Intervista a Flavia Brevi

Come comunicare correttamente temi sociali nel mondo del lavoro

Redazione | Catobi
Catobi
5 min readMay 31, 2021

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L’articolo si inserisce all’interno della collaborazione di partnership con WomenXImpact, l’evento internazionale più atteso dell’anno dedicato
all’empowerment femminile
che il 18, 19 e 20 novembre 2021, si svolgerà presso FICO Eataly World di Bologna e Online.

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Oggi vi presentiamo l’intervista che abbiamo condotto con Flavia Brevi, Fondatrice e Creativa di Hella Network, community che ha al centro l’inclusività.

Noi di Catobi crediamo molto nella forza delle community e ci uniamo al messaggio che vogliono lanciare. Ecco cosa abbiamo chiesto a Flavia.

  • In qualità di Founder di Hella Network, quale è stata (o quali sono stati, se più di uno) i fatti e le esperienze che ti hanno portato a dire “in Italia manca questo, ce n’è bisogno, lo faccio io?”

Sono sempre stata interessata al riflesso (che in alcuni casi si trasforma in riflusso) sociale della comunicazione pubblicitaria. Come tesi di laurea triennale avevo analizzato alcune campagne che paradossalmente trovavano maggiore eco grazie alle decisioni dello IAP di bloccarne la diffusione (e ricordo che menzionare Rocco Siffredi durante la discussione di laurea è servito a risvegliare l’attenzione della Commissione). Mi sono poi trovata a lavorare in un’agenzia che ha sempre prestato particolare attenzione all’abbattimento dei tabù e degli stereotipi, non a caso abbiamo trasformato il primo spot di uno shop online dedicato al piacere femminile in un messaggio femminista (“Vogliamo un mondo dove le donne non sono oggetti sessuali, ma possono averli tutti”, spot di MySecretCase ndr). Uno dei capi, Massimo Guastini, all’epoca in cui era Presidente dell’Art Directors Club nel 2014 aveva realizzato un’indagine insieme all’Alma Mater di Bologna e a Nielsen Italia dal titolo “Come la pubblicità racconta le donne e gli uomini in Italia” che aveva messo in luce come la rappresentazione delle donne fosse improntata principalmente sulla loro fisicità e disponibilità sessuale, mentre gli uomini erano l’emblema della professionalità e della competenza. Credo che tutti questi input mi abbiano portato alla domanda: cosa possiamo fare per rendere la comunicazione libera dagli stereotipi? Certo, il fatto che sempre più comunità stiano facendo pressione contro le pubblicità discriminatorie aiuta, ma chi più di noi, che ci lavoriamo dall’interno, può fare qualcosa? Soprattutto se ci uniamo, diventiamo una forza.

Ecco perché ho pensato che servisse un collettivo di professioniste della comunicazione. Ma certo sarebbe rimasta solo un’idea se non fosse stato per la partecipazione attiva e propositiva di centinaia di donne (attualmente il network conta 1800 professioniste) e anche per qualche alleato che ha aiutato il passaparola. Ho scoperto così che in moltissime sentivamo l’urgenza di creare un movimento, e penso che ci stiamo riuscendo. È grazie a loro se abbiamo un blog ricco di informazioni e notizie, se siamo riuscite a fare divulgazione in vari eventi (per ora solo digitali, ma presto anche dal vivo grazie a WomenXImpact) e cambiare il nostro mondo lavorativo.

  • Come si fa ad occuparsi di temi sociali legati al mondo del lavoro senza correre il rischio di polarizzarsi o di verticalizzarsi eccessivamente?

È difficilissimo e ammetto di cadere io stessa nella polarizzazione. Il confronto con le altre professioniste del network serve proprio a questo, ad aggiungere tridimensionalità al proprio punto di vista e ad afferrare meglio la complessità della comunicazione. Il che non significa che non ci possano essere pubblicità oggettivamente sessiste e sbagliate. Come diceva Bill Bernbach, “Tutti noi che per mestiere usiamo i mass media contribuiamo a forgiare la società. Possiamo renderla più volgare. Più triviale. O aiutarla a salire di un gradino.”.

Nel motto di Hella Network ci rifacciamo a quanto scritto dal famoso copywriter statunitense: “La comunicazione è figlia della società in cui nasce, ma può mostrarle come essere migliore”.

Insieme al confronto tra le partecipanti del network, è altrettanto importante che il network si confronti anche con altre realtà. Per questo abbiamo accolto con piacere l’audizione della Commissione Pari Opportunità del Comune di Torino per parlare di comunicazione libera dagli stereotipi in relazione ai grandi eventi della città. Da quell’incontro è nato il Protocollo Zero Stereotipi adottato dal Comune di Torino.

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Bisogna creare un ambiente consapevole di come il linguaggio possa impattare sulle altre persone. Con Hella Network abbiamo stilato una guida al sessismo nascosto nei luoghi di lavoro, ripresa da Vanity Fair e Ansa, per mettere in luce quei comportamenti che attuiamo in modo automatico e che esercitano un doppio standard discriminatorio per un gruppo sociale. Nel nostro caso, ci siamo concentrate sulla discriminazione di genere, come quando in riunione sono tutti “Dottori”, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno una laurea, mentre le donne sono “Signore” anche quando hanno il titolo di studio, e si dà per scontato che siano loro a portare il caffè, più che a prendere parola. Oppure quando si valuta un candidato con prole come una persona responsabile e affidabile, mentre la candidata con prole o incinta viene considerata un peso. Molte ci hanno testimoniato le differenti reazioni che hanno ricevuto al lavoro quando hanno annunciato la loro maternità (nei casi migliori, un silenzio imbarazzato), mentre per un uomo non è un problema comunicare che sta per diventare padre, anzi, è un’occasione di festa. Un altro esempio che abbiamo tratto da “Invisibili”, il libro di Caroline Criado-Perez, è come lo stesso comportamento viene interpretato diversamente se a esercitarlo è un uomo o una donna: da un’analisi svolta in varie aziende statunitensi del settore delle alte tecnologie, risulta che alle lavoratrici vengono più spesso rivolte critiche personali. A loro si consiglia di abbassare il tono e vengono giudicate “autoritarie, irritanti, stridule, aggressive, emotive e irrazionali”. Di tutti questi aggettivi, l’unico che compare nelle valutazioni dei dipendenti maschi è “aggressivo”, usato due volte “per esortare la persona in questione a esserlo di più”.

Abbiamo scritto la Guida proprio perché pensiamo che prendere consapevolezza degli atteggiamenti sessisti che tutte e tutti abbiamo (perché siamo state cresciute e cresciuti in una cultura sessista) sia il primo passo per cambiare. A questo punto possiamo procedere con l’azione, come intervenire quando assistiamo a un episodio sessista e parlarne con le persone direttamente coinvolte. Oppure dimostrare solidarietà a una collega rientrata dal congedo di maternità o ricordare al collega appena diventato padre che non c’è nulla di male se vuole prendersi più tempo per la famiglia.

Ovviamente il linguaggio non è tutto: è fondamentale che non ci siano discriminazioni a livello salariale e dovremmo porci delle domande se nei ruoli apicali ci sono solo uomini, soprattutto se la composizione degli altri livelli è prevalentemente femminile.

E queste diciamo che sono solo alcune delle pratiche base per evitare che il luogo di lavoro sia un ambiente escludente se non addirittura tossico. Poi si potrebbe fare di più che evitare le discriminazioni, ovvero porvi soluzioni concrete, per esempio dotandosi di un asilo aziendale o fornire i bagni di assorbenti nel caso di arrivo imprevisto di mestruazioni.

Ci auguriamo che presto il messaggio lanciato da Flavia possa condurre ad un vero cambiamento nel mondo del lavoro e non solo. La strada da fare è segnata. Resta a noi percorrerla.

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