Moda e digitalizzazione

Se dal fashion scivolo al green

Simona Frignani
Catobi
4 min readJan 27, 2021

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Il settore fashion ha visto un uso importante del digitale negli ultimi mesi, dovuto soprattutto alla migrazione delle sfilate dal “fisico” al virtuale, o al misto, come avvenuto a settembre a Milano. Il COVID19 ha spinto quasi tutti gli stilisti e le stiliste a portare su piattaforma le sfilate. L’esigenza di sicurezza si è trasformata in una spinta creativa soprattutto per i giovani e quasi certamente la moda non tornerà totalmente indietro, anche a pandemia finita.

Un peso molto forte lo giocano le esigenze sempre più sentite di inquinare meno e andare in streaming senza per forza volare da un capo all'altro del mondo per seguire i fashion show rappresenta un’ opzione green sempre più importante.

Il digitale sta anche aiutando il sistema fashion ad essere meno inquinante in molti altri modi. Innanzi tutto la moda ha bisogno di produrre molti bozzetti prima di arrivare al prodotto finale. Una volta lo si faceva a mano, oggi è tutto digitalizzato e questo permette di saltare molti steps, essere rapidi. Ciò è fondamentale al contempo per restare nei tempi strettissimi di un mercato sempre più rapido, ma anche impattare meno l’ambiente, e, soprattutto, spendere meno.

Il mondo della produzione tessile in generale è da sempre uno dei più inquinanti. Si pensi alle tintorie e concerie medievali: chi vi lavorava era condannato a malattia precoce e certa, così come spesso ora avviene nella produzione dei nostri vestiti nei distretti poveri del terzo mondo. Quanti hanno idea di quali processi ci sono dietro ad un jeans délavé da 200€?

Alcune lavorazioni sono oramai quasi solo ad appannaggio dei paesi in via di sviluppo perché le sostanze usate sono altamente cancerogene. Se si pensa a questo ecco che poter riciclare i tessuti, fare meno capi prova prima di arrivare al modello finale e tracciare i passaggi con attenzione sia importante per tagliare i costi, ma anche per avere prodotti meno impattanti sul pianeta, più green ed a volte per far rientrare alcune produzioni in Europa e in Italia.

Green e taglio dei costi sono oggi due imperativi che hanno tutte le case produttrici moda. Con la pandemia anche accorciare i passaggi e tagliare i trasporti è diventato altrettanto importante: gli spostamenti aerei sono limitati, non ci si può muovere liberamente come prima ed avere una produzione “sotto casa” diventa comodo ed etico, perché riporta il lavoro laddove presto mancherà, in Europa.

Questo salto è permesso anche da quelli che si chiamano tecnicamente tag RFID e sono sensori, ovvero dispositivi che ci consentono di “misurare la realtà”, offrire tutta una serie di benefici come l’ottimizzazione delle procedure logistiche, il controllo della catena di distribuzione, e quindi anche una protezione del marchio dal mercato del falso, fino al miglioramento dell’esperienza di acquisto del cliente nel negozio. Disseminati nei vari passaggi della filiera produttiva, i sensori hanno iniziato a proliferare nel settore Fashion ormai da diversi anni grazie anche e soprattutto alle tecnologie disponibili, alla pervasività della rete telematica ed infine alla loro diffusione oramai globalizzata e massiva.

Ma cosa sono? La RFID (acronimo di radio frequency identification) è una tecnologia con identificazione a radiofrequenza, ovvero è in grado di memorizzare in maniera autonoma dati e informazioni su persone e oggetti reali, utilizzando gli RFID (etichette elettroniche che si inseriscono nell'oggetto, persona, ecc.) e degli apparati fissi o portatili chiamati reader, che leggono appunto i dati presenti negli RFID e poi li salvano automaticamente in memoria.

L’RFID non è l’ultima novità dal punto di vista tecnologico: pare che risalga addirittura alla Seconda Guerra Mondiale, quando veniva utilizzata per dare l’allarme all'avvicinarsi degli aerei nemici. Rimane un sistema estremamente efficace per memorizzare le informazioni in formato digitale.

La facilità di uso, e quindi la diffusione, dei tag RFID è data dalla loro leggerezza e dal fatto che sono talmente piccoli da ricaricarsi anche tramite l’energia cinetica. Per spiegarla facile: indossando un maglione che ha su un TAG RFID lo ricarico.

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Come dice la parola stessa, quindi, l’RFID serve per tenere sotto controllo. Con questa tecnologia è possibile, ad esempio, tenere traccia di tutte le merci che escono da un magazzino, se correttamente etichettate. Uno degli ambiti applicativi principali oggi per l’RFID è dunque la gestione magazzino e la logistica. L’etichetta RFID è un dispositivo che solitamente viene sfruttato con grande frequenza e che permette di tenere monitorate le risorse di magazzino, consentendone quindi la gestione.

Un aiuto alla diffusione dell’utilizzo di questa tecnologia deriva anche dal netto calo della resistenza verso i sistemi di identificazione automatica da parte dei consumatori, che anzi trovano sempre più utili e vantaggiosi i servizi offerti in cambio, come il miglioramento della shopping experience, la personalizzazione del prodotto e la disponibilità delle informazioni in modalità multimediale attraverso smartphone e dispositivi mobili di ultima generazione.

Ma veniamo alla moda, ossia cosa c’entra tutto questo con il fashion?

Le aziende di moda stanno ottimizzando le proprie attività utilizzando i tag RFID per:

● Contrastare la contraffazione dei prodotti

● Migliorare l’esperienza d’acquisto in negozio

● Tenere sotto controllo le scorte di magazzino e velocizzare il riapprovvigionamento

● Tenere traccia dei campioni

● Organizzare eventi

So che parlare di eventi fisici ed in presenza di questi tempi pare strano, ma torneremo a ricevere inviti magari cartacei e spesso all’interno di questi inviti ci sarà un adesivo contenente un RFID, che dirà quando l’ospite è arrivato e quando è partito, dandone traccia sul cellulare dell’organizzatore.

Lo sviluppo di questa tecnologia è ancora in larga parte da scrivere e, per questo, si sta espandendo a macchia d’olio. Sono sicura che in sei mesi potrò scrivere un nuovo articolo per raccontare altri usi interessanti degli RFID.

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Simona Frignani
Catobi
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