrerà a far parte delle logiche di qualche business.

Seguendo lo stesso schema, per esempio, si può ipotizzare un tracciamento delle notizie tramite la loro blockchain. Le fonti di notizie poco affidabili non dovranno più essere verificate tramite agenzie di stampa e fonti di terze parti, che possono in taluni casi essere poco raccomandabili. Con il Web3 e la sua infrastruttura, il lettore stesso può essere in grado di verificare una notizia risalendo alla sua fonte.

Molti sostengono che la decentralizzazione ridurrà le fake news e le storie inventate, ma anche in questo caso la strada è lunga e siamo molto lontani dalla possibilità di raggiungere l’obiettivo a livello sistemico.

Il caso Pinata

Seppure queste tecnologie siano ancora in early stage, quindi difficilmente utilizzabili per ora dalla massa e dai non developers, è tuttavia importante avvicinarsi a questo mondo, conoscerne l’esistenza e capirne il funzionamento, affinché possano essere una risorsa chiave per le aziende e anche per startupper che vogliono portare nuove idee di cambiamento.

Un esempio è Pinata, il cui obiettivo è quello di costruire la piattaforma per NFT con maggiore accessibilità per i creators in termini di gestione, condivisione e monetizzazione dei loro media. È la principale company per la gestione dei media per i developers che stanno costruendo il futuro di Web3. In pratica, può essere categorizzata come un DropBox decentralizzato, permettendo di archiviare qualsiasi tipo di file, ma in maniera, appunto, completamente decentralizzata.

Il modello di business è basato su servizi che si differenziano a seconda dell’utente, targettizzati su misura a seconda degli specifici bisogni:

Free: per i creatori che stanno appena iniziando il loro viaggio in Web3 e vogliono sperimentare cosa significa memorizzare i loro contenuti su IPFS attraverso Pinata.

  • 20$/mese: per gli artisti o gli sviluppatori in ascesa con una nuova app o una collezione PFP che vuole portare il proprio lavoro davanti a un vasto pubblico, offrendo inoltre un’esperienza veloce e personalizzata.
  • 100$/mese: per i mercati in early stage, le app e i giochi Web3 più avanzati e gli sviluppatori che lavorano con una discreta quantità di dati da scalare senza preoccuparsi dell’infrastruttura
  • 1000$/mese: Per i brand, le aziende dei media e i costruttori Web3 che hanno bisogno di tutte le campane e fischietti e non possono permettersi di essere rallentati da processi in-house e ottenendo solo la metà dei benefici.

3 regole per fare impresa con web 3.0

Le tecnologie Web 3.0 possono aiutare a migliorare la trasparenza e la fiducia tra le aziende e i loro clienti creando un registro delle transazioni a prova di manomissione tramite blockchain. Con una visione in tempo reale della supply chain, i clienti possono vedere dove si trovano i loro prodotti in ogni fase del processo produttivo.

La natura distribuita del Web 3.0 significa che è sia più sicuro che più economico. Grazie alla decentralizzazione, i dati degli utenti non vengono archiviati in un unico posto, il che li rende meno vulnerabili ad attacchi o perdite. Poiché sono decentralizzate, le app Web 3.0 non richiedono server e data center costosi. Possono invece essere eseguiti su una rete di computer fornita dagli utenti finali.

Quindi, il modo in cui le aziende utilizzano i dati degli utenti cambierà e, poiché blockchain è al centro del Web 3.0, tutte le applicazioni web richiederanno un upgrade verso la blockchain per continuare ad esistere.

Tuttavia, bisogna tenere a mente delle regole, se si vuole intraprendere la strada del web 3.0 per il proprio business, per essere più efficienti sin dall’inizio:

1. Non è sempre il caso di usare Web 3.0

Teoricamente, qualsiasi applicazione web può essere costruita utilizzando lo stack Web 3. Bene, criptovalute, blockchain, decentralizzazione… suona tutto alla grande, ma conviene davvero convertire il vostro business in un’applicazione decentralizzata, cioè uguale a dare via le vostre risorse senza motivo. La decentralizzazione va usata dove serve, non bisogna seguire follemente la moda e spingere verso la decentralizzazione cose che non ha senso decentralizzare, al contrario si potrebbe capovolgere con effetto negativo. Ad esempio, un sistema di archiviazione password decentralizzato non ha senso di esistere perché la decentralizzazione porta ad avere i dati pubblici e distribuiti su tutta la rete di computer e quindi in questo caso le password sarebbero pubbliche e in giro per il mondo. Anche se venissero criptate comunque non sarebbero al sicuro perché per definizione le password non possono essere messe in luoghi pubblici. La tecnologia blockchain è potente e dalla grande prospettiva, ma ci vorrà tempo per trovare il suo miglior uso.

2. Lascia perdere le Cripto

Le criptovalute sono sì la principale fonte di pagamento di tutte le transazioni nella blockchain, ma il vero nocciolo della decentralizzazione sta nella tecnologia che permette di prendere un sistema centralizzato e convertirlo in un sistema libero e aperto. Di crypto ce ne sono fin troppe e fanno ormai parte del mercato finanziario, e come quest’ultimo, seguono logiche differenti da quelle tecnologice volando tra speculazioni, imbrogli e lupi.

3. Non preoccuparti della tecnologia

Essendo una tecnologia nuova è ancora in fase di sviluppo ma sta facendo progressi notevoli giorno dopo giorno, quindi non limitare la tua idea a quello che esiste adesso ma parti da ciò che esiste già per espanderlo e arricchirlo. ​​

--

--