Le Figurine sono il primo grande Social Network

Di come l’algoritmo della Silicon Valley sia in realtà nato a Modena, 60 anni fa.

Stefano Panini
celomanca
7 min readFeb 16, 2022

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Ho due grandi problemi: il primo è la costanza, il secondo è il fatto che mi scordo le cose. Sono affetto da FOMO di cosedasapere (e questo è OK), il problema è che di queste cose ne ricordo, se va bene, la metà della metà. Quindi ieri ho pagato la “palestra” (5$ / mese di abbonamento a Medium) con l’impegno di scrivere almeno 30 figurine in un anno a tema media, futuro e cultura digitale. Non so perché 30, ma mi sembra un numero professionale.

La domanda che mi hanno fatto più spesso nella vita è stata “ma sei quello delle figurine?”, da oggi potrò dire . A proposito di figurine, il tema della seconda figurina di CELOMANCA sono proprio le figu e il perché il “celo, manca” sia l’antesignano di “tik, tok”.

In una figurina:

L’attesa del piacere è essa stessa il piacere. Ecco spiegata la logica del successo delle figurine Panini, la cui randomicità — il mix di figu che trovo nella bustina e non la figurina in sé — ha permesso ai fratelli Panini di diventare i nostri Disney. Questa meccanica di attesa-ricompensa tipica delle slot machine è oggi la causa principale della social-addiction di cui siamo affetti.

Tutto il pacchetto:

Qualche mese fa ho letto uno di quei libri con le pagine gialle by design: sa di vecchio anche se racconta una bellissima storia proiettata al futuro. Il libro ha evidentemente un titolo clickbait per uno con il mio cognome: Panini, Storia di una famiglia e di tante figurine. La storia è una di quelle storie che raccontano l’Italia migliore del dopoguerra: fatica e genio. La cosa che mi è rimasta più impressa è senza dubbio il segreto del successo delle figurine: la bustina, non la figurina. La casualità, l’imprevedibilità nello sbustare (che oggi chiameremo unboxing).

“Buste a sorpresa”

Il progetto delle “buste a sorpresa” è tutto merito di Olga, mamma dei Panini, che aveva da poco aperto un’edicola in centro a Modena. Gli anni 50 erano gli anni di Tex Willer, Blek Macigno e Capitan Miki, fumetti ritenuti non solo diseducativi ma anche nocivi per la salute mentale degli adolescenti. È a questo clima che siamo debitori della leggenda Panini. Perché a Olga venne l’idea di tradurre in vantaggio commerciale le ossessioni dei censori. La famiglia Panini si mise a riciclare i fumetti rimasti invenduti e quindi destinati al reso mixandone tre o quattro in buste a sorpresa anonime. L’acquirente non poteva sapere cosa avrebbe trovato all’interno. Era una proposta accattivante, che metteva insieme il piacere della scoperta e il brivido della trasgressione. BUSTINA IS THE ANSWER! I Panini, da lì, imbustarono di tutto (francobolli, immagini di piante…) prima di arrivare ai calciatori. Un’altra grande intuizione che coglieva i limiti dell’epoca: tutti amavano il calcio, ma la televisione era un lusso per pochi e nessuno conosceva le facce dei loro idoli. Il progetto figurine si infilava proprio in questo market space, direbbero oggi i Sandwiches dalla Silicon Valley.

La famiglia Panini al completo e Olga — anni 60

Ma torniamo alla randomicità, la grande intuizione dei Panini. Per imbustare, negli anni 60, ci si affidava a un potente algoritmo programmato per mixare le figu in una bustina evitando il più possibile doppioni: il caos. Amici e parenti venivano coinvolti nello schema produttivo. Una volta stampate le figurine venivano allegramente mescolate, mischiate, buttate per aria, raccolte al volo, ammucchiate e sparpagliate. Poi si passò alla versione 2.0 dell’algoritmo: un badile. Questa tecnologia permetteva di mescolare senza spaccarsi la schiena, ma soprattutto diminuiva il tempo di raccolta delle figu da terra. Mesi dopo, una nuova release dell’algoritmo:

La zangola per mescolare le figurine
La zangola (termine caro ai contadini) — terza versione dell’algoritmo per mixare le figurine

60 anni dopo

Ok, basta fare i Barbero. Abbiamo capito che il successo delle figurine non fu tanto nelle figurine quanto nella bustina e nello stato di eccitazione che lo sbustamento provocava. Adesso fate un salto in avanti di 60 anni. Ci siete voi, il vostro smartphone e un social network qualsiasi. Siete seduti e state usando il pollicione (o l’indice se hai più di 55 anni) per scrollare chilometri e chilometri di schermo. Fun fact: uno studio ha dimostrato che in media si fa una scrollata ogni tre secondi, per un totale di 900 colpi di pollice al giorno, circa 2 Statue della Libertà e mezzo, 229 metri. Il fatto divertente è che lo scroll rende addictive e quindi liberi non lo siamo poi mica tanto. Content is The Queen? Nemmeno, perché non è il contenuto a tenerci incollati agli schermi scroll dopo scroll, quanto piuttosto l’ossessione per la novità.

figurine Panini e Social Media

Siamo tutti dei neomaniaci. Vogliamo il nuovo, la novità e ci crogioliamo nella sua attesa. A procurare piacere è più la sensazione di essere sul punto di afferrare qualcosa senza però mai raggiungerlo davvero. Questo eterno stato di eccitazione è ciò che ci spinge a continuare a scrollare in un flow da cui è difficile uscire. Questo meccanismo di ricompensa variabile che regola la nostra addiction è stato dimostrato analizzando l’attività cerebrale di persone che giocavano d’azzardo e scoprendo che la parte che regola i meccanismi di motivazione e piacere non viene attivata tanto dalla vittoria quanto dalla sua anticipazione. Quello che ci spinge ad agire non è la sensazione che riceviamo dalla ricompensa finale quanto il bisogno di alleviare la voglia di tendere a quel risultato.

Insomma è la variabilità stessa del meccanismo ad attrarci in maniera irresistibile più ancora del suo esito, ciò che bramiamo è l’imponderabilità e l’eccitazione di non sapere cosa scopriremo girando l’angolo. Il meccanismo dello scrolling infinito riesce a ingegnerizzare lo stimolo di questa sensazione.

— Andrea Girolami, Scrolling Infinito

Lo scroll infinito è spesso considerato la slot machine delle nuove generazioni. Tristan Harris, un ex esperto di etica del design in Google, lo ha sintetizzato così: “Tiri una leva e ricevi immediatamente un’allettante ricompensa (una partita, un premio!) o niente, non importa.”

La randomicità dei contenuti (siano essi figurine o selfie in spiaggia) è quindi ciò che lega due delle più grandi manie dell’uomo contemporaneo: le figurine e i social network.

Tristan Harris figurine
Tristan Harris

Un flow infinito

Cari amici della dopamina, se siete ancora qui e non avete ancora switchato a Instagram, bravi voi. Se invece lo avete fatto, vi siete accorti di come ormai le piattaforme social stiano tiktokizzando? E non c’entra il tempo (sempre più breve), piuttosto lo spazio, che si estende a tutto schermo nella spasmodica attesa del prossimo contenuto. Siamo un flow continuo e costante che, nella sua massima sublimazione, automatizza i processi lasciandoci in balia della prossima puntata: pensate alle storie di Instagram dove non dobbiamo nemmeno alimentare la slot machine attivamente, ma la fermiamo di tanto in tanto.

Lo scrolling infinito ci ha portato dal consumare contenuti in una modalità “opt in” a una “opt out”, da una scelta volontaria a una quasi obbligata.

— Andrea Girolami, Scrolling Infinito

Ciò che resta è intrattenimento a sorpresa. L’inatteso e l’attesa sono parte del flow che accomuna una bustina di figurine da scartare o un feed da scrollare. Celo, manca, manca, celo, celo… così, per chilometri di scrolling. E così, scroll dopo scroll, il “Celo” è seeempre più giù.

Giuseppe, Umberto e Franco Cosimo Panini a fine anni ottanta
Giuseppe, Umberto e Franco Cosimo Panini — fine anni ottanta

Figurine brillanti

→ cioè altre cosedasapere, fatti, curiosità con cui finire il pacchetto.

Viralisssssima

Ancora a proposito del connubio tra Social e figurine. L’immagine più virale al mondo è la celebre rovesciata di Parola, assurdo! Mai nessuna immagine è stata riprodotta in un numero così elevato di copie. Miliardi di esemplari che superano addirittura la foto di Mao impressa nelle banconote della repubblica popolare e il ritratto di Che Guevara.

Secondary Market

Quindi, quanto erano avanti questi Panini? Tanto da anticipare il fenomeno dei secondary market. Il fenomeno figurina infatti funzionava anche perché si prestava ad un uso doppio, individuale e collettivo. I Panini creavano figurine sapendo che si sarebbe aperto un mercato nero di scambi facendo così aumentare la rilevanza e gli ambassador per l’intero business. Prima di GOAT, Kixify o StockX, il vero reselling non si faceva con le sneakers, ma scambiando un Batistuta per almeno un Toldo, Vieri e un paio di Pancaro.

Figurina Batistita Vieri Toldo Pancaro

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