Andrés Sepúlveda, l’hacker che sostiene di aver truccato le elezioni di mezza America Latina

Clara Attene
Cavalli (vapore) e segugi (giornalistici)
4 min readDec 30, 2016

Pubblicato sul Venerdì di Repubblica del 3 giugno 2016.
Questa è la storia più interessante che ho scritto quest’anno.

Nicaragua, Panama, Honduras, El Salvador, Colombia, Messico, Costa Rica, Guatemala e Venezuela. Nove Stati, altrettante campagne elettorali truccate, con ogni mezzo informatico disponibile: virus, finti account Twitter, mail bombing di propaganda, software in grado di registrare conversazioni telefoniche e scambi di messaggi. Dietro a tutto, un programmatore colombiano di 31 anni, Andrés Sepúlveda, oggi in carcere in regime di massima sicurezza nel suo Paese, condannato a dieci anni per spionaggio e pirateria informatica per aver tentato di hackerare le elezioni presidenziali del 2014.

La storia di Sepúlveda, raccontata da Bloomberg Businessweek, comincia a Bogotà nel 2005 quando, l’informatico, allora ventenne, incontra per caso nella sede della campagna elettorale di Alvaro Uribe, Juan José Rendón, un consulente politico, noto come il “Karl Rove” dell’America Latina, di origini venezuelane, ma residente a Miami, in Florida.
Sepúlveda, che aveva accompagnato il fratello maggiore che lavorava per lo staff del presidente colombiano all’epoca in corsa per la rielezione alla presidenza, “per gioco” scansiona la rete dell’ufficio, si intrufola nel computer di Rendón e scarica l’agenda degli impegni elettorali di Uribe, facendo infuriare lo spin doctor. Sbollita la rabbia, Rendón decide di arruolarlo, incaricandolo di violare il sito di un politico avversario, rubare la mailing list e inviare agli indirizzi una serie di email di disinformazione. Compenso: 15mila dollari per un mese di lavoro, cinque volte lo stipendio di Sepúlveda come sviluppatore di siti web.

Comincia così un sodalizio degno di una spy story che, secondo Sepúlveda, porta i due a lavorare nel più fosco “dietro le quinte” delle campagne di Porfirio Lobo Sosa nel 2009 in Honduras, di Enrique Peña Nieto in Messico nel 2012, di Johnny Araya in Costa Rica nel 2014, di Juan Carlos Navarro a Panama nello stesso anno. O ancora a tentare di contrastare il cammino di Daniel Ortega in Nicaragua nel 2011, di Hugo Chávez nel 2012 e del suo successore Nicolás Maduro nel 2013 in Venezuela. Sì, perché Sepúlveda, testimone da bambino delle violenze della guerriglia marxista in Colombia, non fa mistero della sua volontà di sostenere con i propri mezzi, non esattamente ortodossi, i candidati di destra.

Per loro crea, tra i vari trucchetti, Social Media Predator, un software scritto per controllare in un colpo solo centinai di finti account Twitter, creando un autentico esercito di immaginari supporter a disposizione del politico di turno. Per ogni campagna, Sepúlveda mette insieme una squadra composta da sette a 15 hacker di diversa nazionalità. Secondo il programmatore, infatti, i brasiliani sono i migliori nel creare malaware, cioè software in grado di accedere a sistemi informatici altrui e rubare informazioni, mentre venezuelani ed ecuadoriani sono imbattibili nell’identificare falle e punti deboli di sistemi e applicativi e gli argentini sono “artisti” delle intercettazioni. I messicani, invece, li arruola solo in caso di emergenza: sono bravi, ma chiacchierano troppo.
La notte delle elezioni, però, Sepúlveda la trascorre da solo, lontano dal quartier generale, in una camera d’albergo o in un anonimo appartamento in affitto. Lì, non appena il risultato è definitivo, smagnetizza hard disk e cellulari nel microonde prima di distruggerli a martellate, fa a pezzi documenti e appunti prima di buttarli nello scarico del bagno, cancella i server acquistati anonimamente con bitcoin in Russia e Ucraina per eliminare ogni traccia.

Il sodalizio tra il geniale informatico e il suo “mentore” Rendón, che oggi nega tutto sostenendo di averlo assunto solo per creare siti web, dopo aver toccato l’apice con la campagna elettorale di Enrique Peña Nieto 2012, che sarebbe valsa a Sepúlveda un compenso di 600mila dollari in contanti, si incrina nello stesso anno quando lo spin doctor gli avrebbe chiesto di lavorare per Juan Manuel Santos, presidente colombiano successore di Uribe.
Santos ha annunciato di voler riaprire i colloqui di pace con le Farc, suscitando l’ira di Uribe, il cui padre era stato ucciso dai guerriglieri, che decide di creare un nuovo partito e sostenere un candidato alla presidenza alternativo, Oscar Iván Zuluaga. Sepúlveda si schiera con loro: per lui, l’ideologia viene prima del denaro e considera la scelta di Rendón un tradimento.
Forse il coinvolgimento ideale, forse il fatto di essersi messo contro il partito al potere, la scelta costa cara a Sepúlveda. Poco tempo dopo l’inizio della campagna elettorale, 40 agenti delle forze speciali fanno irruzione nel suo ufficio e lo arrestano. Da allora, dopo la condanna a dieci anni per spionaggio e pirateria, comincia la sua vita da sorvegliato speciale: appena giunto in prigione, le guardie lo salvano da due aggressioni mortali. Per sottrarlo al pericolo, ora sconta la pena nascosto in un edificio di massima sicurezza a Bogotà, dormendo sotto una coperta antiproiettile.

Tuttavia Sepúlveda non sembra avere grossi rimorsi rispetto al passato: “Ho sempre detto che ci sono due tipi di politica — afferma — quella che le persone vedono e quella che fa realmente accadere le cose. Io lavoravo per quella parte che non si vede”.
Nel frattempo, l’informatico ha iniziato a collaborare con le autorità che indagano sui metodi della campagna elettorale di Zuluaga. Come parte dell’accordo, Sepúlveda avrebbe anche la possibilità di utilizzare un computer, dettaglio non confermato dagli investigatori colombiani, e per dimostrare la sua volontà di “redenzione” avrebbe creato una versione adattata di Social Media Predator per combattere i cartelli della droga e una che monitora gli account che fanno reclutamento per lo Stato islamico, grazie alla quale — dice — vorrebbe condividere le informazioni con gli Stati Uniti e gli altri Paesi che combattono il terrorismo islamico.
Anche da dietro le sbarre, le vie occulte dell’informatico di Bogotà restano, all’apparenza, infinite.

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Clara Attene
Cavalli (vapore) e segugi (giornalistici)

Human being. Keen on psychology, talks about inspiring experiences and realisations that make life better. Known also as a (data)journalist.