La colpa è di tutti

Con una bibita gassata sarebbe tutto più facile

Gianluca Oberoffer
Catobi
5 min readSep 12, 2021

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→ catobistrategy.com

Certo, perché attorno a una bibita gassata non ci sono la storia, la tradizione, la filosofia, l’intelletto e lo spirito che si celano dietro a una bottiglia di buon vino italiano.

Italia, il bel Paese, anno 2021: il fatto che siamo mediamente un passo indietro nel processo di digitalizzazione non fa notizia, ma di certo è un aspetto che intacca ogni ambito, lavorativo e non.

Non mi riferisco solamente alla velocità della connessione internet, ai servizi offerti al cittadino, alle possibilità di lavoro da remoto: quello che manca, ancora, in Italia è il giusto approccio verso la tecnologia, verso i nuovi media e tutto ciò che hanno da offrire.

Ho avuto la fortuna di partecipare a uno speech di Cristian Forgione (consulente Web Marketing e fondatore di Digital Mood, ndr), circa un paio di anni fa — sì, quando ancora si facevano in presenza e non erano solo webinar — in cui ha detto una cosa emblematica:

“Il vostro smartphone è una semplice estensione del vostro arto.”

Questa semplice frase ci dice tantissime cose, e metaforicamente, ci fa capire che non abbiamo ancora compreso a pieno la potenzialità degli strumenti a nostra disposizione, ci dice che ancora oggi vediamo la tecnologia come un limite e non come una possibilità.

Questo, ovviamente, in un duplice aspetto: quello meramente legato alla strumentazione e il più importante e pericoloso, ossia quello legato alla concezione della stessa come limite “filosofico”.

Con questo articolo voglio mettere in luce alcuni di quelli che sono i limiti della comunicazione digitale del vino in Italia, che molto spesso nascono non tanto dalla fonte, ma da chi ascolta (o, meglio, dovrebbe ascoltare).

1. In Italia si ha una concezione del vino vecchia di 50 anni.

Lo si vede ovunque: al ristorante, in enoteca, ai corsi di formazione, in cantina, e, nella maggior parte dei casi, chi ti sta comunicando qualcosa sul vino, che sia la sua storia o la sua degustazione, lo fa nello stesso modo con cui lo si faceva anni fa.

Siamo rimasti legati a termini e tecnicismi che, seppur utili un tempo per comprendere i meccanismi del vino, nelle logiche di mercato e comunicazione oggi non funzionano più.

La formazione enologica e di sommellerie non ha saputo evolversi nel tempo, relegando la figura dell’enologo e del sommelier a un passato ormai passato.

Ma perché succede questo?

Una bibita gassata viene prodotta in serie, con una ricetta più o meno segreta, da un robot, in qualche stabilimento. Dietro a una bibita gassata manca la storia di una nazione, l’orgoglio di un vitigno autoctono simbolo di una regione d’Italia, il sapere collettivo di generazioni di vignaioli.

Comunicare una bibita gassata con i nuovi mezzi, con i nuovi approcci al mercato è molto più facile: non incontri nessuno pronto a crocifiggerti per non aver portato il giusto rispetto a una denominazione, a un produttore, alla storia.

Per il vino è molto più complicato: ogni giorno ci si imbatte in esperti, appassionati o semplici bevitori “del weekend” che non sanno slegarsi dalle schede degustazioni concepite decine di anni fa, dalla figura del sommelier pinguino che decanta — letteralmente e non — un vino con frasi fatte, che si rifiuta di avere in carta i vini con il tappo a vite perché poi all’apertura manca la poesia”.

Ecco, la poesia: quella che viene a mancare, per chi lavora nell’ambito della comunicazione digitale del vino, quando ci si imbatte in stereotipi del secolo scorso.

2. In Italia, e non solo, chi fa “comunicazione” è spesso additato come nullafacente.

Un problema che riguarda non solo il vino, ma tutti gli ambiti possibili e immaginabili, è proprio questo: chi comunica non fa nulla. O almeno, così è nella mente di tante, troppe persone.

Argomento subito: negli anni, per colpa di finti guru, finti geni del marketing e “professionisti” che si sentono arrivati e che passano la vita a insegnare ad altri “professionisti” come dovrebbero lavorare, abbiamo assistito alla progressiva stigmatizzazione di termini come “marketing”, “influencer”, “social media”.

Questo, ovviamente, mette in cattiva luce tutta la macchina comunicativa: chiunque provi a uscire leggermente dai canoni e dagli schemi, per differenziarsi, per alzare l’asticella, viene preso per “fuffaro”; se si aggiunge quanto esposto al punto precedente, il connubio non è per nulla roseo.

Ne va ovviamente dell’immagine di vini, cantine, consorzi, della percezione di ogni singolo elemento della filiera del vino in Italia, della serie “se ti affidi a chi fa marketing (o sei fai marketing), mi stai prendendo in giro”.

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3. In Italia, mediamente, la qualità della comunicazione digitale è bassissima.

Torniamo un po’ indietro, precisamente al concetto espresso da Cristian Forgione, ovvero che il nostro smartphone è una semplice estensione del nostro arto. Al giorno d’oggi possiamo fare affidamento su:

• strumentazioni pazzesche a prezzi contenuti: sia chiaro, l’ultimo modello dello smartphone prodotto dall’azienda che ha una mela come logo (solo per fare un esempio) non costa poco, ma vogliamo parlare della qualità offerta in rapporto al prezzo? Un rapporto che solo 20 anni fa era impensabile, oggi nel palmo delle nostre mani;

• un sapere collettivo e un patrimonio di informazioni incredibili spesso reso disponibile gratuitamente, online, o a prezzi davvero, davvero ridotti (cito Learnn come esempio, che meglio di tutti ha saputo in poco tempo democratizzare l’apprendimento digitale rendendolo fruibile quanto l’intrattenimento);

Come è possibile, allora, dover subire ancora oggi contenuti di qualità estremamente bassa?

Partendo dalle foto a definizione bassissima, passando per le caption stringate e banali (con i soliti termini del dopoguerra di cui sopra) che non danno nessun valore aggiunto, finendo con una gestione della community sommaria se non completamente assente.

Vivo questa cosa da entrambi i lati: come operatore (sono Social Media Manager di un’importante azienda nel panorama della vendita di vino online) e come utente: da amante del vino e della comunicazione, osservo da anni tutti gli attori di questa “opera” e, giorno dopo giorno, non riesco a trovare (quasi) nulla di emozionante.

In parole povere, trovo questo aspetto della comunicazione, in Italia, semplicemente inaccettabile e inconcepibile.

La vera sfida per dare slancio al tutto è duplice:

• da un lato, imparare a svecchiare il mondo del vino, del suo apprendimento e della sua fruizione, approfittando della creatività dei “giovani” (non solo d’età, ma di spirito) e sempre potendo contare su decine di anni di tradizione e qualità, lottando contro l’attitudine bigotta di tanti, troppi operatori;

• dall’altro, invertire la tendenza e far comprendere agli utenti che un influencer non è il male assoluto, che il marketing è vita e che dovremmo fidarci e sfruttare di più degli strumenti e dei mezzi a nostra disposizione.

Dobbiamo farcela.

Altrimenti, non ci resta che dedicarci alle bibite gassate.

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Gianluca Oberoffer
Catobi
Writer for

Social Media Manager and Wine Lecturer @ Tannico SpA. In love with Wine, Coffee, Graphics and Digital Stuff.