Outsourcing o internalizzazione in materia di advertising?

Come un tram killer potrebbe aiutare un manager a decidere

Redazione | Catobi
Catobi
5 min readJan 12, 2023

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Bella domanda, ma partiamo da un problema ben più a monte.

Un tram sta arrivando a tutta velocità verso cinque persone legate sui binari. Tu sei spettatore della scena, ma hai una possibilità per salvare i malcapitati. Uno scambio ferroviario, ti permetterebbe di deviare il tram verso un altro binario. Tuttavia il fato vuole che sull’altro binario vi sia un’altra persona, stavolta da sola, legata alle traverse. Cosa faresti? Salvi i cinque o il singolo?

Di cosa stiamo parlando vi chiederete. Di decisioni che non è possibile prendere con un approccio realmente data driven.

Nel dilemma di sopra si dovrebbe operare secondo un principio di logica decisionale anche detto dottrina del duplice effetto. Trattasi di una semplice regola di ragionamento dal punto di vista morale negli algoritmi decisionali, secondo la quale è lecita un’azione da cui derivano sia effetti negativi sia effetti positivi, a patto che la finalità dell’azione stessa siano solo gli effetti positivi. Volendo banalizzare: “il fine giustifica i mezzi”.

Sembra una cosa semplice, ma grazie a questo modus operandi si sono prese decisioni in ambito scientifico, politico e bellico che hanno messo a rischio la vita di milioni di persone. Paradossalmente, però, non esiste metodo migliore in ambito decisionale quando non si hanno dati oggettivi a supporto di una o dell’altra scelta.

Tuttavia, non siamo qui per decidere un’operazione bellica (o quasi). Dobbiamo capire se ha senso rivolgersi ad un consulente esterno o un’agenzia per il proprio advertising.

Applichiamolo al nostro problema, modificando qualche addendo: il nostro tram è la necessità di fare un’operazione di marketing per veicolare prodotti/servizi, i nostri uomini legati saranno le nostre valutazioni costi-benefici nel rivolgerci a esterni oppure gestire tutto internamente.

Come anche nel dilemma originale, il più grande limite resta sempre la non prevedibilità degli eventi futuri. Come il nostro eroe non può sapere se salvando questo o quell’altro, abbia lasciato a piede libero il futuro Adolf Hitler oppure il prossimo Mahatma Gandhi, noi non sapremo mai con certezza se scegliendo un’agenzia abbiamo in realtà sprecato un’occasione oppure trovato qualcuno capace di farci scalare alla velocità della luce.

Qui interviene un approccio che dovrebbe guidare un’azienda nelle fasi early stage o qualora volesse fare un investimento di crescita: data inform driven. Sarebbe a dire valutazione dello storico per la stesura di scenari futuri oppure acquisto/rilevazione di dati da fonti esterne. Per stabilire quanto e come investire in media è necessario leggere i dati ed elaborare insight, suddividendo i canali di acquisizione del traffico in categorie, solitamente: paid social, paid search, organic social, organic search, referral, direct.

Ognuna di queste categorie rappresenta le nostre porte di comunicazione tra azienda e mercato, va valutata per volume di utenti portati, qualità delle visite, tasso di conversione, grado di retention (tramite cohort analysis o LTV).

Fatta questa operazione, potremmo conoscere quei valori di benchmark (costi per click, costi per impression, costi per conversione) per il nostro advertising, capaci di prevedere i plausibili benefici di un’attività di performance marketing (o anche di lavoro sull’organico lato SEO, qualora venisse fuori porta maggiori risultati). Quei benefici vanno a questo punto confrontati con i costi nel periodo di riferimento delle nostre due possibilità: internalizzazione o agenzia.

E se non abbiamo dati dallo storico? Semplice, si acquistano da società esterne, oppure si utilizzano strumenti a pagamento come SemRush, AdBench. Volendo essere davvero low cost, si potrebbe anche usare Google Planner o l’annuale Digital Marketing Benchmark Report di Adobe (ma sarebbe a dire alzare il rischio di errore delle proprie valutazioni alle stelle).

Siamo finalmente alla soluzione del nostro dilemma. Ecco gli scenari:

- Agenzia esterna: i costi di un’agenzia sommati ai costi dell’investimento media sarebbero inferiori del 10% del totale dei ricavi possibili da un’attività di performance marketing, o comunque corrispondenti a una cifra inferiore rispetto al budget marketing disponibile dell’azienda.

- Internalizzazione: come sopra, ma considerando che ad essere inferiore del tetto prestabilito ci sia un’assunzione o più assunzioni di membri interni.

- Parità positiva: entrambe le soluzioni sono potenzialmente profittevoli. In questo caso entrano in gioco grado di controllo che vuole la company sulle attività pubblicitarie e la durata dell’investimento. Per breve-medio termine conviene tendenzialmente un’agenzia esterna per abbassare l’impatto di rischi di insuccesso, per medio-lungo termine si può optare per l’internalizzazione di figure in ottica di crescita su più anni.

- Parità negativa: entrambe le soluzioni non creano alcun profitto potenziale perché costerebbero troppo rispetto al profitto potenziale. Caso tipico in cui vi è un problema del business a monte inerente lo studio del potenziale di mercato e la scalabilità possibile. Sarebbe necessario fare qualche step back nella pianificazione di crescita e capire quali potrebbero essere soluzioni laterali di crescita, magari intervenendo anche sulla strategia aziendale o sul prodotto/servizio per renderlo maggiormente scalabile. Qualora non fosse possibile fare diversamente, in questi casi sarebbe ideale propendere verso un’agenzia per ridurre i rischi di perdita economica e mantenere l’investimento media sui costi variabili o sui costi fissi di un periodo breve, in modo da valutare frequentemente la profittabilità dell’attività dal suo ROI.

Quindi tornando al nostro tram, chi abbiamo scelto di fare fuori? In teoria, abbiamo scelto il minore dei mali possibili, ovvero abbiamo abbassato la leva dello scambio facendo investire il singolo individuo e salvando i cinque. In termini di decisione aziendale, abbiamo deciso di non sacrificare troppo budget per il nostro need, ma abbiamo spinto verso il saving. Ma sarà stata davvero la scelta più giusta? Se tra i cinque vi fosse davvero il futuro Hitler? Oppure bastava pensare out of the box e gridare qualcosa al conducente del tram per fermarlo? E se il nostro investimento sull’agenzia si dovesse rivelare un buco nell’acqua perché sono degli incompetenti? Oppure bastava fare una campagna irriverente per diventare virali e spendere un decimo del preventivato?

Sui “se” si costruiscono solo illusioni, di cui siamo ghiotti, ma che spesso lasciano a stomaco vuoto.

In decisioni di questo tipo, la logica-matematica è il punto di partenza. Anche perché — scrollandoci di dosso il pregiudizio per cui sia un approccio freddo — anche dai numeri potrebbero emergere idee divergenti.

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