Io, Cavalli&Segugi e l’intervista a Hilary Swank
Premessa: questa pubblicazione nasce con l’idea di mettere insieme alcuni dei pezzi scritti per le testate con cui ho avuto/ho/avrò modo di lavorare negli anni in Italia e all’estero.
Spoiler: tanti sono quelli usciti sulle pagine di esteri del Venerdì di Repubblica per “onorare” la mia passione per quel che succede fuori dai confini dell’Italia.Qui comincio da un’intervista fatta a Hilary Swank nel 2009 quando, in quella che è stata finora la mia unica incursione nel mondo del giornalismo cinematografico, mi ritrovai in un hotel londinese in una situazione del tutto simile a quella di Hugh Grant quando in “Notting Hill” diventa “giornalista” della testata Cavalli&Segugi (che in Gran Bretagna esiste davvero e da cui prende spunto il titolo di questa pubblicazione). Con la differenza che io non avevo dietro i fiori da regalare all’attrice.
Volo «for the fun of it», per il gusto di farlo: era la risposta che Amelia Earhart, pioniera dell’aviazione americana degli anni ’30, dava a chi le chiedeva perché sfidasse la sorte, sorvolando oceani e inanellando record, in un’epoca in cui volare era considerato uno sport estremo.
Per lo stesso motivo, per passione, Hilary Swank, che la interpreta nel biopic Amelia, in uscita nelle sale italiane mercoledì, ha scelto ancora una volta un ruolo che l’ha costretta a una convincente trasformazione fisica, dopo quelli premiati con due Oscar come migliore attrice per Boys don’t cry e Million Dollar Baby.
Di nuovo, però, anche senza un “lieto fine” dato che la Earhart, considerata un’icona del femminismo e un simbolo di ottimismo nell’America della Grande depressione, scomparve nel 1937 mentre insieme al navigatore Fred Noonan tentava la circumnavigazione del globo. Né l’aereo, svanito nei pressi di Howland Island, un atollo disabitato nel Pacifico, né i corpi sono mai stati ritrovati.
Oltre ai suoi record come pilota — ad esempio la traversata dell’Atlantico come passeggera nel 1928 che le regalò la celebrità o nel 1932 la trasvolata in solitaria che fece di lei la prima donna a compiere la stessa impresa di Charles Lindbergh, guadagnandosi il soprannome di “Lady Lindy” — Amelia fu anche uno dei primi fenomeni mediatici, grazie al marito George Palmer Putnam, interpretato da Richard Gere.
Editore, autore ed esploratore, Putnam fu a sua volta il prototipo di agente, artefice prima del successo letterario di Amelia, che scrisse tre libri sulle sue imprese, e poi gestendone le uscite pubbliche, le apparizioni pubblicitarie e il merchandising, dato che “Lady Lindy” firmò persino una linea di abbigliamento.
«Amelia Earhart è un mito mondiale, non solo americano» dice Hilary Swank, golfino rosso e sorriso disarmante, sprofondata tra i cuscini di un divano del Soho Hotel a Londra. «Fu una grande aviatrice e una scrittrice prolifica, ma si occupò anche di cause umanitarie, sostenne l’emancipazione delle donne, era umile e grandiosa al stesso tempo».
Come si è preparata per interpretarla?
«A parte il look, ho dovuto prendere lezioni di volo ed è stato fantastico, anche se ancora non posso pilotare da sola».
In cosa assomiglia ad Amelia e in cosa invece si sente diversa?
«Siamo entrambe persone determinate nel seguire le nostre passioni e anch’io sono un tipo avventuroso. Al contrario, non sono così brava a mettere su carta quello che sento. Non ho nemmeno l’educazione scolastica che lei aveva e… il brevetto da pilota, per ora almeno» (sorride con aria di sfida, ndr).
La Earhart fu un personaggio molto moderno per il suo tempo, ma il film in alcuni momenti dà l’impressione che tutto sia stato facile per lei.
«Be’, i fatti si svolsero proprio così. Ad esempio, quando Amelia incontrò per la prima volta George Putnam era una sconosciuta, ma era il tipo di persona che lui cercava: avventurosa e impegnata nel sociale. Il suo primo volo sull’Atlantico fu organizzato con un intento pubblicitario, relegandola a semplice passeggera. In quegli anni non era previsto che lei potesse essere molto più di questo, ma penso che il suo desiderio di volare le abbia permesso di andare oltre. Per me, la fortuna è quando la preparazione incontra l’occasione e Amelia era preparata quando è arrivato il momento giusto. In un film, poi, c’è sempre il problema di concentrare molti dettagli in poco spazio».
Sulla sua scomparsa sono state fatte molte ipotesi: lei ne ha una?
«Credo semplicemente che finì il carburante. L’aereo che pilotava, l’Electra, non era facile da gestire: era enorme e non aveva controlli elettronici. Per quel che ho imparato, penso che un calcolo sbagliato riguardo alla direzione del vento o un suo mutamento imprevisto abbia provocato un cambiamento di rotta che, dovendo atterare su un isolotto in mezzo al Pacifico, è stato fatale».
Come è stato essere diretta da Mira Nair, nota soprattutto per film con tematiche indiane come Salaam Bombay! o Monsoon Wedding?
«È stata la combinazione perfetta: una donna di talento che dirige un film su una donna altrettanto dotata. Mira è una persona che non chiede scusa per la sua forza e sul set ha dimostrato di essere un vero leader».
E con i suoi partner maschili?
«Un’esperienza indimenticabile, non solo nell’aspetto lavorativo. Richard Gere è uno che parla con il cuore in mano, proprio come credo fosse il vero Putnam, e Ewan McGregor (nei panni di Gene Vidal, amante di Amelia e padre dello scrittore Gore, ndr) è riuscito a dare al suo personaggio quelle sfumature che lo rendono l’esatto opposto di Putnam, ma che credo lo rendevano simile ad Amelia e furono alla base della loro attrazione».
Ci racconta qualcosa dei prossimi due film a cui sta lavorando?
«Betty Anne Waters è un’altra storia vera, potrei definirla una storia sull’amore che lega un fratello e una sorella. Lei, tutt’ora in vita, riprese a studiare legge per dimostrare l’innocenza del fratello condannato ingiustamente all’ergastolo. The Resident, invece, è un thriller psicologico, la cui una storia ruota intorno a due personaggi: una dottoressa che vive a New York e il suo inquietante padrone di casa».
E riguardo alla sua casa di produzione, la 2SFilm? Quando smetterà di recitare, sarà questa la prosecuzione della sua carriera?
«Mah…in realtà sto già portando avanti questo lavoro, mentre continuo a fare l’attrice. Lo faccio perchè mi piace raccontare storie e ce ne sono davvero tante che meritano di essere raccontate».
Questa intervista è stata pubblicata sul Venerdì di Repubblica il 18 dicembre 2009.